domenica 30 giugno 2019
L’arcivescovo di Milano traccia un bilancio dell’anno pastorale che sta per finire. E auspica una alleanza per «rendere più bella la città e la società»
L'arcivescovo di Milano, Mario Delpini (Fotogramma)

L'arcivescovo di Milano, Mario Delpini (Fotogramma)

COMMENTA E CONDIVIDI

Una Chiesa che ha «una speranza per tutti» e che si dedica in particolare «a chi rischia di restare indietro». Una Chiesa che si ostina ad annunciare a una città «smarrita sul fine ultimo» che la vita non finisce nel nulla, ma che «l’esito ultimo è la vita felice » e ci sono «buone ragioni per impegnarsi a rendere più bella la società». Una Chiesa che incoraggia «l’alleanza tra le istituzioni » perché ogni cosa, la «vita ordinaria» come i grandi eventi – e tali saranno le Olimpiadi invernali del 2026 – sia orientata a «quel bene comune che è la convivenza fraterna», e non si crei «una città dei vincenti e una città dei perdenti». Una Chiesa che «prega per tutti », anche per i politici che la aggrediscono. È la Chiesa di Milano nelle parole del suo pastore, l’arcivescovo Mario Delpini, in questa intervista che lega l’anno pastorale che si chiude con quello che verrà. Parole che chiamano a non fermarsi alla superficie delle cose. Così, rievocando le visite appena fatte ad alcune parrocchie della periferia milanese, mentre altri si sarebbero soffermati sulla composizione multietnica e multireligiosa degli iscritti all’oratorio estivo, ecco Delpini additare «l’evidente problema demografico», e cioè il fatto che «il numero dei bambini e dei ragazzi presenti è inferiore a quello che le strutture potrebbero ospitare».

Il 7 luglio del 2017 papa Francesco la nominava arcivescovo di Milano. «Plena est terra gloria eius», dice il suo motto. In quale modo, magari inatteso, la «gloria di Dio» ha abitato e illuminato questi due anni?

Io definisco la «gloria di Dio» come quell’amore che insegna ad amare e rende capaci di amare. In questo senso, sono sorpreso e ammirato del bene che c’è e del suo splendore mite. Mentre i problemi, le proteste, i drammi fanno rumore, il bene ha questo splendore mite, questa presenza rassicurante, positivamente capillare. È la mitezza del bene, che non fa pubblicità ma tiene in piedi il mondo.

Con la visita pastorale, questo bene nascosto le si fa incontro? E quale volto la diocesi mostra e offre al suo pastore?

Da un lato, dappertutto, c’è la gioia di incontrare il vescovo, la cordialità dell’accoglienza. Dal-l’altro, c’è una presentazione ufficiale dove tutto è positivo e si dice tutto il bene che si fa; ma quando l’interlocuzione è meno formale emergono le preoccupazioni, la trepidazione, il senso di inadeguatezza...

Alla radice ci sono problemi reali o una sovra percezione di alcune negatività?

Ci sono problemi obiettivi che ci preoccupano, come il numero delle presenze giovanili, la complessità delle dinamiche familiari e delle problematiche di coppia, assieme alla percezione di un invecchiare della comunità, di un ridursi delle risorse. Ma c’è anche un’inclinazione al lamento e una sovra percezione di negatività che coprono di grigiore il tanto bene che c’è.

La lettera pastorale «Cresce lungo il cammino il suo vigore », il Discorso alla città «Autorizzati a pensare. Visione e ragione per il bene comune», la conclusione e l’avvio della recezione del Sinodo «Chiesa dalle genti»... Molto si è seminato, in quest’ultimo anno pastorale, nella comunità cristiana come nel 'campo' della società civile e delle istituzioni. Si vedono già i primi frutti?

Un anno pastorale non è sufficiente per misurare l’efficacia di una proposta. Alcune espressioni sono state riprese, così come l’invito a pregare i Salmi è stato abbastanza praticato. Ma la seminagione della Parola di Dio, o di alcuni principi di vita comune, o di alcuni incoraggiamenti alle istituzioni, richiedono più pazienza, più fiducia, più lungimiranza.

