mercoledì 8 febbraio 2017
A Trento un percorso su sfide e impegno per essere testimoni di gioia e speranza.
Ecco perché è bello essere sacerdote
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Quando si può dire che è stato un “bel Consiglio pastorale”? Che cosa rende bella, attraente, la vita di una persona, e in particolare di un prete? Sono domande inconsuete, ma non oziose quelle che hanno caratterizzato la recente settimana di formazione permanente per i preti trentini (in due turni, sempre a Villa Moretta a Pergine) dedicata quest’anno a un tema interdisciplinare: “Presbiteri testimoni e ministri di bellezza”. Dal teologo Leonardo Paris che ha sviluppato il pensiero filosofico sulla bellezza, a don Giulio Viviani con l’approccio liturgico e a don Giuliano Zanchi con quello artistico, l’approfondimento comunitario con l’arcivescovo Lauro Tisi si è rivelato stimolante.

Una consapevolezza su tutte: la dimensione spirituale va arricchita con gli aspetti più profondi della propria umanità, talvolta invece ingiustamente ignorati, temuti o sottovalutati. Un aiuto è venuto dal prete psicologo della diocesi di Vicenza, don Andrea Peruffo, che ha attinto anche all’esperienza della vita monastica e alla sapienza dei Padri della Chiesa. «Proviamo a organizzare tutta la nostra vita e i vari aspetti della quotidianità attorno a un centro vitale, un nucleo che tiene insieme vita psichica e spirituale – ha spiegato –. È uno sforzo continuo di ordinare le scelte secondo una logica evangelica, mentre oggi dobbiamo fare i conti con tante forze disgregatrici che ci invitano a pensare diversamente».

Un primo passaggio, per il prete “trottola” a rischio di stress pastorale, è quello di saper riconoscere le proprie ferite e la guarigione da parte dell’amore del Signore. «Anche il Cristo Risorto porta in sé le tracce della passione e noi preti portiamo continuamente quelle della nostra umanità. Ma questo può rivelarsi di grande aiuto nell’entrare in sintonia con le ferite della gente e aprire un canale di ascolto». Il riconoscimento sereno dei propri limiti – hanno osservato i sacerdoti trentini, riuniti con l’arcivescovo Lauro Ti- si e il vicario per il clero don Ferruccio Furlan – può essere il punto di forza per non irrigidirsi nel formalismo o nel pessimismo, ma ripartire ogni giorno come una persona flessibile, «competente della vita», che sa ascoltare e ascoltarsi. «

Non certo un superuomo perfetto, anzi», ha sottolineato don Peruffo, sviscerando alcuni sani desideri («quello della santità in primo luogo ») da coltivare pure interiormente. E i laici stanno a guardare? «Sarebbe importante che la comunità sapesse essere balsamo per i suoi preti: non sempre noi siamo portati o abituati a farci aiutare. È un aspetto sul quale dovremo riflettere di più».

«Scopro che sono un pozzo e nel fondo di questo pozzo c’è Dio», diceva Etty Hillesum, e la capacità di scavare con fiducia dentro se stessi consente al prete di non farsi frenare dai pericoli segnalati da papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium. Il confronto fra i preti trentini, arricchito anche dalla testimonianza del prete scultore don Marco Morelli, ha evidenziato anche la forte valenza vocazionale di una testimonianza sincera della bellezza della vita sacerdotale.

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