domenica 31 dicembre 2017
Da Guardini a Methol Ferré, passando per il gesuita Fessard ma anche per Del Noce, Przywara e don Giussani, il contesto culturale in cui si forma il Pontefice indagato nel libro del filosofo Borghesi
A sinistra Jorge Mario Bergoglio, allora professore di letteratura, con gli studenti nel collegio dell’Immacolata di Santa Fé nel 1965

A sinistra Jorge Mario Bergoglio, allora professore di letteratura, con gli studenti nel collegio dell’Immacolata di Santa Fé nel 1965

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Per realizzare il suo Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale (premessa di Guzmán Carriquiry Lecour; Jaca Book; pagine 300; euro 20) il filosofo Massimo Borghesi ha potuto servirsi di un riscontro del tutto eccezionale, costituito dalla registrazioni audio nelle quali lo stesso papa Francesco è venuto incontro alle osservazioni e alle richieste di chiarimento avanzate dall’autore.

Ed è proprio nella trascrizione di uno di questi file che il lettore si imbatte in quella che può essere considerata la sintesi estrema di un pensiero tanto semplice all’apparenza quanto stratificato e complesso nel suo strutturarsi. «Per me nell’Incarnazione c’è la debolezza e la concretezza del cattolico», afferma Francesco, confermando l’esattezza del sottotitolo scelto da Borghesi per il suo studio. A essere indagato nel volume – sia mediante la sistemazione concettuale di informazioni già note, sia attraverso la valorizzazione di molto materiale inedito – è infatti il rapporto vitale tra «dialettica e mistica», in una prospettiva che permette di apprezzare pienamente il contesto culturale nel quale il pensiero di Bergoglio si forma e si sviluppa. I riferimenti principali sono due: l’appartenenza alla Compagnia di Gesù e il momento storico vissuto dall’America Latina, e dall’Argentina in particolare, a partire dalla seconda metà del Novecento, tra slanci generosi di un «risorgimento» anche ecclesiale e lo scontro drammatico con una realtà politica segnata da populismi, derive autoritarie e irrigidimenti ideologici.

Borghesi è chiarissimo nel ribadire come non sia possibile «comprendere il pensiero di Jorge Mario Bergoglio fuori da questa “scissione” che segna il tempo storico» e che si riverbera nella consuetudine strettissima che ha unito il gesuita ad Alberto Methol Ferré (1929-2009), l’intellettuale uruguyano alla cui memoria il volume è dedicato. Si tratta di un sodalizio già documen-tato, tra l’altro, da Alver Metalli in Il Papa e il filosofo (Cantagalli, 2014), un libro che Borghesi cita a più riprese insieme con una delle più accurate biografie di Bergoglio finora apparse, Tempo di misericordia di Austen Ivereigh (Mondadori, 2014).

In questi come in altri casi, colpisce la capacità di ricondurre ogni elemento a un quadro d’insieme che si riassume, appunto, nel binomio «dialettica e mistica». Mistica è, anzitutto, l’intepretazione del carisma ignaziano seguita da Bergoglio, anche in reazione all’interpretazione che mira a istituzionalizzare la Compagnia di Gesù, rendendola incapace di dialogare con la modernità. La ricerca si indirizza subito – in modo dapprima istintivo, poi sempre più motivato – verso una declinazione della dialettica che superi gli schematismi hegeliani e marxisti per riscoprire le fonti del tomismo originario, così diverso dal «tomismo decadente» appreso durante gli studi.

Anche qui la consonanza con il «tomista silvestre» Methol Ferré è fortissima, e conduce alla riscoperta degli elementi caratteristici del pensiero latino-americano, inteso come alternativa alla pur imprescindibile eredità europea. Se nel Vecchio Continente l’Illuminismo ha finito per imporre la propria visione del mondo perfino ai paladini della tradizione, nelle terre poste sotto la protezione della Morenita – la Vergine di Guadalupe, una delle immagini mariane più cara a Bergoglio – è la vivacità del Barocco che si impone, proponendosi come luogo nel quale si compie la complexio oppositorum, la comunicazione tra opposti che è, da ultimo, la missione propria della Chiesa.

Una nuova dialettica al servizio di una nuova mistica, dunque, articolata in una serie di letture e di incontri che Borghesi ricostruisce nel dettaglio, sottolineando per esempio l’importanza della “linea francese” nel consolidarsi della spiritualità ignaziana del Papa (gli studi di Gaston Fessard sugli Esercizi spirituali, la ricezione della figura di Pietro Favre atraverso la mediazione di Michel de Certeau) e la fecondità della ricerca condotta sull’opera di Romano Guardini in vista della mai terminata tesi di dottorato. I rimandi, sempre puntuali e circostanziati, sono molto più numerosi e particolarmente illuminanti per quanto riguarda l’ambiente latinoamericano (a fianco di Methol Ferré troviamo, con un ruolo non meno significativo, la pensatrice argentina Amelia Podetti).

Ma Borghesi è anche molto convincente nel rivendicare l’importanza che nell’elaborazione concettuale di Bergoglio rivestono autori come Augusto Del Noce, Erich Przywara, Hans Urs von Balthasar e don Luigi Giussani, solitamente ritenuti lontani, se non addirittura inconciliabili, rispetto all’ecclesiologia della Evangelii gaudium. A conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che «la realtà è superiore all’idea». Sempre. Anche quando le idee sono quelle della filosofia e della teologia.

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