Al Corpus Domini ha parlato di una Milano creativa e intraprendente, ma «smarrita sulla direzione promettente e sul fine ultimo»...

La «direzione promettente» è tale rispetto a quell’atteggiamento che io chiamo «l’aspettativa », che riguarda il futuro programmabile, organizzabile in base alle risorse disponibili, ai dati che la sociologia ci offre. Un futuro che si ferma al domani o al dopodomani. Chiamo «speranza», invece, lo sguardo che si rivolge al futuro ultimo. La speranza può essere costruita solo sulla fiducia in una promessa. Il modo con cui ci si può illuminare sull’esito ultimo, è di credere a una promessa. Quindi a una conversione al riferimento a Dio. Se l’esito ultimo è finire nel nulla, non resta che la rassegnazione a morire che percepisco dentro quello smarrimento di cui parlavo. Se invece, come credono i cristiani, c’è una promessa di vita eterna, e l’esito ultimo è la vita felice, allora c’è da sperare, ci sono buone ragioni per impegnarsi a rendere più bella la vita della società, perché abbiamo la responsabilità di trafficare talenti di cui dovremo rendere conto. A questo proposito, come ho detto al Corpus Domini, abbiamo tutti da imparare gli uni dagli altri: i politici dalla gente, gli architetti da chi non ha casa, gli avvocati e i giudici dai detenuti...

Che fare perché le Olimpiadi siano davvero «bene comune» per l’intera città?

La prospettiva del 2026 è certamente gratificante per Milano. Ho fiducia nell’alleanza tra le istituzioni perché le Olimpiadi, com’è stato con Expo, siano un’occasione per tutti e non ci sia una città dei vincenti e una dei perdenti. Parlo di istituzioni che si prendono a cuore il bene di tutti per farlo diventare quel bene comune che è la convivenza fraterna. La Chiesa vi si inserisce secondo la sua vocazione, annunciando una speranza per tutti e dedicando una particolare attenzione a chi rischia di restare indietro, a chi è meno attrezzato per le sfide del presente, ma anche a chi ha più talenti da spendere per una crescita condivisa.

Volto di questa Chiesa è Caritas Ambrosiana che ha appena inaugurato, alla sua presenza, un nuovo «emporio solidale» in periferia, a Lambrate...

Sì, ed è l’esempio positivo, che incoraggio, di una carità non assistenziale ma che promuove la dignità, l’autostima, l’inserimento sociale di chi è nel bisogno. Il primo emporio solidale è nato a Roma. Questo vuol dire che Milano – nonostante la tendenza a parlar male di Roma per dire bene di noi – sa imparare dagli altri. Anche da Roma.

Lo scorso gennaio lei ha inviato ai parroci una lettera sui temi dell’usura e della criminalità organizzata, della loro penetrazione e della minaccia che rappresentano anche per le terre ambrosiane. Quale riscontro ha avuto? Quali percorsi sta aprendo?

Si tratta di un tema complesso, che resta sotto traccia. E che va portato alla luce. Ho scritto ai parroci per sensibilizzarli sul fatto che loro – in modo più discreto ma più diretto di quanto sia possibile alle istituzioni e alle forze dell’ordine – possono percepire e 'incrociare' situazioni di persone e famiglie sovra indebitate, a rischio usura, o già nelle mani degli strozzini. Come vescovi lombardi abbiamo costituito, fin dal 2004, la Fondazione San Bernardino, che fa parte della Consulta nazionale antiusura, recentemente riunitasi a Milano in assemblea. Il suo scopo è accompagnare persone sovra indebitate in percorsi di ridiscussione e di risanamento del debito. La Chiesa non può e non vuole agire da sola. Decisiva è l’alleanza con le istituzioni. E decisivo è non fermarsi a fare informazione sui rischi dell’usura, ma educare alle ragioni, alle virtù civiche, alla prudenza, alla sobrietà, indispensabili per non cadere nella rete delle dipendenze, degli strozzini, della malavita organizzata, e per imparare a distinguere il bene dal male, cercare il primo, rifiutare il secondo. Non sempre i debiti sono colpa di una congiuntura economica negativa...

