martedì 28 febbraio 2017
Il Pontefice dovrebbe andare in Africa con il primate anglicano Welby. Lo aveva annunciato domenica nella chiesa anglicana di All Saints
Il Papa durante la visita di domenica alla chiesa anglicana di All Saints a Roma (Reuters)

Il Papa durante la visita di domenica alla chiesa anglicana di All Saints a Roma (Reuters)

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«Non venga da solo, venga con l’arcivescovo di Canterbury». È un invito chiesto per favore a papa Francesco da tre pastori di diverse confessioni cristiane – come ha riferito lui stesso nella chiesa anglicana di All Saints a Roma – a segnare un possibile prossimo viaggio ecumenico lampo in Africa nel martoriato Sud Sudan, sfigurato dalla guerra civile e dalla fame. Non sarebbe questo il primo viaggio del Papa in un Paese africano in guerra nel quale il segno ecumenico e interreligioso ha dato l’impronta per una possibile soluzione del conflitto, come è stato quello nel novembre scorso in Centrafrica. E due sono già i viaggi interamente ecumenici decisi e compiuti da Francesco insieme al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I: in Terra Santa nel 2104 e nel febbraio dello scorso anno nell’isola greca di Lesbo, punto d’approdo per migliaia di rifugiati e migranti in fuga dalle guerre, dalla persecuzione e dalla fame. Ma questo in Sud Sudan, che si prospetta con il primate della Chiesa anglicana, è un fatto che sottolinea e amplifica nuovamente le prospettive di un percorso indispensabile e irreversibile tra Chiese cristiane urgentemente richiesto dai segni dei tempi. E considerata la critica situazione del mondo, la scelta di un responsabile ecumenismo pastorale appare sempre più caratterizzante anche nelle priorità dei viaggi papali.

All’ultimo incontro per la pace ad Assisi era stato più che mai chiaro che l’impegno e il servizio comune delle Chiese cristiane e dei loro responsabili esigono di offrirsi testimoni come lievito per favorire la giustizia, la fratellanza e la pace dei popoli. E la dichiarazione comune firmata il 5 ottobre scorso a Roma da papa Francesco e dal primate della Chiesa anglicana risponde pienamente ai motivi di una possibile comune sortita in Sud Sudan: «In una cultura dell’odio, assistiamo a indicibili atti di violenza, spesso giustificati da una comprensione distorta del credo religioso. La nostra fede cristiana ci porta a riconoscere l’inestimabile valore di ogni vita umana e ad onorarla attraverso opere di misericordia… sempre cercando di risolvere i conflitti e di costruire la pace. In quanto discepoli di Cristo riteniamo la persona umana sacra e in quanto apostoli di Cristo dobbiamo essere i suoi avvocati».

E non sarà con ogni probabilità questo l’unico viaggio di matrice ecumenica e interreligiosa previsto nel corso di quest’anno nel continente africano. Come quello in Sud Sudan, è in studio anche la realizzazione di un eventuale viaggio lampo nell’infuocata area del Medio Orente. Il Papa ha preso in esame la possibilità di recarsi in Egitto. Il 6 febbraio scorso il patriarca Ibrahim Isaac Sedrak e i presuli in visita ad limina della Chiesa patriarcale di Alessandria dei copti hanno presentato per iscritto un invito formale a papa Francesco. Un invito che fa seguito a quello già arrivato da altri vescovi, dal presidente della Repubblica Abdel Fattah Al Sisi, ricevuto in udienza dal Papa il 24 novembre 2014, e anche da Ahmed el-Tayyb, il grande imam di Al-Azhar. Il massimo esponente del più autorevole centro teologico sunnita e il Papa si erano incontrati in Vaticano il 23 maggio 2016, rilevando il grande significato di quel nuovo incontro nel quadro del dialogo fra la Chiesa cattolica e l’islam. E si erano intrattenuti sul tema del comune impegno delle autorità e dei fedeli delle grandi religioni per la pace nel mondo, il rifiuto della violenza e del terrorismo, la situazione dei cristiani nel contesto dei conflitti e delle tensioni nel Medio Oriente e la loro protezione. È ancora viva la memoria della strage di cristiani copti del 16 dicembre scorso nella Cattedrale del Cairo. E mentre nelle ultime settimane si perpetrano uccisioni di cristiani nella penisola del Sinai, dal 22 al 23 febbraio proprio al Cairo si è svolto un simposio promosso dal Centro per il dialogo dell’università di Al-Azhar e dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso guidato dal cardinale Jean-Louis Tauran, al termine del quale hanno stilato un comunicato congiunto.

«Deliberatamente abbiamo detto quello che vogliamo fare insieme oggi e domani – afferma Tauran – e credo che sia importante perché questa è la concretezza. Noi ci siamo trovati d’accordo nel valutare la gravità della situazione di violenza e anche la necessità di trasmettere valori alle giovani generazioni. Abbiamo cercato insieme le cause della violenza: tutti ci siamo trovati, tutti, d’accordo - soprattutto i musulmani - nell’affermare che non è lecito invocare la religione per giustificare la violenza. Dobbiamo continuare su questa strada: più la violenza aumenta - ed è grave - più è necessario moltiplicare questo tipo di incontri. Incontri come questo che si è tenuto sono veramente doni che si fanno all’umanità, perché dimostrano che esiste la possibilità di lavorare insieme. Quello che invece vogliono i terroristi è dimostrare che non è possibile vivere insieme, con i musulmani; noi affermiamo il contrario». Un eventuale viaggio del Papa in Egitto non potrà che portarsi in questa direzione.

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