martedì 8 agosto 2017
Per oltre mezzo secolo fu la sua priorità pastorale. Già prima del Sinodo del 2014 scrisse che era possibile, a determinate condizioni, ammettere alla Comunione i divorziati risposati
Con la famiglia nel cuore. Così Tettamanzi anticipò «Amoris laetitia»
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Il suo ultimo lavoro, uscito nel luglio dello scorso anno, è stato la prefazione a un breve testo dell’amico cardinale Ennio Antonelli, Per vivere Amoris laetitiapubblicato da Ares. In poche pagine l’arcivescovo emerito di Milano metteva in guardia dal rischio di fraintendere il documento postsinodale «proponendo un commento improvvisato e frettoloso». L’Esortazione postsinodale sulla famiglia, Tettamanzi la conosceva benissimo. Non solo perché, da oltre mezzo secolo, leggeva e studiava tutto quello che riguarda famiglia e matrimonio. Non solo per essere stato protagonista – come esperto di nomina pontificia – al Sinodo ordinario del 2015. Ma soprattutto perché Tettamanzi ha di fatto anticipato le conclusioni su separati e divorziati risposati tratteggiate da papa Francesco.

L’ha fatto innanzitutto, almeno implicitamente, nella “Lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione”, scritta da arcivescovo di Milano nel 2008. Poi, in modo più esplicito, con il libro “Il Vangelo della misericordia per le famiglie ferite” (San Paolo, 2014) in cui, a poche settimane dall’inizio del Sinodo straordinario, trovava finalmente l’opportunità di esprimere quello di cui era sempre stato convinto. Ma già nella Lettera del 2008, “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito”, riflettendo sull’impossibilità di accedere alla comunione eucaristica precisava che il “divieto” non esprime «un giudizio sul valore affettivo e sulla qualità della relazione che unisce divorziati risposati. Il fatto che spesso queste relazioni siano vissute con senso di responsabilità e con amore nella coppia e verso i figli è una realtà che non sfugge alla Chiesa e ai suoi pastori». E in conclusione, riprendendo la “Lettera dei vescovi lombardi alle nostre famiglie” (2001), chiedeva che lo Spirito Santo «ci ispiri gesti e segni profetici che rendano chiaro che nessuno è escluso dalla misericordia di Dio». Quasi le stesse parole usate da papa Francesco in Amoris laetitia: «Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo» (Al, 297). Temi e convinzioni che il cardinale- teologo riprenderà, come detto, in modo più esplicito nel 2014, alla vigilia del primo Sinodo. Come nasce quella svolta? Sono passati poco più di cinque anni dalla “Lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione” e, chiusa anche la complessa e faticosa parentesi di Vigevano, non ha più incarichi ufficiali. Da un paio d’anni si dedica quasi unicamente allo studio e alla scrittura e, finalmente, può esprimere quello di cui, in coscienza, è pienamente convinto. Rileggendo quel testo si coglie in filigrana, non solo l’ordito stesso del dibattito che esploderà poi nel corso dell’assemblea dei vescovi, ma anche il senso di Amoris laetitia.

NON GIUDIZI, MA MISERICORDIA. L’arcivescovo emerito di Milano, come si legge in quelle pagine, è convinto che «in riferimento all’amore, la pastorale della Chiesa non è chiamata – di per sé e in termini di assolutezza – né a giudicare né tantomeno a condannare la persona, il cui mistero di libertà e responsabilità – potremmo parlare del “mistero” del suo cuore – è conosciuto nella sua perfetta verità solo dall’occhio di Dio…». Quando affronta il tema dell’accessibilità ai Sacramenti, va subito al cuore del problema: bisogna inquadrare la questione «nel grande orizzonte della misericordia». E si chiede: «Ma se i Sacramenti sono segni e strumenti del cuore misericordioso di Dio, perché vengono rifiutati alle “famiglie ferite” che di tale misericordia sentono e dicono di aver particolare bisogno?». È una responsabilità di cui Tettamanzi avverte tutto il terribile peso così che, immaginando di rispondere come Chiesa alle domande più scomode che arrivano dalle famiglie ferite, riflette: «Tutte queste domande ci si presentano come un grido e come un’invocazione che attendono accoglienza e ascolto, prima ancora che una risposta». Ma lui è il primo ad essere consapevole che le risposte, a lungo attese e auspicate, non potranno più tardare. E, in modo esplicito e chiaro, secondo il suo stile pastorale, spiega perché a determinate condizioni si potrebbe anche arrivare a concedere l’Eucaristia ai divorziati risposati. Una decisione coraggiosa – è il primo ad esprimersi con questa chiarezza tra i porporati italiani – che Tettamanzi motiva con richiami al Vangelo, ad Ambrogio (“Chi ha una ferita cerca una medicina… e la medicina è il celeste e venerabile sacramento”), ma anche alla Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. E così, ragionando sul Sacramento come signum misericordiarum Dei, arriva a concludere che «non solo è pensabile ma in un certo senso plausibile l’ipotesi di una possibile ricezione dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia da parte dei fedeli divorziati e risposati ». Certo, annota subito dopo, bisogna evitare «assolutamente qualsiasi confusione sull’indissolubilità del matrimonio» e bisogna assicurare ai divorziati risposati che intendono compiere questo passo «un ricuperato impegno di vita cristiana attraverso cammini di fede che siano veri e seri». Due anni dopo papa Francesco scriverà nell’Amoris laetitia: «I presbiteri hanno il compito di accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli orientamenti del vescovo… si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio» (Al 300). Una corrispondenza che sorprende solo chi non conosce il lungo itinerario di riflessione sui temi del matrimonio e della famiglia percorso da Tettamanzi a partire dai anni Sessanta e già espresso nella sua tesi di dottorato, “Il valore dell’apostolato dei laici”. Da quel momento, prima come docente e teologo, poi come vescovo, accompagna da protagonista tutte le tappe del lungo e complesso rapporto tra Chiesa e famiglia. Nel ’69 collabora al documento pastorale dell’episcopato italiano “Matrimonio e famiglia oggi in Italia”. Già in quel testo i vescovi italiani comprendono il rammarico di chi lamenta di non potersi avvicinare ai sacramenti e consigliano «fin dove è possibile, di consigliarli e di aiutarli a regolare la loro situazione». Il contributo di Tettamanzi è evidente anche in un altro documento, “Evangelizzazione e sacramento del matrimonio”, pubblicato sei anni dopo, nel 1975. Anche in questo testo si riflette sulla condizione delle cosiddette situazioni “irregolari” e, con un significativo passo avanti, si afferma che «l’aiuto non potrà restringersi ad un atteggiamento di umana comprensione e di evangelica accoglienza, ma dovrà adoperarsi per modificare le situazioni sociali carenti in una visione di giustizia e di carità». Ma è nella Nota Cei del 26 aprile 1979 dal titolo finalmente esplicito ( “La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari e difficili”) che il problema delle disgregazioni delle famiglie viene affrontato in modo più consapevole e con toni non equivoci. Tra le altre sottolineature, parole che parlano chiaramente di apertura nella misericordia: «La Chiesa non può discostarsi dall’atteggiamento di Cristo: per questo la chiarezza e l’intransigenza nei principi e insieme la comprensione e la misericordia verso la debolezza umana in vista del pentimento, sono le due note inscindibili che contraddistinguono l’opera pastorale della Chiesa». Sono riflessioni che Tettamanzi ha già sparso a piene mani nelle sue oltre cento opere dedicate ai temi familiari. Tanto che quando papa Wojtyla, nel 1980 convoca il Sinodo dei vescovi appunto sulla famiglia, lo include tra gli “esperti” di nomina pontificia.

