venerdì 12 marzo 2021
Poeti e scrittori, da Dante a Dostoevskij, ma anche autori di canzoni come de Moraes. Viaggio tra le citazioni fatte dal Papa negli otto anni di pontificato, che ricorrono domani
Da Manzoni a Borges e Neruda ecco la «biblioteca» di Francesco

Ansa

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Gli otto anni di pontificato di papa Francesco, che ricorrono domani, si possono analizzare in molti modi. Ma c’è un aspetto che è come un balcone panoramico affacciato sul suo magistero: le citazioni letterarie disseminate nei discorsi, nelle interviste e nei documenti. Si pensi, solo per fare alcuni esempi, che in Querida Amazonia si fa riferimento a sedici autori, tra i quali Pablo Neruda, che in Fratelli tutti coesistono Vinícius de Moraes e Virgilio e che in Amoris laetizia, accanto ad Agostino e Ignazio di Loyola si trovano i sudamericani Jorge Luis Borges, Octavio Paz e Mario Benedetti, i cui versi d’amore, raccomanda in pratica Bergoglio, dovrebbero essere ripetuti ogni giorno in una coppia: «Le tue mani sono la mia carezza/ i miei accordi quotidiani/ (…) Se ti amo è perché sei/ il mio amore la mia complice e tutto/ e per la strada fianco a fianco/ siamo molto più di due». Per il Papa infatti «l’uomo è un essere narrante» e perciò una guida ragionata a quella che qualcuno ha definito «la biblioteca di Francesco» è utile anche per ripercorrere i suoi otto anni sulla cattedra di Pietro.

A fare citazioni, del resto, il Pontefice ha cominciato appena eletto. Già durante la prima Messa nella Sistina disse con le parole del poeta francese Léon Bloy «chi non prega il Signore, prega il diavolo». E da allora non si è più fermato, spaziando da Manzoni e Dostoevskij a Hölderlin e Péguy, senza dimenticare Dante, cui ha reso omaggio ricevendo lo scorso ottobre l’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni e una delegazione della città di Ravenna, per i 700 anni della morte del poeta.

Manzoni e la misericordia Senza pretesa di esaustività si possono comunque fissare un punto di partenza e alcuni percorsi tematici. Il primo è quasi d’obbligo: I promessi sposi, romanzo che il Papa ha letto almeno tre volte e definito «un’appendice di Vangelo». I motivi sono più d’uno. La fede indefettibile degli umili come Lucia (la «classe media della santità», come direbbe Joseph Malègue, altro autore caro al Pontefice), la Storia narrata dalla periferia, la visione di un Dio che - come la stessa Lucia ricorda all’Innominato - «perdona tante cose per un’opera di misericordia» e anche il tratteggio di alcune figure emblematiche di pastori sui quali ritorneremo più avanti. Tutti temi estremamente vicini all’agire pastorale del Papa. Che nella catechesi del 25 maggio 2015 non ha esitato a indicare ne I promessi sposianche una guida al fidanzamento. Agli antipodi del mondo manzoniano, ma in funzione di singolare complementarietà, troviamo poi il Robert Hugh Benson de Il padrone del mondo, distopia scritta nel 1907 in cui si immagina che la fede crolli sotto i colpi della mondanità, non a caso stigmatizzata fin dalla prima omelia da Pontefice. Diverse volte il Papa ha citato questo romanzo come una sorta di campanello d’allarme per i cristiani del nostro tempo (così come con lo stesso intento, sul piano più strettamente po-litico, ha fatto riferimento a Sindrome 1933 di Siegmund Ginzberg). Una ragione di più per insistere sulla «Chiesa in uscita» e sul rifiuto del «si è sempre fatto così».

Tolkien e la Chiesa in uscita I riferimenti letterari in questo caso vanno da Tolkien a Leopoldo Marechal all’Eneide. In relazione al primo è illuminante quanto ricordava qualche anno fa su «Avvenire» l’attuale direttore de «L’Osservatore Romano », Andrea Monda. In un’omelia tenuta a Buenos Aires nel 2008 il cardinale Bergoglio parlava dell’hobbit Frodo Baggins, il quale nella Trilogia dell’anello «parte per fedeltà a una vocazione di cui non conosce né i dettagli né l’esito finale». Un po’ come Abramo, la cui terra Francesco ha visitato nei giorni scorsi. O come lo stesso Enea, il pio eroe virgiliano, ugualmente fedele fino in fondo alla sua missione. Scrive l’argentino Marechal nel romanzo Megafòn o la guerra, ambientato in una Buenos Aires dalle molteplici periferie: «Tutto è in continuo movimento nel macrocosmo e nel microcosmo, da un atomo alla galassia. Il problema dell’uomo non è nel movimento, bensì nella quiete». Guarda caso, proprio nell’omelia del 14 marzo 2013 papa Bergoglio disse: «Quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre alla presenza del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiede ad Abramo». Si potrebbe aggiungere Il divino impaziente dramma su san Francesco Saverio di José María Pemán, citato il 31 luglio 2013 nella chiesa di Sant’Ignazio a Roma come emblema dell’ansia di evangelizzare senza esitazioni e indugi. La stessa ansia che pervade tutto il pontificato.

