Stefano Vitali e Sandra Sabattini sulla copertina del libro
Quando si riceve la peggiore delle diagnosi, («Il tumore è grave, ce l’hai diffuso in tutto il corpo, facciamo l’operazione ma...»), dopo lo schiaffo della paura arriva la domanda: perché a me? Stefano Vitali quel 24 luglio del 2007 era giovane e rampante, appagato padre di dieci figli – quattro nati da lui e da sua moglie Lolli, sei accolti nella casa famiglia che avevano aperto entro la comunità “Papa Giovanni XXIII” di don Oreste Benzi – e noto personaggio nella vita politica riminese. Si sentiva “a posto”, quello che si dice un uomo virtuoso, perché a lui? Due giorni dopo, il 26 luglio 2007, l’operazione senza speranza, se non quella di attutire almeno il dolore: «Tutto sarà comunque meglio di questa sofferenza», si diceva Stefano, che di don Oreste Benzi era il segretario. Vivo per miracolo (Sempre Editore), sottotitolo Così Sandra Sabattini mi ha guarito, più che il diario scritto da Stefano Vitali a quasi 15 anni da quei giorni è una sorta di viaggio interiore, pieno di colpi di scena ma lontano da ogni sensazionalismo.
Tant’è che Vitali “dimentica” i dettagli eclatanti (le metastasi sparite da un giorno all’altro erano 45, ma lui sorvola), per soffermarsi su ciò che deve alla malattia più che alla guarigione: «Oggi ho la consapevolezza che il mio tempo è limitato e allora mi è richiesto di fare qualcosa di illimitato», dice nel finale, citando ciò che Sandra Sabattini, la giovane cui deve il miracolo, scrisse tre giorni prima di morire a 22 anni: «Non è mia questa vita che sta evolvendosi ritmata da un regolare respiro che non è mio...». Paradossalmente più che la gioia di essere vivo e sano, cerca di spiegarci la responsabilità “pesante” di essere «incastrato tra queste due figure», don Oreste (per il quale è in corso la causa di beatificazione) e Sandra, che dal 24 ottobre è beata proprio a causa della sua guarigione. All’improvviso il «perché a me?» relativo alla malattia, si era spostato sul «perché a me?» di un miracolo che Stefano col tempo ha imparato ad accettare «anche senza la risposta, concentrato a non sprecare il tempo. Il tempo è davvero un dono e quando ricevi un regalo devi semplicemente ringraziare». E naturalmente restituire.
Cosa che ha iniziato a fare da subito, quando la prima cosa che incontra sono gli occhi dei suoi compagni di terapia, «spenti, tristi, senza speranza». Allora si crede prossimo alla morte, i medici sono stati chiari, ma il segretario di don Benzi si dedica a incoraggiare gli altri, «perché se tu sei qui ora al mio fianco un motivo ci sarà». Nessun eroismo nel suo libro, a tratti persino umoristico. Come nel racconto della giornata chiave, quel 3 settembre 2007 in cui don Oreste è invitato a casa sua «per capire il progetto di Dio» e trovare «la serenità di cui avevo bisogno per affrontare i miei ultimi mesi ». Don Benzi gli spiega che basterebbero i tanti non credenti entrati in chiesa a pregare per lui, per dare un senso alla sua malattia, e subito passa alla proposta per cui è lì, pregare insieme Sandra perché faccia il miracolo. Un’assurdità, protesta Stefano, sa bene che non può guarire, inoltre sua moglie avrebbe santi in Paradiso ben più importati di quella ragazzina sconosciuta: «La Lolli mise ingenuamente in discussione la persona a cui era meglio affidarmi – scrive Vitali – e per alcuni minuti i due mi esclusero dal dibattito. Avrei voluto dirgli che in fondo il malato ero io... Ma don Oreste aveva deciso, “ho già chiesto a tutti di pregare Sandra! E comunque i santi non litigano in Paradiso”. E fu così che Sandra entrò ufficialmente nella mia vita senza che io me ne accorgessi».
Già, perché nemmeno quando il primario sconcertato gli comunicò che le 45 metastasi erano scomparse, Stefano collegò il fatto a quella preghiera recitata con don Benzi, poi rivolta a Sandra dall’intera comunità (migliaia di persone) su invito del sacerdote. La consapevolezza prese corpo soprattutto quando arrivò la scienza a confermargli la verità: “La prognosi infausta, l’impossibilità dei trattamenti medici di determinare la guarigione di pazienti affetti da tale patologia, rendono non spiegabile dal punto di vista oncologico...”. E oggi? «Sono diventato pellegrino del mondo», scrive Vitali, responsabile per i progetti di sviluppo nei Paesi poveri della “Papa Giovanni XXIII”, «in 5 anni ho visitato venti nazioni». Agli occhi smarriti che incontra porta una certezza lampante: nessuno sa quanto tempo ha a disposizione, «ma il tempo merita di essere vissuto in maniera positiva, lasciando che sia Gesù a scandirlo».