giovedì 22 settembre 2022
L’arcivescovo: la nostra vita sia pane spezzato e dono per i fratelli. Dalla guerra ai riflessi ecclesiali della pandemia, la necessità di «tornare a incontrare il Risorto»
L’arcivescovo Caiazzo

L’arcivescovo Caiazzo - .

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«L’appuntamento che inizia oggi è tutto nel suo stesso titolo: “Torniamo al gusto del pane”. Perché nella pandemia siamo stati privati anche della partecipazione alla celebrazione eucaristica, con tanti fedeli che si sono allontanati. E oggi viviamo una guerra in Europa che è diventata anche guerra energetica e, prima ancora, guerra del pane e del grano. Allora torniamo ad assaporarlo questo pane, torniamo a incontrare Gesù Cristo, a cogliere questo dono perché perdendo di vista Dio, qualche volta con la pretesa di sostituirlo, stiamo perdendo di vista la nostra identità di uomini». È l’invito che l’arcivescovo di Matera-Irsina, Antonio Giuseppe Caiazzo, presidente del Comitato per i Congressi eucaristici nazionali, rivolge ai delegati del 27° Congresso nazionale che si apre oggi nella città dei Sassi e che sarà concluso domenica da papa Francesco con la Messa.

Eccellenza, lei ha più volte detto che per capire la portata di un Congresso eucaristico va prima di tutto compresa la logica del dono. Che cosa significa?
L’Eucaristia non è solo pane e vino che, attraverso la transustanziazione, diventano corpo e sangue di Cristo, ma pane spezzato e vino versato. In questo modo riusciamo a cogliere il senso della sua vita offerta per noi. E la logica del dono ci aiuta a capire che celebrare l’Eucaristia, ricevere Gesù Eucaristia, non significa stare bene, aver soddisfatto una regola, aver ricordato l’anima di una persona cara. È anche questo! Ma prima di tutto significa spendere, come Gesù, la propria vita in un dono che si fa pane spezzato e nutrimento per il bene dei fratelli.

Questo appuntamento rappresenta una tappa fondamentale nel Cammino sinodale della Chiesa italiana. Con quali attese nasce
Non a caso il titolo del Congresso recita anche “per una Chiesa eucaristica e sinodale”. Chi ascolta la Parola partecipa all’Eucaristia, avviando processi a lungo termine attraverso un cammino sinodale che si svela man mano che si va avanti. Non significa prendere decisioni, ma strade che spesso sono faticose, in salita come da Emmaus verso Gerusalemme, condividendo l’esperienza del Risorto oggi e qui, maturando e rispettando i tempi che la legge naturale indica: arare, seminare, crescere, maturare, mietere, macinare, impastare, cuocere, gustare. Senza tutto questo, ribadisco, il rischio è di partecipare a un rito dove l’intento è solo quello di soddisfare un precetto. La vera celebrazione è un <+CORSIV50R>continuum<+TOND50R>, tanto che la conclusione della Messa, racchiusa nella formula latina “Ite Missa est”, non significa “la Messa è finita” ma la Messa inizia adesso.

La presenza di papa Francesco in città, il 25 settembre, coincide con la data delle elezioni politiche. Questo ha creato problemi organizzativi?
Avremmo preferito che si votasse anche la mattina di lunedì 26, certo. Ma sono state apportate alcune modifiche di orario alla visita del Pontefice per aiutare i delegati a ripartire presto, domenica, e raggiungere così le rispettive sedi in giornata. La visita del Papa resta attesissima perché darà una risposta chiara e fattiva al lavoro che la Chiesa italiana sta facendo, confermandola nella fede. La sua presenza, nonostante le tante difficoltà subentrate per la data, ci conforta e ci offre una speranza reale.

