sabato 24 settembre 2022
Nel percorso della Via Lucis, l’arcivescovo di Modena-Nonantola, Erio Castellucci, ha sottolineato analogie con quanto sta vivendo in questi anni la Chiesa italiana
Una delle tappe della Via Lucis ieri pomeriggio a Matera, presieduta dall’arcivescovo Castellucci

Una delle tappe della Via Lucis ieri pomeriggio a Matera, presieduta dall’arcivescovo Castellucci - Siciliani

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La luce del pomeriggio bacia la facciata di san Pietro Caveoso, indorandola come un pane appena sfornato, sullo sfondo di un cielo azzurro come pochi. Via Lucis di nome e fatto, in questo secondo giorno del Congresso eucaristico nazionale, che raccoglie i delegati e i materani all’interno dei Sassi, dopo la mattinata trascorsa in Cattedrale per la meditazione del vescovo di Mantova, Marco Busca. Un cammino di Chiesa, come sottolinea il vicepresidente della Cei, Erio Castellucci, in una breve riflessione al termine dell’itinerario.

«Abbiamo vissuto una celebrazione davvero sinodale: popolo di Dio in cammino, sui sentieri aperti del mondo, alla luce della Parola e del Pane di vita che è il Signore Gesù». E questi sono anche «gli ingredienti essenziali del Cammino sinodale, perché sono gli ingredienti essenziali della Chiesa: non un popolo ritagliato a parte – dice l’arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi –, non un popolo già arrivato alla meta, non un popolo seduto in attesa della conversione del resto del mondo, ma un popolo che cammina».

Luce e cammino, dunque. Otto stazioni in uno scenario tra i più suggestivi al mondo, da Santa Maria in Idris a San Pietro Caveoso, cuore dei Sassi. «La Chiesa, infatti, nasce itinerante: si sente dire fin dall’inizio dal Maestro: “vieni e seguimi”, non “vieni e siediti”». Castellucci sottolinea ancora: «Il Cammino sinodale è prima di tutto movimento di Chiesa, cambiamento, conversione dei discepoli, liberazione da ciò che non odora di Vangelo, da ciò che non ha il gusto del pane, suo Corpo donato».

E perciò «il Cammino sinodale trova il suo paradigma nella celebrazione eucaristica, che è come un Sinodo concentrato: è un popolo radunato per riconoscersi peccatore – siamo peccatori in cammino –, per bagnarsi nella freschezza dell’ascolto di una Parola intramontabile, per rigenerarsi alla mensa del pane e del vino, per rinsaldare la fraternità, per intrecciare la vita quotidiana con “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” e con il pane che lo Spirito stesso rende Corpo di Cristo». In questo modo «la Chiesa, resa a sua volta Corpo dall’Eucaristia, deve spezzare il pane con tutti – specialmente con i troppi Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi – se vuole essere fedele alla chiamata del suo Signore».

Il tema della tavola, anzi delle diverse tavole (del Creato, della famiglia e dell’altare), si era affacciato infatti in mattinata nella meditazione di monsignor Busca. Il quale aveva messo in evidenza le tante contraddizioni del rapporto odierno con il cibo. «Il mondo, purtroppo, sembra diviso tra chi non ha fame perché ha troppo cibo e chi ha fame perché non ne ha. In virtù di questa perversa situazione, molti sono esclusi dalla società in cui vivono e diventano ben più che sfruttati: diventano avanzi, scarti, rifiuti».

Una denuncia incalzante, quella del presule. «Il paradosso dell’abbondanza in cui credevamo di vivere, con la crisi economica di questi ultimi anni – aveva fatto notare – ha mostrato che la miseria può essere tra di noi e colpire qui, nelle nostre terre, uomini e donne che vivono tra la penuria e la fame, faticando ad avere ciò che è necessario per vivere e dovendo così ricorrere all’aiuto di istituzioni caritative». Di qui il suo invito a «una conversione alimentare, a operare dei mutamenti dei nostri comportamenti verso il cibo: combattiamo gli sprechi, gli eccessi, la pornografia alimentare che esibisce senza ritegno cibi raffinatissimi senza capire che si offende chi non si può permettere neppure la razione minima giornaliera». Fare la comunione non può e non deve lasciare tranquilli. Occorre «denunciare disuguaglianze e ingiustizie, e promuovere piani politici ed economici per riaffermare che i beni della terra sono per tutti».

Su un un altro piano, ma con questo collegato, l’assenza di dialogo a tavola, anche nelle famiglie. «Si creano dei riti tristi e ha un gusto amaro essere seduti allo stesso tavolo, percependo l’assenza dell’altro, che fisicamente è lì, ma con la testa e gli interessi è da un’altra parte, perché lo sguardo è catturato dalla tivù o dal cellulare. I sensi ammutoliscono: si spegne lo scambio delle parole, manca il faccia a faccia».

Senza contare i cibi pronti, il fast food, i ristoranti “all you can eat”, che cambiano il nostro rapporto con il cibo. «Dobbiamo recuperare il gusto della convivialità, che rende felici - aveva detto il vescovo di Mantova -. L’uomo di oggi ha bisogno di reimparare a mangiare per reimparare a celebrare, ma anche di reimparare a celebrare per imparare a mangiare». Infine il rapporto con il creato. «Sulla tavola della creazione non c’è solo il gusto del pane buono; entra anche il retrogusto del pane di sudore che ha il cattivo sapore del lavoro sottopagato, dello sfruttamento minorile, del lavoro insicuro o fatto in condizioni non dignitose». Oppure della profanazione della natura. Anche per questo si richiede un atteggiamento autenticamente eucaristico.

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