domenica 22 ottobre 2017
Conversazione con il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana. Le tre colonne della Cei: la fraternità, la corresponsabilità e la collegialità
Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei (Siciliani)

Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei (Siciliani)

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Immagina una Cei che abbia come tratto distintivo il dialogo. E i modelli, i punti di riferimento che ha nella mente sono il Concilio Vaticano II e poi il Sinodo dei vescovi. «Non servono decisioni precostituite», sostiene il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti. Martedì saranno cinque mesi dallo «scherzo» che papa Francesco gli ha fatto, come dice lo stesso Bassetti con quel suo spirito tutto fiorentino: averlo nominato alla guida dell’episcopato della Penisola a 75 anni dopo essere stato eletto dai vescovi all’interno della terna consegnata nelle mani di Bergoglio.

Cala la sera su Perugia. Dalle finestre dello studio al secondo piano del palazzo arcivescovile si vede piazza IV Novembre con la sua celebre fontana gotica e la Cattedrale. L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ha appena finito di sfogliare l’agenda. Nella settimana che si chiude oggi è stato a Milano, Roma, Siena e Pesaro. Da giovedì prossimo sarà a Cagliari per la Settimana sociale dei cattolici italiani. «A mio avviso – spiega in una conversazione con Avvenire – la Conferenza episcopale italiana deve essere sorretta da tre colonne: la fraternità, la corresponsabilità e la collegialità. Come pastori di questa bellissima terra la fraternità ci è data dal vivere quotidiano. In questi mesi da presidente sto incontrando e ascoltando molti confratelli che mi invitano nelle loro diocesi. Cerco di vivere e favorire l’incontro a tutti i livelli. Poi c’è la corresponsabilità che significa instaurare autentici rapporti fra i vescovi, dove ciascuno possa offrire il suo contributo nei percorsi decisionali. In particolare vorrei incentivare l’apporto dei tre vicepresidenti della Cei che, al pari di me, sono stati eletti dall’assemblea dei vescovi. E infine ecco la collegialità che vuol dire confrontarci di più e anche in modo migliore». Il cardinale cita il Pontefice. «Il Papa esorta alla sinodalità e insiste sulla parresia. A noi pastori ha ripetuto più volte: abbiate legami fraterni, ma parlatevi chiaramente e dialogate con libertà. Il dialogo può essere faticoso ma è assolutamente indispensabile. Per questo ritengo che anche nella Cei sia giusto condividere in maniera sempre più ampia il cammino».

Dopo la prima prolusione di Bassetti, lo scorso 25 settembre, che ha aperto il Consiglio permanente, qualcuno aveva ipotizzato che il nuovo presidente fosse persuaso a depennarla. Il cardinale sorride. «Non ho intenzione di abolirla. Ma più che una prolusione preferirei un’introduzione che, toccando il quotidiano delle nostre comunità cristiane e le urgenze del Paese, presenti con chiarezza i temi che devono essere affrontati. Secondo me, non occorre tanto dettare le linee quanto valorizzare la partecipazione». Poi il cardinale precisa: «È opportuno far emergere la ricchezza dell’episcopato italiano grazie al contributo di tutti. La Cei deve essere lo specchio della vitalità della nostra Chiesa, come insegna anche la metodologia del Sinodo dei vescovi, riflettendo la collegialità che ci è raccomandata dal Papa». Il presidente si sofferma sulle Conferenze episcopali regionali. «Il loro ruolo andrebbe potenziato – sottolinea –. E forse anche alcuni passaggi dovrebbero essere delegati ad esse. Inoltre è bene che si riuniscano prima degli appuntamenti nazionali così che le loro proposte arrivino a Roma e possano entrare a pieno titolo nel confronto».

Da quando è presidente della Cei, Bassetti ha percorso decine di volte da Nord a Sud la Penisola, invitato da diocesi, realtà ecclesiali, associazioni e movimenti. «È un’esigenza pastorale che sento nel profondo del cuore – confida –. Voglio stare in mezzo alla gente. Non sono capace di chiudermi in un ufficio per firmare documenti. Ai vescovi che mi chiamano, compatibilmente con gli impegni di pastore di Perugia-Città della Pieve, cerco di rispondere “sì” perché giudico di grande importanza l’incontro diretto con le persone per vederne i volti, gli sguardi, le ferite, per percepirne gli umori, le difficoltà. In diverse circostanze mi sono accorto che un silenzio è ben più eloquente di tanti discorsi». Seduto alla sua scrivania, fra libri, lettere e appunti degli interventi che sta preparando, il cardinale racconta la fisionomia della Chiesa italiana. «In questi ultimi anni è profondamente cambiata. Da quando papa Francesco è salito al soglio pontificio nel 2013, ha nominato per l’Italia più di sessanta vescovi. Diversi sono “giovani”, attorno ai cinquant’anni. Segno che la nostra Chiesa si sta rinnovando e perciò va seguita con attenzione».