L’IMPEGNO NELLA FAMILIARIS CONSORTIO. Da quell’assemblea uscirà l’esortazione postsinodale Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. Chi era presente, racconta che la bozza di quel testo è frutto anche delle capacità di sintesi del professor Tettamanzi. Ma quando si affrontava l’argomento, lui sorrideva bonariamente e aggirava l’ostacolo. La sua fedeltà alla Chiesa e al Papa non gli permettevano altre rivelazioni. Ma è certo che in quell’Esortazione postsinodale sono presenti linee di pensiero rintracciabili in tutta la riflessione di Tettamanzi: «È la stessa ed unica Chiesa ad essere insieme Maestra e Madre. Per questo la Chiesa non cessa mai di invitare e di incoraggiare, perché le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità». Per approfondire, spiegare e divulgare quella che comunque considera la “sua” Familiaris consortio, Tettamanzi scrive centinaia di articoli e una decina di saggi. E non si stanca di ribadire che quel documento inaugura un nuovo e coraggioso atteggiamento della Chiesa nei confronti delle coppie ferite. Tettamanzi riprende quella lezione nel 1993, quando da segretario generale della Cei, orchestra il fondamentale documento dei vescovi italiani, quel Direttorio di pastorale familiare (1993) che segna un nuovo passo avanti anche verso la comprensione e l’accoglienza dei separati e dei divorziati con proposte e azioni pastorali ben delineate. Poi arriveranno gli anni di Genova e di Milano, tutti punteggiati da importanti riflessioni sulla pastorale della famiglia. Il percorso più organico è quello avviato da arcivescovo ambrosiano nel triennio 2006-2009, quando sceglie di approfondire il tema con tre Lettere in successione (“Famiglia ascolta la parola di Dio”, “Famiglia comunica la tua fede” e “Famiglia diventa anima del mondo”) che rappresentano la sintesi più efficace e più matura del suo pensiero sulla pastorale familiare. Tra i passaggi più originali bisogna almeno ricordare quello sul lavoro e sulla festa, presente nel quarto capitolo del terzo volume («L’esperienza lavorativa non è l’obiettivo dell’esistenza, ma è finalizzata al riposo e alla festa. Riposo non è solo lo spazio per prepararsi a sostenere lo sforzo successivo, ma occasione per confermare e approfondire le relazioni, specie quelle familiari. E la festa non è il semplice svago, ma il modo per comprendere e celebrare il senso della vita, per ricreare il tessuto sociale») perché quello è il tema su cui Tettamanzi decide di presentare la candidatura di Milano per il VII Incontro mondiale delle famiglie. Papa Ratzinger approva: lo spunto non solo è di grande originalità, ma condensa bene due grandi questioni di questi anni a proposito del rapporto tra famiglia, Chiesa e società. E Milano infatti viene designata per ospitare nel 2012 le famiglie del mondo. Quando il 30 maggio si apre la grande kermesse, Tettamanzi non siede più da sette mesi sulla cattedra di Ambrogio. Ma il suo impegno verso la pastorale della famiglia non viene meno. Nell’autunno del 2014 papa Francesco lo incarica di mettere a punto un progetto per accorpare i Pontifici Consigli dei laici e della famiglia. Lui si mette al lavoro con il solito spirito di abnegazione. Il 16 settembre 2015, alla vigilia del Sinodo ordinario, presenta al C9 – il Consiglio dei cardinali – il suo piano per la nascita del nuovo Dicastero. Il Papa approva. Sarà l’ultimo servizio reso da Tettamanzi al «grande Sacramento» che per quasi sessant’anni ha rappresentato per lui argomento di riflessione, crocevia di analisi teologica, fondamentale dimensione di impegno pastorale.

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