I pastori con l’odore dell’arte Si comprende così anche la funzione che Bergoglio assegna alla letteratura e all’arte più in generale. Ha scritto padre Antonio Spadaro: «Non un laboratorio di sperimentazione», né «un circolo elitario», ma «frontiera avanzata della comunità». Una visione che richiama da un lato la metafora dell’«ospedale da campo», dall’altro la religiosità popolare che il Papa ha assorbito fin da piccolo grazie anche alla nonna Rosa. Era lei che gli insegnava le poesie in piemontese di Nino Costa (citato nella visita a Torino nel 2015) ed è sempre come atto di omaggio a lei che ha imparato ad amare Friedrich Hölderlin, in special modo la lirica «di grande bellezza» che il poeta tedesco scrisse per il compleanno della sua nonna. E dunque, fa notare il direttore de «La Civiltà cattolica», il Papa «ama la letteratura e l’arte non come un mondo a parte, aulico, sostanzialmente borghese », ma «perché amplia la sua capacità di fare esperienza e gli permette di essere più vicino a chi ha effettivamente accanto, di comprenderlo meglio ». Pastore con l’odore delle pecore anche in questo caso.

A tal proposito è opportuno tornare a Manzoni. Fra gli ecclesiastici del romanzo è naturale che il preferito di Francesco sia fra’ Cristoforo «campione di vicinanza a tutti, ma soprattutto ai più piccoli, ai più scartati, ai più disperati» come disse il 14 settembre 2018 ai Cappuccini. Ed è altrettanto ovvio che, come ha ribadito all’Angelus del 15 aprile 2020, «in tempo di pandemia non si deve fare il don Abbondio ». Ma c’è una riflessione anche sul cardinale Borromeo nell’intervista ad Austen Ivereigh pubblicata su «La Civiltà cattolica » l’8 aprile 2020: «Il cardinale Federigo è un vero eroe di quella peste a Milano. In un capitolo, tuttavia, si dice che passava salutando la gente, ma chiuso nella lettiga, forse da dietro il finestrino, per proteggersi. Il popolo non ci era rimasto bene. Il popolo di Dio ha bisogno che il pastore gli stia accanto, che non si protegga troppo. Oggi il popolo di Dio ha bisogno di avere il pastore molto vicino». Proprio il ritratto di consacrato che piace al Papa e che ha incarnato nella sua vita. Dostoevskij e la carne dei poveri Allo stesso modo nella predilezione per Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij si può scorgere l’amore preferenziale per i poveri. Lo ha spiegato lui stesso nella citata intervista a Ivereigh: «Mi permetto di dare un consiglio: è ora di scendere nel sottosuolo e passare dalla società ipervirtualizzata, disincarnata, alla carne sofferente del povero, è una conversione doverosa. E se non cominciamo da lì, la conversione non avrà futuro». Così non è possibile non riconoscere «la cultura dell’incontro» e il magistero della Fratelli tutti nei riferimenti ai poeti Clemente Rebora (si veda il discorso al Consiglio d’Europa) e John Donne («nessun uomo è un’isola») e al poema Martín Fierro dell’argentino José Hernández, che sogna una società inclusiva per tutti, dal commerciante porteño all’immigrato al gaucho del litorale.

Aprire processi con la letteratura Un’ultima annotazione, in attesa delle prossime citazioni. Anche con la letteratura Francesco tende ad aprire processi, più che a occupare spazi. Si pensi alla prefazione, firmata all’inizio di quest’anno per Rime a sorpresa del giovane poeta italiano, Luca Milanese, segno di una preferenza per l’acerbo in crescita, piuttosto che per l’usato sicuro. O alla visita a casa della scrittrice Edith Bruck, sopravvissuta alla Shoah. E soprattutto torna in mente l’episodio legato alla sua amicizia con Borges, al quale fece leggere i racconti che aveva chiesto ai suoi allievi di scrivere. Borges poi firmò la prefazione a quella raccolta e l’esperienza creativa ebbe grande importanza nel percorso sacerdotale del Papa. In fondo è anche così che cresce la capacità di discernimento di un pastore. E in questi otto anni se ne è avuta ampia conferma.

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