Eppure lunedì scorso nell’Università Cattolica di Milano il presidente della Cei l’ha definita «un po’ pigra». «Mi riferivo al fatto che il documento programmatico di Francesco, l’Evangelii gaudium, fa fatica a essere recepito. Il Papa non suggerisce qualche aggiustamento o nuovi metodi, ma chiede una vera conversione pastorale. Si tratta di concepire la Chiesa alla luce del Concilio». Può capitare che le comunità non siano pienamente “in uscita”. «Perché si cerca di salvare l’esistente – riflette Bassetti –. E poi prevale una mentalità clericale che porta ad accentrare tutto sulla propria persona. Papa Francesco osserva giustamente che il prete clericale forma laici clericali. Quando, come vescovo, ho cambiato alcuni parroci, i sacerdoti che arrivavano in una comunità si sono trovati talvolta davanti a gruppetti di laici che avevano in mano la parrocchia e che ripetevano loro: “Qui si è sempre fatto così”. Questa mentalità clericale finisce per trasformarsi in una specie di potere. Invece l’Evangelii gaudium propone la pastorale della sinodalità, ossia del camminare insieme, delle responsabilità condivise, della tenerezza contro un’impostazione intransigente».

Fin dall’inizio del suo impegno alla guida della Cei, il cardinale ha puntato sulla comunione. «Senza comunione – spiega – non c’è Chiesa. Chi pensa di fare da solo, di essere autosufficiente, va poco lontano. Così ho indicato con forza la via del dialogo. È un ulteriore aspetto della conversione pastorale a cui ci esorta il Papa. In ogni caso favorire l’unità della Chiesa non significa pensarla tutti allo stesso modo o eliminare le differenze che sono una ricchezza». Quindi Bassetti prosegue: «In linea con Francesco, ho scelto di suscitare processi. Processi di cui la Chiesa italiana ha bisogno e che vanno accompagnati. Nella prolusione ho indicato anche alcune bussole di orientamento che mostrano esplicitamente i compiti della nostra comunità ecclesiale: lo spirito missionario, la spiritualità dell’unità e la cultura della carità. La Chiesa italiana è tenuta ad annunciare e vivere con gioia il messaggio di salvezza che è dono di Dio per tutti. Inoltre deve avere a cuore l’Italia e la sua gente. Il Vangelo deve essere sempre al primo posto. E, avendo come perno il Vangelo, nasce la nostra attenzione ai poveri, ai migranti, ai bambini mai nati, ai malati terminali, ai disabili, alle famiglie ferite, soltanto per citare qualche esempio».

Durante l’ultimo Consiglio permanente il presidente della Cei ha delineato anche quattro priorità per il Paese: il lavoro, i giovani, la famiglia, le migrazioni. «Per rispondere a queste sfide – afferma Bassetti – occorre avere uno sguardo lucido sulla nazione. E credo che la Chiesa possa promuovere la visione di un’Italia unita, solidale, depositaria di un’immensa cultura umanistica e cristiana. Un’Italia che si inserisce necessariamente nel contesto europeo e anche extraeuropeo». Il cardinale fa una pausa. «Ho un sogno. Sull’esempio di Giorgio La Pira che volle a Firenze i “Colloqui mediterranei”, vedo la Chiesa italiana come una Chiesa del dialogo che si proietta nel Mediterraneo e si fa ponte tra cristiani, ebrei e musulmani, “la triplice famiglia di Abramo”».

L’ultimo pensiero del presidente della Cei va ai cattolici della Penisola. «Devono prendersi cura dell’Italia – sprona –. È la loro vocazione ed è in nome del loro essere cristiani che devono farlo. Il nostro è purtroppo un Paese sfibrato, marcato dagli strappi: basta leggere un giornale o guardare un telegiornale per comprenderlo. Si sono incrinate anche quelle fondamenta che al tempo della stesura della Costituzione avevano riunito le diverse anime della nazione. Se è vero, come è vero, che la Chiesa è ancora uno straordinario barometro delle gioie e dei dolori, delle angosce e dei bisogni del nostro popolo, sono persuaso che i laici cattolici abbiano molto da dire e da offrire all’Italia. Vorrei che una cosa fosse chiara per tutti: questo Paese non sarà mai migliore senza cattolici impegnati in politica e nel sociale».

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