
Papa Francesco a Lampedusa nel 2013 - Ansa
Sui tanti aspetti che hanno caratterizzato la straordinaria intensità del pontificato di papa Francesco vorrei soffermarmi sul “caso serio” del suo vocabolario, nuovo soprattutto nel modo in cui egli ha proposto i valori fondamentali della vita personale e sociale ispirati alla fede in Cristo, rivolgendosi a una società complessa, qual è ormai divenuta dappertutto quella del cosiddetto “villaggio globale”.
Così, ad esempio, Francesco non ha mai usato l’espressione «valori non negoziabili», spesso adoperata nel linguaggio ecclesiale prima di lui, come dichiarò espressamente nell’intervista a Ferruccio de Bortoli, apparsa sul Corriere della Sera del 5 marzo 2014: «Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili. I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile di un’altra. Per cui non capisco in che senso vi possano essere valori negoziabili». Non per questo si era discostato dai suoi predecessori: egli è stato ed ha voluto essere fedele alla fede della Chiesa, così come è stata definita e professata attraverso i secoli. Ciò non gli ha impedito, tuttavia, di proporre i valori con uno stile originale che da una parte li rendeva estremamente accessibili, dall’altra suscitava simpatia e curiosità.
In che è consistita, dunque, la novità del vocabolario di papa Francesco nel proporre i valori decisivi della vita? La caratterizzerei in tre direzioni.
In primo luogo, Francesco ha sempre presentato i valori a partire dall’attenzione a ciò che è veramente prioritario, ovvero a ciò che li motiva profondamente per il cuore umano, mostrandone la capacità di promuovere e realizzare la piena umanità della persona. A nulla servirebbe elencare una serie più o meno ampia di valori «non negoziabili», se poi la loro intrinseca forza di attrazione per il bene delle creature non risultasse chiara. Come ha scritto lo stesso Pontefice nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione» (n. 14). Come afferma la stessa esortazione apostolica non si deve mai dimenticare che «a tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute» (n. 44).
In secondo luogo, Francesco ha inteso sempre guardare all’interlocutore cui rivolgeva la proposta del Vangelo: la sua maniera di approcciare le persone, specialmente i poveri, i piccoli, i sofferenti, la sua attenzione che si faceva abbraccio di tenerezza e sorriso di misericordia, sono state uno stile della proposta cristiana che toccava tutti. Quando affermava «non abbiate paura della tenerezza», Francesco stava enunciando un principio che tocca in profondità la proposta dei valori. Non si possono imporre pesi a persone che non siano in grado di portarli. La gradualità delle esigenze è proporzionale all’amore che s’investe nella proposta dei valori: quanto più si ama, tanto più si sa aspettare che l’altro maturi in sé l’accoglienza libera e convinta di quanto gli viene proposto.
Occorreva, insomma, riscoprire il senso pastorale della dottrina della «gerarchia delle verità», di cui aveva parlato il Concilio Vaticano II, non solo evitando di imporre scadenze impossibili, ma soprattutto facendo in modo che non si perdesse mai di vista il cuore e il profumo del Vangelo (cf. Evangelii gaudium, nn. 34-39). Soprattutto nel campo dei precetti, Francesco riteneva che si dovesse avere grande moderazione «per non appesantire la vita ai fedeli e trasformare la nostra religione in una schiavitù, quando la misericordia di Dio ha voluto che fosse libera» (n. 43).
Infine, papa Francesco ha dimostrato di avere forte e chiaro il senso della cosiddetta “complexio catholica”, su cui tanto insisteva Romano Guardini, il pensatore italo-tedesco dalla fede viva, cui Bergoglio ha dedicato molto del suo studio negli anni giovanili: nella “pienezza” cattolica tutto si tiene e deve essere proposto nell’armonia dell’insieme. Non si può, ad esempio, difendere il valore della vita insistendo unicamente sul no all’aborto, senza parimenti affermare il no a ogni forma di violenza e di ingiustizia, il no alla guerra e all’oppressione dei poveri.
Alcuni passaggi dell’Evangelii gaudium hanno potuto scandalizzare solo chi non ha tenuto presente questo principio decisivo (si pensi alle reazioni di un certo liberalismo cattolico negli Stati Uniti): così, ad esempio, gli importanti “no” che Francesco ha voluto sottolineare – dal no a un’economia dell’esclusione, che privilegia alcuni e considera “scarti” altri in un’impressionante «globalizzazione dell’indifferenza» (n. 54), al no all’idolatria del denaro, che governa invece di servire, come è avvenuto nel prodursi della crisi economica mondiale (n. 56) – ribadiscono posizioni della dottrina sociale della Chiesa presentandole nel modo più concreto perché avvenga la conversione al Vangelo.
Fedele ai valori dell’insegnamento che la Chiesa propone in obbedienza al suo Signore, Francesco non desiderava altro che proporli favorendo l’incontro con il Risorto, amore incarnato di Dio. Lo mostrano alcune sue parole, come ad esempio queste nell’Evangelii gaudium: «Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti... Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata» (n. 49). È quanto aveva ribadito nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia (19 marzo 2016): «Ai divorziati che vivono una nuova unione, è importante far sentire che sono parte della Chiesa, che non sono scomunicati e non sono trattati come tali, perché formano sempre la comunione ecclesiale. Queste situazioni esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promuovendo la loro partecipazione alla vita della comunità» (n. 243).
Francesco aggiungeva poi alcune frasi, che potrebbero dirsi una sintesi del suo ministero papale: «Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia immeritata, incondizionata e gratuita. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!» (n. 297).
arcivescovo di Chieti-Vasto