sabato 2 novembre 2013
Nel giorno di Ognissanti il Papa ha esortato a tenere viva la memoria di quanti perdono la vita testimoniando il Vangelo e delle vittime dei viaggi della speranza. Nella giornata della Commemorazione dei fedeli defunti il Papa è sceso nelle Grotte vaticane per un momento di preghiera sulle tombe dei Papi.
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COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI
Nel giorno in cui la Chiesa celebra la commemorazione di tutti i fedeli defunti, Papa Francesco è sceso nelle Grotte Vaticane per presiedere un momento di preghiera per i Sommi Pontefici defunti, in forma strettamente privata. Già il primo aprile scorso, era il lunedì dell'Angelo - ricorda Radio Vaticana - Papa Francesco si era recato nelle Grotte Vaticane e aveva reso omaggio alle tombe dei Papi del secolo scorso che vi si trovano sepolti: Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo I. L'atto di omaggio concludeva la visita di devozione alla tomba di San Pietro nella Necropoli che si trova sotto la Basilica vaticana. Nella Cappella Clementina, il luogo più vicino alla tomba del Principe degli Apostoli, il Papa aveva sostato in preghiera silenziosa.OGNISSANTIPrego «per le vittime della violenza e specialmente per i cristiani che hanno perso la vita a causa delle persecuzioni» e «per i nostri fratelli e le nostre sorelle, uomini, donne, bambini, morti assaliti dalla sete, dalla fame e dalla fatica nel tragitto per raggiungere una condizione di vita migliore». Le parole pronunciate da papa Francesco dopo l’Angelus – e l’ultima parte ripresa pure dopo la Messa al cimitero del Verano – risuonano assordanti anche per le vie ancora deserte di Sadad. Dove, la settimana scorsa, è stata portata a termine la più grave strage di cristiani del conflitto siriano. Quarantacinque cadaveri abbandonati per strada o ammassati in fosse comuni. Donne, uomini, bambini. Il massacro invisibile è diventato un nuovo capitolo nel libro degli orrori della guerra siriana due giorni fa, quando la notizia è arrivata ai media internazionali. Rompendo il velo di silenzio che, impalpabile come la sabbia desertica da cui la cittadina è circondata, per settimane, ha avvolto la “battaglia di Sadad”.Lo scontro è finito lunedì. Con la cacciata degli jihadisti e la riconquista da parte dell’esercito governativo. Sadad, però, resta in agonia. Le macerie di case, scuole, chiese, ospedali ostruiscono le vie di quello che, fino all’assedio, era il centro storico. Gli scheletri delle costruzioni raccontano con visiva immediatezza lo scempio subito. Tanti, troppi sono fuggiti. In 2.500 sono scappati subito dopo l’arrivo dei terroristi vicini ad al-Qaeda, il 21 ottobre. A centinaia si sono aggiunti all’esodo nei giorni successivi, man mano che le violenze si facevano più efferate: civili impiegati come scudi umani, anziani derubati, giovani pestati senza motivo. O meglio una ragione c’è, ma a poco a che vedere con la rivolta anti-Assad. I gruppi jihadisti approfittano del caos per portare avanti la loro “guerra santa” e cacciare gli “infedeli” dalla Siria, città dopo città. A farne le spese sono, dunque, le minoranze religiose ed etniche. Per questo, Sedad non è un caso isolato. Maalula, Saydnaya, sono altre tappe di questa assurda maratona del fanatismo.Sadad, poi, è un “bottino ghiotto”. L’antica Zedad biblica, l’estremo confine settentrionale di Canaan, la “Terra Promessa” di cui parla il profeta Ezechiele, è uno snodo chiave. Situata quasi a metà strada tra Damasco e Homs, è un punto di passaggio fondamentale per i rifornimenti di armi e munizioni provenienti dal vicino Libano. Da lì, inoltre, si controlla l’intera regione dei monti di Qalamoun, lungo la frontiera. Per questo, gli islamisti di al-Nusra la volevano. E per la stessa ragione, i governativi hanno fatto di tutto per riprenderla. Intrappolati fra due fuochi, i civili cristiani. Eppure Sadad – e la sua gente – agonizza ma non muore. Qualcuno comincia a tornare. Giovani perloppiù che si sono auto-organizzati in squadre per la ricostruzione. Le famiglie con bambini hanno preferito restare “al sicuro”, nei rifugi improvvisati di Damasco, Homs, Fayrouza, Zaydan, Maskane, al-Fhayle: in città non ci sono più scuole agibili né ospedali per i loro figli. Oltre la metà delle costruzioni è stata rasa al suolo – secondo quanto riferisce Selwanos Boutros Alnemeh, metropolita siro ortodosso di Homs e Hama –. Gran parte delle case non ha più acqua, luce, servizi igienici, connessione telefonica». Presenti sbriciolati, passati di dolori che si ripetono nei troppi teatri di guerra dal mondo. Per questo, migliaia e migliaia inseguono un futuro incerto. Altrove. Sono quegli esseri umani stroncati nel viaggio verso un futuro migliore, che ha ricordato nella preghiera ieri papa Francesco. «Cercavano una liberazione», ha detto il Santo Padre al temine della Messa al Verano. «Noi abbiamo visto le fotografie – ha affermato il Papa –, la crudeltà del deserto, abbiamo visto il mare dove tanti sono affogati». Nell’ultima settimana, sono stati trovati 87 cadaveri di migranti nel deserto del Niger, al confine con l’Algeria. E, ieri, l’aeronautica di Tripoli ha recuperato vivi 48 migranti dispersi nel deserto della Cirenaica. Due giorni fa ne aveva salvato altri 9. Una quarantina è, però, stata trovata morta lunedì. «Preghiamo per loro – ha concluso il Santo Padre –. E anche preghiamo per quelli che si sono salvati e, in questo momento sono in tanti posti d’accoglienza, ammucchiati, sperando che le pratiche legali di affrettino per potersene andare da un’altra parte, più comodi, in altri centri d’accoglienza».​​​
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