
Lo scrittore Colum McCann - Ansa
«La pace discende goccia a goccia», scrive William Butler Yates in uno dei celebri versi della poesia “Innisfree”. Il connazionale Colum McCann la pensa allo stesso modo. «Proprio perché discende goccia a goccia, però, qualcuno deve stare là sotto, pronto a raccoglierla», aggiunge lo scrittore, dublinese di nascita e residente a New York, dove insegna all’Hunter College e ha fondato “Narrative 4”, organizzazione che educa all’empatia. A ricercare e custodire le minuscole gocce di pace che filtrano nelle fessure invisibili della Terza guerra mondiale a pezzi, McCann ha dedicato la sua arte e le sue opere – tutte pubblicate in Italia da Feltrinelli –, che hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti, come il National Book Award e l’International Dublin Literary Award. Apeirogon – dedicato all’amicizia dei padri palestinese e israeliano Bassam Aramin e Rami Elhanan –, uno dei suoi libri più popolari, è stato insignito del Premio Terzani. Il recente Una madre – che ripercorre la scelta di Diane Foley di perdonare l’assassinio del figlio James, decapitato in diretta video dal Daesh – è già un best seller.
«Le storie, la narrazione sono la nostra più grande democrazia. È là che ci incontriamo gli uni con gli altri e che ci conosciamo. Le storie travalicano le frontiere. Scavalcano i confini. Frantumano gli stereotipi. E ci danno accesso al cuore umano. Lo ha sottolineato con efficacia papa Francesco nel messaggio per la Giornata sulle comunicazioni sociali: “Con lo sguardo del Narratore – l’unico che ha il punto di vista finale — ci avviciniamo poi ai protagonisti, ai nostri fratelli e sorelle, attori accanto a noi della storia di oggi”», afferma l’autore che oggi dialoga in Vaticano con la Nobel per la Pace Maria Ressa per il Giubileo del mondo della comunicazione. Il 29 gennaio sarà a Firenze per la lectio, nel Cenacolo di Santa Croce, “Sto nelle storie”, secondo incontro dell’edizione 2025 di “Testo, come si diventa un libro”.
Una volta ha detto che il mondo viene tenuto insieme dalle storie.
Già, nel mio prossimo romanzo vorrei parlare proprio di questo partendo dalla costruzione dei cavi sottomarini.
Ma sono sufficienti le storie anche in questo tempo centripeto in cui conflitti e lacerazioni dilaniano il mappamondo?
Non c’è un’unica soluzione. Quella di Rami e Bassam, i protagonisti di Apeirogon, è interessante. Come diceva Freud in una lettera ad Einstein, tutto ciò che crea legami emotivi tra le persone inevitabilmente agisce contro la guerra. Il padre della psicoanalisi parlava di “comunione di sentimenti”, cioè una storia.
A proposito di Apeirogon, il Giubileo della comunicazione coincide con un momento di speranza per Israele e Palestina che hanno raggiunto una tregua. È ancora possibile la pace?
Le guerre finiscono, anche se tendiamo a dimenticarlo. Inevitabilmente, devono finire. Certa come la guerra è la sua fine. La storia ce lo insegna in innumerevoli modi. A volte la fine è terribilmente brutale, ad esempio la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Altre, si dissolve in una lenta serie di stalli e ripartenze finché non arrivano gli elicotteri e portano via i soldati, come in Afghanistan o in Vietnam. Qualche guerra finisce con un accordo, per quanto imperfetto, come in Nord Irlanda. Qualcun’altra con un cavallo di Troia alle porte.

Si riferisce a Israele e Palestina?
Anche la guerra in Terra Santa – come alcuni la chiamano – presto o tardi finirà. Non credo, però, al contrario di alcuni commentatori, che la pace sia arrivata con l’accordo della settimana scorsa. Troppo di quanto accaduto a Doha è stato un teatro tragico. Joe Biden voleva attestarsi una vittoria prima di lasciare. Donald Trump era smanioso di dimostrare di essere un gran negoziatore. Benjamin Netanyahu era spaventato all’idea di inimicarsi la nuova Amministrazione. Hamas era esausta dopo tutti i suoi fallimenti. Era inevitabile che lasciassero il tavolo con una firma. Ci sono state celebrazioni per le strade di Israele e Palestina. La festa, però, ha avuto il retrogusto amaro della consapevolezza che l’intesa sarebbe dovuta e potuta arrivare più di un anno fa. Il testo concordato è più o meno analogo a quello che si sarebbe avuto se le parti avessero deciso di ascoltarsi. Ma non l’hanno fatto. Non si sono ascoltate. E circa 50mila persone sono morte.
È, dunque, pessimista?
Sono certo che questa tregua non sarà la fine della guerra tra Israele e Palestina. Ce ne saranno altre. Tante altre. Ma potrebbe – forse – segnare l’inizio di una fine, da qualche parte, in qualche modo.
Lei parla spesso di storie e narrazione. Oggi sembra invece prevalere la narrativa, anzi, narrative, spesso inconciliabili ed escludenti...
Una storia è una sequenza di eventi mentre una narrativa è la maniera di presentare quella storia. Può configurarsi come un sistema di storie tessute insieme per creare un significato più ampio.
Nel messaggio di Francesco che citava il Papa aggiunge: «Anche quando raccontiamo il male possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio». Le sue storie raccontano spesso il male. Che cosa le hanno insegnato?
Che spesso le lezioni più importanti si imparano attraversando enormi difficoltà.
Che cosa è per lei la speranza?
La speranza è un atto. La speranza è qualcosa che si fa.
Cosa spera Colum McCann?
Il mistico sufi Rumi diceva: “Ieri ero intelligente e ho cercato di cambiare il mondo. Oggi sono saggio e cercherò di cambiare me stesso”.
La Siria è tornata al centro del dibattito con la repentina caduta della dittatura di Bashar al-Assad. Proprio la guerra civile siriana è uno dei temi del suo ultimo romanzo, “Una madre”. Che cosa spera per la Siria?
Lo stesso che spero per il mondo tutto: dignità e pace.
E per l’America, dove ha scelto di vivere?
Che trovi una via d’uscita dalla follia attuale. E che prevalga il buonsenso di persone come la vescova Mariam Edgar Budde.
Il mondo sembra avere perso la speranza. Per quale ragione?
Perché siamo diventati ciechi gli uni verso gli altri.
In cosa possiamo avere speranza?
In ciascuno. Nelle persone che normalmente ignoriamo. Nei nostri nemici, anche.
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