Delegati, religiosi, sacerdoti, vescovi e cardinali. Il Congresso è un evento per addetti ai lavori? E se non lo è, a chi parla?
Certo che non è un evento per addetti ai lavori. Ritrovarsi per annunciare una ripartenza collettiva non esclude proprio nessuno. Lo testimoniano i tantissimi laici impegnati qui da oggi a domenica. Lo testimoniano i tanti appuntamenti collaterali radicati nel sociale. Credo che la Chiesa italiana, proprio perché rappresentata dalla maggior parte delle diocesi, con un’ottima partecipazione di pastori, guarda a Matera con un occhio particolare perché da qui si vuole dare un annuncio all’umanità: vogliamo ritornare a sentire che siamo figli di questa stessa terra, siamo dei fratelli e dobbiamo non tanto continuare a fare emergere differenze quanto piuttosto incontrarci. Dall’Eucaristia scaturisce una ministerialità della Chiesa che investe in modo particolare i laici, che possono e devono riscoprirsi protagonisti. Ci incontriamo per dire “no” alle guerre, alle ingiustizie, alla fame. E Matera è essa stessa un simbolo perché rappresenta, quale città tra le più antiche del mondo e quale culla di civiltà e culture, questo voler risorgere a vita nuova.

In che modo?
Matera ha una storia di quasi 10mila anni e dopo momenti di grandi sofferenze e decadenza, è sempre risorta. Nel dopoguerra la gente viveva qui nell’assoluta povertà, nella promiscuità di vita tra uomini e animali e con una mortalità infantile record. Ma questa città con i suoi rioni Sassi è passata, in pochi decenni, dall’essere considerata «infamia nazionale», come la definì Palmiro Togliatti nel 1948, a patrimonio culturale dell’umanità Unesco (1993), e a ricoprire, tre anni fa, il ruolo di Capitale europea della cultura. Oggi Matera è teatro del Congresso eucaristico nazionale. La storia insegna: veniamo da un tempo difficile in cui siamo tuttora immersi. Sembra che al dipanarsi di una situazione di emergenza ne segua immediatamente un’altra. Ma non vogliamo abbassare la testa. Vogliamo risorgere.

Restiamo per un attimo a Matera. È vero che lei ha compiuto uno studio sul famoso pane che si produce in città, prima di proporlo a titolo del Congresso?
Sì, è vero. E mi sono divertito. Ho scoperto che quello di Matera è un pane “trinitario” e “cristologico”.

Prego?
Nella sua lavorazione, da secoli, i fornai materani, per devozione, lo impastano imprimendo tre segni nella massa da infornare, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Inoltre il nostro è l’unico pane che cresce in altezza, cioè sembra andare verso Dio, e quando viene tagliato ogni fetta ha la forma del cuore. I capofamiglia prendevano quel pane, venerato e adorato e che rendevano ricche le nostre case nonostante la povertà, lo spezzavano e lo offrivano ai diversi componenti, sperimentando l’unità nell’Eucaristia familiare. Ecco perché questo Congresso a Matera, con il suo pane, ha trovato la giusta collocazione.

Come ha preparato l’evento la sua arcidiocesi?
Per noi è stato un onore aver ricevuto dalla Cei un tale investimento. Abbiamo lavorato tanto, assieme alle autorità civili che ringrazio, per essere all’altezza delle città più grandi che hanno ospitato il Congresso prima di noi, ultima delle quali Genova. Abbiamo voluto che il Congresso fosse preparato e partecipato da tutta la Basilicata. Nessuno vuole una celebrazione ma una condivisione e l’aver vissuto l’esperienza del Sinodo diocesano, concluso lo scorso anno, ci dà l’opportunità di trovare un naturale futuro percorso di impegno anche sul piano socio-culturale.

Si riferisce alle opere-segno che saranno, per così dire, l’eredità del Congresso?
Con questo Congresso diamo il via a quattro opere che rappresentano l’attenzione della Chiesa locale nello spezzare e condividere il pane. Inaugureremo a Matera la “Mensa della fraternità don Giovanni Mele” da 135 posti; a Serramarina di Bernalda, inoltre – dove da alcuni anni combattiamo il caporalato con la “Casa della dignità Santa Marta” — verrà prodotto da migranti, che hanno firmato contratti di lavoro regolari, il vino per la Messa distribuito alle chiese italiane. Ne siamo orgogliosi.

E gli altri due segni?
A Pisticci abbiamo messo a disposizione un monastero, completamente ristrutturato, per le famiglie con bambini autistici: sarà una struttura unica in Basilicata. Mentre l’ultima opera riguarda il nuovo polo culturale diocesano “Mab” (Museo, archivio, biblioteca), che sarà destinato a tutta la comunità. Così serviamo quattro ambiti: povertà, condivisione, promozione umana e cultura.

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