giovedì 9 aprile 2020
L’arcivescovo prelato: a Maria affidiamo i nostri affanni certi che arriveranno a Cristo
L’arcivescovo prelato e delegato pontificio Dal Cin

L’arcivescovo prelato e delegato pontificio Dal Cin - .

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Una piccola casa capace però di accogliere il mondo intero. Un luogo in cui diventano preghiera anche le sofferenze più intime, le paure di cui ci vergogniamo, il dolore che fatica ad esprimersi se non attraverso il linguaggio del cuore. A Loreto, spiega l’arcivescovo prelato Franco Dal Cin delegato pontificio per il Santuario della Santa Casa, si viene sicuri di incontrare una Madre, di poter contare sul suo abbraccio accogliente. «Quante volte da piccoli ci siamo rivolti alla mediazione della mamma – sottolinea –, certi che avrebbe trovato le parole giuste e il momento adatto per far giungere al papà le nostre richieste “impegnative”, che altrimenti non avremmo avuto il coraggio di presentargli. Anche se Dio si è fatto uomo ed è più vicino a noi di noi stessi, Maria, nella nostra esperienza di fede, è la persona privilegiata alla quale consegniamo i nostri affanni, le nostre richieste nella certezza che arrivano al cuore di Cristo».

La “forma” più comune di questo affidamento è il Rosario. Perché è una preghiera così sentita, così popolare?
Il Rosario, preghiera mariana per eccellenza, è eminentemente cristologica. Ci fa contemplare la vita di Cristo accompagnati da Maria, la discepola perfetta, che plasma in noi gli stessi sentimenti di Gesù. È una preghiera semplice, ripetitiva, corale, che sgorga spontanea dal cuore e ci aiuta ad affidarci al Signore con umiltà e fiducia. Dona tanta pace e porta a maturazione gli atteggiamenti più veri della nostra vita.

Tra il Santuario di Loreto e l’Italia c’è un legame molto stretto, che questa celebrazione di ieri sera rafforza..
Direi non solo con l’Italia ma col mondo intero. Perché all’origine di Loreto non c’è una apparizione o un immagine prodigiosa, ma le tre pareti della Casa di Maria, testimoni del sì della Vergine e del sì di Dio che è venuto a fare casa con noi. È una reliquia che appartiene a tutta la cristianità e al mondo intero. Ogni persona si sente a casa in Santa Casa perché lì non c’è situazione umana che non trovi riferimento nella vita di Maria e della Santa Famiglia. «La Santa Casa di Loreto – ha detto Giovanni Paolo II – è il primo Santuario di portata internazionale dedicato alla Vergine e vero cuore mariano della cristianità». Il vantaggio dell’Italia è di poter facilmente raggiungerlo e beneficiare della sua azione pastorale rivolta principalmente, come indicato da papa Francesco, alle famiglie, ai giovani e ai malati. In questi giorni difficili è stato anche attivato il Centro d’Ascolto online per aiutare a vincere la solitudine e l’isolamento, grazie al contributo volontario di una qualificata équipe di psicoterapeuti e religiosi, disponibili tutti i giorni e di sabato anche in altre lingue.

State vivendo il Giubileo per il primo centenario della proclamazione della Madonna di Loreto patrona degli aeronauti. In che modo è condizionato dalla pandemia?
Sicuramente non è un Giubileo come lo avevamo programmato nelle sue iniziative, ma non è meno fecondo nei suoi frutti di conversione e santità. Dio è fedele anche nella pandemia. Qui la preghiera è continua ed aumentano di giorno in giorno le persone che si uniscono anche attraverso i social. La Santa Casa richiama tutti alla fecondità della vita di fede vissuta nella semplicità e ripetitività del quotidiano. Maria ha sperimentato, come noi ora, tante situazioni difficili: l’esilio in Egitto, la fatica di crescere un Figlio che spesso non capiva, la vedovanza, la condivisione della missione di Gesù, fino al momento culminante della Croce. Lei ci insegna a vivere nella fede; ci incoraggia a resistere nella prova, nella certezza che nulla ci può separare dall’amore di Cristo, ma tutto, anche la sofferenza, concorre al bene. Maria ci dice che ogni dolore, se vissuto nella Pasqua del suo Figlio, rigenera la nostra vita. Lei ci garantisce che dalle zone secche della nostra terra, irrigata dalle lacrime della sofferenza di oggi, spunteranno nuovi germogli di vita.


Viviamo un Giubileo diverso da come l’abbiamo pensato ma non meno fecondo Dio è fedele anche nella pandemia» L’arcivescovo prelato e delegato pontificio Dal Cin Nella foto centrale il Rosario recitato ieri nel santuario della Santa Casa di Loreto

Il Giubileo si accompagna a una grande “peregrinatio” mariana negli aeroporti, luoghi simbolo degli incontri, degli scambi che il contagio sta paralizzando...
È vero gli aeroporti sono luoghi di incontri. Oggi abbiamo accorciato le distanze: in poco tempo si attraversano gli oceani. Tuttavia, non basta viaggiare o accendere un computer per incontrarsi. È necessario prima di tutto convertirci, lasciarci liberare dalla presunzione di bastare a noi stessi, di essere autosufficienti, di non aver bisogno di Dio e degli altri. Maria la donna umile che ha aperto il cuore all’irruzione dello Spirito, dopo aver pronunciato il suo sì al Signore, si è messa in viaggio verso Elisabetta. Lì, nel servizio e nella comunicazione della fede, ha cantato il suo Magnificat. Oggi dobbiamo reimparare a cantare la gratitudine a Dio per la vita. Riscoprirla come dono ricevuto, che si realizza solo se diventa un dono donato. È la logica del servizio, è la vita spesa per cercare di fare il bene.

Con quale immagine fotografa questa situazione?
Spesso si sente paragonare questo difficile momento ad una sorta di “guerra”. È un’immagine che esprime indubbiamente la gravità della situazione. Preferisco però usare un’altra immagine: quella della 'cura'. Il terribile virus ci fa capire che, sani e malati, dobbiamo metterci tutti in cura! Nella guerra vige la regola: mors tua vita mea. Nella cura invece esiste un’altra logica: non ci si salva da soli, ma insieme. Tutti in cura per imparare innanzitutto ciò che conta davvero nella vita e ciò che invece è illusorio e effimero. E, paradossalmente, renderci conto che si può guarire dai nostri egoismi, dall’individualismo, dall’indifferenza… tanto quanto ci si prende cura gli uni degli altri, a cominciare dai più deboli che vanno sempre “trattati con più cura”. Come ci ricorda papa Francesco: non pensiamo solo a quello che ci manca, pensiamo al bene che possiamo fare.

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