mercoledì 13 aprile 2022
Dall'Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni uno strumento per il discernimento. Il curatore Grandi: "Ecco come consentire alle diverse sensibilità di mettersi al servizio dell'unità"
Don Michele Gianola (a sinistra) e Giovanni Grandi (al centro) in un fermo immagine dal video presentato durante l’ultimo Convegno nazionale vocazioni

Don Michele Gianola (a sinistra) e Giovanni Grandi (al centro) in un fermo immagine dal video presentato durante l’ultimo Convegno nazionale vocazioni - dal sito vocazioni.online

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La Chiesa non è una democrazia, si sa, ma non è neppure una dittatura: la sua vita, infatti, altro non è che un continuo ascolto condiviso e la messa in pratica di ciò che lo Spirito suggerisce. Il compito è enorme e deve fare i conti con la necessità di salvaguardare il patrimonio condiviso di fede della comunità con la pluralità delle idee dei singoli fedeli. A questa sfida, che con l’avvio del cammino sinodale si è fatta ancora più urgente, cerca di rispondere il 'manuale' promosso dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni e curato da Giovanni Grandi, docente di filosofia morale all’Università di Trieste: «Ascoltare, condividere, orientarsi. Metodo e soluzioni pratiche per gruppi e comunità in cammino».

Professor Grandi, ma è davvero possibile avere idee diverse dentro la Chiesa?

Avere idee diverse, nella Chiesa così come in qualunque comunità umana, è fisiologico, tuttavia è anche potenzialmente divisivo. Questo, forse, qualche tempo addietro spaventava le comunità cristiane. Nella storia della Chiesa, però, questo spazio per la diversa interpretazione delle cose contingenti c’è sempre stato. Oggi senz’altro avvertiamo di più che la pluralità è un riflesso non solo di opinioni diverse, ma anche di differenti sensibilità, tutte importanti, specialmente nei processi di discernimento: è qui che intuizioni diverse possono ritrovare le vie dell’unità – che non per nulla è riconosciuta come un dono tipico dello Spirito – e si possono gettare le basi per cammini che sperimentino le differenze come risorse e non come motivo di divisione nelle comunità.

Ma per fare questo non basterebbe guardare agli organismi di partecipazione creati nel post-Concilio?

La strutturazione di questi organismi si è ispirata alle dinamiche assembleari e alle soluzioni rappresentative tipiche dell’associazionismo, che sono ottime in sé e in questi contesti di tipo democratico, ma nelle parrocchie conducono spesso a un bivio insidioso: quando si tratta di prendere una decisione comunitaria impegnativa, provenendo da un dibattito e non da un processo di discernimento comunitario, se non c’è accordo, come se ne uscirà? Demandando al parroco l’ultima parola o replicando la dinamica di un confronto tra maggioranza e minoranza? Sono entrambe soluzioni fragili e potenzialmente divisive, e questo proprio perché non nascono in un contesto di discernimento ma dentro una dinamica simil-democratica, in cui risulta problematico proprio il momento decisionale finale, che in democrazia si concretizza tipicamente in un voto. C’è anche da dire però che gli organismi di partecipazione sono la prima soluzione immaginata per coinvolgere tutti i battezzati. Nel post-Concilio ci si è trovati di fronte a una attesa popolare molto forte di partecipare all’individuazione degli orientamenti ecclesiali. Al Concilio di Gerusalemme ricordato negli Atti c’erano una dozzina di persone, immaginare di coinvolgere in un percorso di consultazione e discernimento centinaia di migliaia di persone è certamente diverso.

E cosa manca oggi perché questo avvenga?

Il punto debole dei nostri processi è l’ascolto: spesso noi attiviamo dei percorsi di confronto tra le persone partendo direttamente dalla condivisione di quello che ciascuno pensa su un determinato argomento. Il metodo proposto, invece, parte proprio da un tempo generoso di silenzio, in cui ciascuno può anzitutto mettersi in ascolto interiore dello Spirito. Questo cambia tutto, perché ci rendiamo conto di non essere portatori di una nostra idea personale ma di qualcosa che ci è donato e affidato, da proporre poi all’ascolto degli altri: il proprio contributo diventa così un servizio alla comunità e in questa prospettiva l’unità non tarda ad emergere lungo il processo.

Il metodo che proponete è molto pratico e preciso. Da dove è nato e quali strumenti fondamentali propone?

Una fonte primaria è la tradizione degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, e c’è anche molto dell’eredità antropologica di Tommaso d’Aquino. Poi dietro c’è l’esperienza nel campo della formazione giovanile, in particolare nel dare risposta alla necessità dei ragazzi di esplorarsi, di capire la propria interiorità e di farlo assieme. Tra gli strumenti concreti sono fondamentali le 'microscritture', annotazioni brevi, che accompagnano il percorso, e che vengono raccolte su alcune schede di lavoro ben curate a supporto del lavoro.

Il manuale può essere uno strumento utile nel lavoro del cammino sinodale?

Credo di sì, può essere di aiuto. Chi lo sta utilizzando nota che il metodo offre modalità efficaci per raccordare la consultazione popolare, cioè la raccolta dei frutti dell’ascolto interiore del popolo di Dio, con le sintesi che devono emergere in un processo di orientamento. Il cammino sinodale ci propone in fondo di cogliere cosa portare avanti, cosa lasciare e quali cose nuove introdurre. Ma la provocazione più grande rimane quella di maturare uno stile di discernimento come atteggiamento ordinario nella vita delle comunità cristiane.

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