giovedì 29 luglio 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Dieci minuti alle sei. A Czestochowa il cielo è ancora pallido, la città deserta. Solo attorno al santuario uno scalpiccio di passi veloci. Alla spicciolata i fedeli si affrettano verso la Cappella della Madonna. Varcano il grande portone vegliato da san Michele Arcangelo con la spada sguainata, superano il primo cortile, si fermano. La Cappella è già colma di gente. Sulla Madonna nera c’è la copertura d’argento che di notte, finite le veglie, viene calata sull’icona. Si aspetta in piedi, in silenzio. Allo scoccare delle sei un inno di trombe e di tamburi esplode trionfale, e lentamente la barriera d’argento si solleva. Appare la veste di diamanti, e il Bambino, e il volto dolce e affilato della Madonna bruna; con quegli occhi, che sembrano guardare pensosi chi la guarda. Nell’attimo in cui il volto si mostra, tutti nella chiesa, come una cosa sola, cadono in ginocchio – un tonfo sordo sul pavimento di pietra. Quel prostrarsi compatto della folla commuove, e resta scolpito nella mente. Non è semplicemente devozione: è l’omaggio di un popolo alla sua regina. L’alzarsi della cortina segna un nuovo giorno, in cui di nuovo la regina dà udienza. E le trombe e i tamburi suonati ogni mattina dall’alto del coro hanno un’eco di marcia trionfale. A Jasna Gora da settecento anni la Madonna è sovrana, e il popolo polacco è il suo esercito. Giovanni Paolo II, figlio di questa terra, quando nel 1979 tornò come Papa nel salutare la folla immensa citò un antico canto polacco: «Dal momento che di Cristo noi siamo le ordinanze, servi di Maria…». Esercito fedele. Nelle invasioni, negli assedi, nella oppressione, tenace. Ti guardi intorno: c’è chi prega rannicchiato con la fronte a terra, chi si è portato un bambino e gli volge con la mano la faccia paffuta verso la Madonna, e chi si ferma a pregare appena fuori dalla cappella interiore, le mani sulle inferriate – quasi non osando avvicinarsi di più. Come pregano i pellegrini polacchi, ti dici, con un sentimento quasi di soggezione. In questa Europa secolarizzata, mentre una tempesta infuria sulla Chiesa, il popolo di Jasna Gora cade in ginocchio ad ogni nuova alba, davanti alla sua regina. Alzi gli occhi alle pareti della cappella: grondano di ex voto. Ai due lati, appese, migliaia di collane di corallo e ambra del Baltico. Ciascuna donata da una sconosciuta, nei secoli, per grazia ricevuta. Questa massa di ex voto grava sulla piccola cappella con una strana forza. Lo stesso manto della Madonna è tempestato di gioielli donati. Per che cosa si lasciano simili tesori? Per un figlio guarito, per un marito tornato vivo dal fronte: per una grande grazia ricevuta. E tutta Jasna Gora con il suo oceano di doni preziosi testimonia al visitatore incredulo o dubbioso che è vero. che la madre di Cristo davvero guarda gli uomini, e li ha a cuore. Coralli e ambre, e ori dai muri ripetono: è vero. È questa certezza di roccia in cui vai a cozzare salendo a Jasna Gora, la "collina chiara" dove dei monaci dell’Ordine di San Paolo Eremita, giunti dall’Ungheria nel 1382, fondarono un convento. Quando il principe Ladislao di Opole portò qui quell’icona dai tratti bizantini, arrivata da Gerusalemme e già venerata da secoli, folle di pellegrini cominciarono a convergere a Czestochowa, per la gran fama di miracoli che si diffondeva nel popolo. E non bastarono le truppe boeme, svedesi, né quelle di Hitler, né di Stalin a fermare le folle. Una storia infinita di assedi e guerre è impressa sul volto della Madonna nera, segnato da un antico sfregio nemico; ma è scritta anche in ogni muro di Jasna Gora. Lo avverti dal primo istante, quando dalla città, salendo, ti si para davanti la mole del santuario. Santuario? Con quelle mura poderose, e la torre alta a sorvegliare la pianura, e la struttura di cortili e mura stratificati attorno alla cappella della Madonna, Jasna Gora sembra piuttosto una fortezza. Stretta a difesa della camera, dove la Regina dà udienza. Nei cortili vedi approdare le colonne affannate di pellegrini venuti a piedi da Cracovia, come i ragazzi di Cl in agosto, o da Varsavia. Adolescenti rossi in volto, la pelle chiara scottata dal sole. Ma bisogna abbassare lo sguardo e osservare i piedi, questa marea di piedi stanchi, doloranti, impolverati che compiono gli ultimi passi verso la Madonna nera. Sono quei piedi, che raccontano la fede a Jasna Gora. Oppure incroci, dirette alla Cappella, sciami di bambine candide nella veste della Prima Comunione; leggere come farfalle, emozionate come spose. Possibile, ti chiedi, che la fede in Polonia non declini come nel resto dell’Occidente? Padre Andrea Laskus, anziano monaco paolino, risponde: «Forse oggi sono di meno, i polacchi che credono; ma chi crede in Dio, ci crede di più». E passi accanto a file di confessionali scuri, e in ciascuno un pellegrino si confessa, e un monaco assolve. I 120 monaci del convento passano migliaia di ore all’anno in confessionale. Respiri fra queste mura una fede antica, granitica. Indissolubilmente legata alla storia del popolo polacco. Ogni momento cruciale di questa storia, da secoli, passa per la "collina chiara". È leggendaria la vittoria di 170 difensori del santuario, contro un’armata di ben 3000 svedesi, nel 1655. Giovanni Sobielski, il vincitore dell’assedio dei turchi a Vienna del 1683, ha lasciato a Jasna Gora le insegne delle sue truppe. Quando l’esercito bolscevico nel 1920 fu respinto, per il popolo fu il miracolo della Vistola, il miracolo della Madonna di Jasna Gora. Quando a cacciare i nazisti venne l’Armata rossa, Chiesa e popolo oppressi insieme trovarono a Jasna Gora un approdo per incontri clandestini e resistenza spirituale. Solidarnosc passò attraverso Jasna Gora. E oggi, dopo la tragedia di Smolensk che ha decapitato il governo, questa sera a Czestochowa la gente prega per il suo paese. Sono le nove, è l’ora dell’Appello: i pellegrini recitano la Bogurodzica, l’antica invocazione alla Madonna. Il monaco che sull’altare dà le spalle ai fedeli prega per la Polonia: che la aiuti Dio, che la aiuti sua Madre. La gente prega con fervore. C’è un gruppo di onorevoli da Varsavia in giacca e cravatta, in ginocchio con gli altri. Il visitatore italiano si meraviglia. Si usa ancora, qui, pregare insieme per un bene comune. Dopo l’Appello, quando la cappella si svuota, noti nell’andartene quattro figure dimesse tra i banchi, nelle ultime file. Quattro clochard segnati dagli anni e dall’alcool. Uno, magro, estenuato, un valigione in mano, sembra il Santo Bevitore di Roth, come venuto a pagare un debito antico. Si siedono i mendicanti con le loro povere borse, chiudono gli occhi. Pregano? Dormono? Non importa; anche loro trovano asilo sotto a quello sguardo misericordioso.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: