giovedì 18 gennaio 2024
Il rettore della Pontificia Università Salesiana: per accompagnare le nuove generazioni servono empatia, disponibilltà all'ascolto, senza toni giudicanti e senza linguaggi enfatici
Don Andrea Bozzolo

Don Andrea Bozzolo - Archivio

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L’emergenza educativa che stiamo attraversando impone di avviare percorsi strutturati e consapevoli di educazione all’affettività e alla sessualità. Sono percorsi che dovrebbero essere pensati con empatia e disponibilità all’ascolto, senza toni giudicanti e senza linguaggi enfatici. Mercoledì scorso il Papa ha sintetizzato con grande chiarezza il significato dell’amore come dono di Dio. Ma proprio perché Dio è amore la Chiesa non può rimanere ai margini e deve considerare l’educazione all’affettività e alle relazioni come qualcosa che ci riguarda direttamente.

Parlando di amore, l’approccio cristiano si rivolge a tutta la persona, come totalità di corpo e anima. Già nel Sinodo sui giovani del 2018, i vescovi avevano riconosciuto francamente che su molti temi prevale «talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciare emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione ». Ascoltare con empatia richiede umiltà, pazienza, disponibilità a non giudicare, impegno a elaborare comprensione più profonda. Senza questa alleanza gli educatori rischiano di ricorrere a un linguaggio che non aiuta ad elaborare il vissuto. Dobbiamo parlare ai giovani con efficacia ma anche con verità. Non è vero che l’estendersi della libertà sessuale si sia accompagnata a una crescita del benessere emotivo. Oggi le emozioni dei giovani sono diventate il piano problematico dell’esperienza sociale, un campo in cui regna la confusione.

Ma, al di là del linguaggio, dobbiamo fare seriamente i conti con l’eredità della rivoluzione sessuale, che promette la liberazione del sesso e che, invece, ha finito per concorrere alla sua mercificazione. Se si trasmette l’idea che il sesso è l’emblema primario del desiderio e poi lo si presenta come un istinto incontenibile, un’energia senza logos e senza regole, non dobbiamo stupirci che l’esito sia l’aumento della violenza di genere e della depressione giovanile.

Nei percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità, tra le varie attenzioni, dobbiamo avere tutta la cura necessaria per arginare il rischio della confusione, alimentata dall’ambivalenza che contrassegna i mutamenti della cultura affettiva in cui siamo immersi. Penso al rischio di decostruire il vincolo originario che sussiste nell’alleanza tra l’uomo e la donna, ai legami familiari, alla generazione della vita. Ma anche alla questione femminile. Un conto è – come è giusto – superare gli stereotipi del passato, che spesso hanno plasmato una figura femminile dedita esclusivamente alle mansioni domestiche e alla cura familiare, altro è decostruire il senso della maternità, considerandola come un ostacolo all’emancipazione della donna e alla sua realizzazione sociale.

Ma sia per questo tema, sia per quelli legati ai problemi dell’identità di genere, dobbiamo trovare categorie più evolute, capaci di interpretare la misteriosa sintesi, sempre dinamica, che ogni persona realizza in sé. È proprio quello che intendiamo fare con il corso di Alta formazione “Educazione affettiva e sessuale” che la nostra Università proporrà a partire dalla tarda primavera (informazioni: www.unisal.it; iscrizioni entro il 30 aprile), un intreccio multidisciplinare con alcuni esperti di sicura professionalità tra rilettura dell’esperienza affettiva, approfondimento dell’antropologia cristiana e acquisizione di competenze metodologiche tali da costruire alleanze educative e proposte progettuali.

Nella stessa direzione va il nostro nuovo sussidio “Una pastorale giovanile che educa all’amore” realizzato per offrire agli educatori uno strumento aggiornato in grado di sintetizzare concetti e proposte educative.

Rettore Pontificia Università Salesiana

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