Un anno fa – fine giugno 2018 – il Consiglio pastorale diocesano pubblicò il documento «Migranti, inquietudine e disagio », nel quale si chiedeva a chi va a Messa di non restare indifferente al dramma di chi rischia, o perde, la vita in mare per fuggire da povertà e guerra. Anche le comunità cristiane 'condividono' pregiudizi, paure e ostilità verso i migranti così diffusi nella società?

Nelle comunità cristiane, come in tutta la società, si condivide soprattutto la confusione che nasce da una presentazione non ragionevole, realistica, documentata del fenomeno delle migrazioni, ma emotiva e – appunto – confusa. Dunque: mi rifiuto di esprimere una valutazione su come la comunità cristiana reagisce al tema, perché è vittima di questa confusione. Usiamo la parola 'migranti', ma non sappiamo di cosa o chi stiamo parlando. Il dramma dei barconi, di chi arriva per mare, di chi muore in mare, è certamente un problema, ma è parte di un tema molto più vasto e complesso. L’appello lanciato un anno fa dal Consiglio pastorale diocesano era un modo per esprimere il senso di confusione di fronte a dichiarazioni che manifestavano un modo non cristiano di affrontare quel problema, e che davano l’idea di una determinazione a costruire muri invece di affrontare davvero la sfida. L’idea che si debbano respingere persone che rischiano di morire in mare, non fa parte della civiltà italiana e mediterranea.

A fine maggio, recitando il Rosario a San Vittore con i detenuti, disse che il carcere e la vita a volte separano, mentre la preghiera unisce, perché ci fa scoprire figli di uno stesso Padre, dunque fratelli. Che fare quando simboli, segni e gesti della fede cristiana sono usati dalla politica per dividere, contrapporre, stigmatizzare?

Non voglio giudicare la politica. Ma dico e ribadisco che la preghiera unisce. Noi preghiamo per tutti, anche per chi fa uno uso strumentale dei simboli religiosi, anche per chi aggredisce la Chiesa con accuse, anche per chi sfrutta la Chiesa per fini propri. Noi preghiamo per tutti, anche per i politici. Dio è Padre di tutti.

Eccellenza, lei non perde occasione per ricordare ai giovani che la vita è dono, ed è risposta a una vocazione. Che cosa fa o farà la diocesi di Milano per aiutarli ad approfondire e vivere questa dimensione decisiva?

Propiziare l’incontro con il Maestro, con il Signore che ci chiama a essere figli di Dio: non può fare che questo, la Chiesa. È la sua missione. Perciò stiamo riflettendo sull’oratorio – che è un grande tesoro della tradizione ambrosiana, in questa diocesi che ha una lunga tradizione di pastorale giovanile – per una revisione e un adeguamento ai tempi. Stiamo riflettendo anche sulla recezione del Sinodo dei vescovi sui giovani e dell’esortazione postsinodale Christus vivit di papa Francesco. Una proposta che lanciamo, è quella di un’esperienza di vita comune, un tempo prolungato, con un progetto educativo ben articolato, per aiutare i giovani ad affrontare questa domanda: che senso ha la mia vita? Che senso ha in rapporto con la rivelazione del Signore Gesù?

Quale sarà la sua proposta per il nuovo anno pastorale?

Non penso a un tema particolare, ma vorrei suggerire di lasciarci condurre dal tempo liturgico. Ritengo che la proposta pastorale più efficace sia quella dell’anno liturgico, col Mese missionario straordinario voluto dal Papa a ottobre, e poi l’Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, Pentecoste... Per essere cristiani, lasciamoci condurre dalla Chiesa e viviamo quanto la liturgia offre tutti gli anni, interpretandolo secondo il tempo presente. La parola chiave? «Docilità». Il saper cogliere in ogni situazione un’occasione.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: