
Ernesto Olivero durante una iniziativa del Sermig - Gotico/Np
Ernesto Olivero, fondatore del Sermig di Torino, cosa significa per lei il Giubileo?
Per me è un tempo di Grazia, l’occasione per provare a cambiare, a ripartire, sapendo che la Chiesa non è tanto una struttura da aggiornare ma una Presenza a cui convertirsi. Una Presenza che sa tutto di noi, che non ci giudica, che ci cerca per amarci, camminare insieme e provare così a rendere migliore il mondo.
Questo Giubileo di speranza arriva in un momento molto difficile, ma il volontariato che senso ha oggi? Che messaggio può lanciare?
Nella mia esperienza mi è venuta incontro una definizione molto concreta della speranza. La riassumo così: speranza è avere davanti qualcuno che piange e non dire mai “Che pena!”, ma “Cosa posso fare? Cosa posso fare per te?”. Ecco, il volontariato ha senso se prova a fare così. A tutti i livelli. Credo che sia questo il messaggio più alto che si può dare in un mondo che sembra andare dall’altra parte. Pare quasi che la compassione, il mettersi nei panni degli altri, la stessa gentilezza siano sentimenti da museo, ma non è così. Se ci pensiamo, è quanto di più umano possa esserci, ma bisogna sceglierlo, ripartire continuamente, non assecondare il male che è fuori ma anche dentro di noi.
Il Sermig – Servizio missionario giovani – è nato più di 60 anni fa dall’iniziativa di molti giovani, tra cui Ernesto Olivero, Maria Cerrato, sua moglie oggi in Cielo, e tanti altri. E 40 anni fa grazie all’apporto di decine di migliaia di volontari avete fatto un miracolo trasformando l’Arsenale di Torino che fabbricava armi in una casa di pace. Cosa possono fare i giovani di oggi scegliendo il volontariato?
Ricordo una frase indimenticabile di frère Roger, fondatore di Taizé. Lo ascoltai da ragazzo dire parole che non ho mai dimenticato. Secondo lui, bastava un pugno di giovani per cambiare il corso della storia di una città, di un Paese, in definitiva del mondo. Giovani appassionati, radicati nel bene, forti nella condivisione di ideali di giustizia, di pace, di solidarietà. Con i miei amici tanti anni fa abbiamo provato a fare questo, e qualcosa è avvenuto. Ma non siamo persone fuori dal comune, tutti possono farlo, soprattutto i giovani. Ci vuole però il coraggio di mettersi in gioco, pagare di persona se necessario, dire i sì e i no che contano nella vita.
Siamo, però, in un momento in cui le voci che parlano di pace paiono soffocate da quelle di chi vuole la guerra, dagli interessi dei mercanti di armi, di chi vuole predare le materie prime agli altri popoli, di chi vuole sopraffare i più deboli con la forza. È preoccupato? E che risposta può dare un volontario?
Sono molto preoccupato, come tutti coloro che credono in un mondo di pace, di concordia tra i popoli, di lotta contro le ingiustizie. Oggi dico anche un mondo che semplicemente fa proprio il diritto internazionale. A volte si ha la sensazione che non conti più niente, ma chi vuole vedere può ancora trovare esempi e punti fermi. Credo che i volontari, chi crede nel bene, oggi sia chiamato non a gridare ma a testimoniare con ancora più forza le ragioni delle proprie scelte, delle proprie convinzioni, del bene possibile alla nostra portata. Chi si chiude non fa un servizio alla verità.

Giovani volontari all'Arsenale della Pace di Torino, sede del Sermig - Andrea Pellegrini
Lei ha cominciato a fare volontariato per i più poveri perché non tollerava lo scandalo della fame nel mondo, per lei la più grande ingiustizia. Oggi la fame, con le altre due pesti della guerra e della malattia, è tornata, e probabilmente crescerà. Cosa può fare oggi un giovane?
È proprio così, e la cosa più triste è che a differenza del passato problemi come la fame nel mondo non commuovono più. Non parlo di emotività, ma della commozione buona che spinge a fare qualcosa. Credo che un giovane oggi debba fare di tutto per riscoprire questa commozione. Significa allargare lo sguardo, non pensare che il mondo giri solo attorno a me, ai miei problemi, alle mie relazioni. Significa anche studiare, perché dobbiamo imparare a leggere la complessità del mondo: non esistono ricette facili. Le cose forse non cambieranno subito, ma possiamo avviare un processo.
Lo spirito forte che unisce le generazioni che lavorano gratuitamente per il prossimo pare immutato. Che cosa augura a tutti i volontari in occasione del loro Giubileo e in vista dei tempi difficili che ci aspettano?
Ho un’immagine nel cuore del 2022. Era appena scoppiata la guerra tra Russia e Ucraina. L’Arsenale della Pace di Torino, come avvenuto in altri conflitti, si era subito attivato per raccogliere aiuti. Pensavamo di inviare uno o due tir di alimentari e farmaci. Il passaparola ci ha stravolto i piani: in tre mesi abbiamo visto migliaia e migliaia di giovani, adulti e anziani che sono venuti a donare materiali ma anche a smistarli, impacchettarli, caricarli. Abbiamo inviato oltre 1.600 tonnellate di aiuti, più di cento tir. Semplicemente commovente. Lì ho capito ancora una volta che la bontà disarma, che nel bene non esistono barriere, che nessuno è così povero da non poter donare qualcosa. Al volontariato auguro di continuare a fare così, a scoprire senza trionfalismi che fare felici gli altri è la chiave per scoprire la felicità anche per noi.