giovedì 17 aprile 2014
​La deposizione resa nel 2005 per la causa di beatificazione.
 di Stefania Falasca
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«Depongo per scienza diretta e quindi riferirò quella che è stata la mia esperienza personale del Servo di Dio Giovanni Paolo II». Inizia così la deposizione che papa Francesco, allora arcivescovo di Buenos Aires, rese in qualità di teste oculare al processo romano per la causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. L’inchiesta diocesana istruita nel 2005, a pochi mesi dalla morte di papa Wojtyla, si chiuse appena due anni più tardi, il 2 aprile 2007. Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, allora sessantanovenne, venne chiamato a deporre dal tribunale della diocesi di Roma all’inizio del processo, nell’autunno del 2005. Risulta infatti il secondo dei testimoni nell’elenco dei testi interrogati, così come è riportato nella Positio super virtutibus. L’interrogatorio segue di prassi un formulario stabilito che prevede domande riguardo alla conoscenza personale da parte del teste del Servo di Dio, riguardo alla sua vita, all’esercizio delle virtù teologali e cardinali, sulla sua pietà e infine sulla fama di santità in vita, in morte e post mortem. Seguendo questo schema il teste è quindi chiamato a circostanziare la sua conoscenza del candidato agli onori degli altari. Richiesta alle quale Bergoglio rispose con i puntuali ricordi che sono qui integralmente riportati.«Conobbi personalmente Giovanni Paolo II nel dicembre dell’anno in cui il cardinal Martini fu nominato arcivescovo di Milano. Ho questo riferimento perché non ricordo esattamente l’anno. In quella circostanza recitai il Rosario guidato dal Servo di Dio ed ebbi la netta impressione che egli "pregava sul serio". Un secondo incontro con il Papa diretto lo ebbi nel 1986-87, in occasione del secondo viaggio che egli fece in Argentina e il nunzio volle che incontrassi il Servo di Dio in nunziatura con un gruppo di cristiani di varie confessioni. Ebbi un breve colloquio con il Santo Padre e mi colpì particolarmente questa volta il suo sguardo, che era quello di un uomo buono.
«Il mio terzo incontro con Giovanni Paolo II lo ebbi nel 1994, quando già ero vescovo ausiliare di Buenos Aires e fui eletto dalla Conferenza episcopale argentina per partecipare al sinodo dei vescovi sulla vita consacrata, tenutosi qui a Roma. Ebbi la gioia di pranzare con lui insieme a un altro gruppo di presuli. Mi piacque molto la sua affabilità, cordialità e capacità di ascoltare ogni commensale. Anche nei due sinodi successivi, a cui partecipai, ebbi modo di apprezzare ancora la sua grande capacità di ascolto nei confronti di tutti. Nei colloqui personali che ho avuto nel tempo con il Servo di Dio ho avuto conferma del suo desiderio di ascoltare l’interlocutore senza porre domande, se non qualche volta alla fine, e soprattutto dimostrava chiaramente di non avere alcun pregiudizio. Egli metteva così a proprio agio chi gli stava di fronte dandogli piena fiducia, almeno l’interlocutore sentiva questo. Ho riferito la mia esperienza personale, ma sono confortato dalla testimonianza di tanti miei confratelli. Si aveva l’impressione che anche quando forse non era del tutto d’accordo su quello che gli veniva detto, il Servo di Dio non lo dava assolutamente ad intendere proprio per mettere a suo agio l’interlocutore, poi se doveva fare qualche osservazione o delle domande per ricevere chiarimenti lo faceva alla fine.«Un altro aspetto che mi ha sempre colpito del Santo Padre era la sua memoria direi quasi senza limiti, perché ricordava luoghi, persone, situazioni di cui aveva preso conoscenza anche durante i suoi viaggi, segno che prestava la massima attenzione in ogni circostanza e in particolare nei confronti delle persone che incontrava. Segno questo per me di vera e grande carità. Inoltre, egli non perdeva tempo abitualmente, ma ne dedicava abbondantemente quando ad esempio riceveva i vescovi. Posso dire questo perché da arcivescovo di Buenos Aires ho avuto incontri personali privati con il Servo di Dio, e io, essendo anche un po’ timido e riservato, almeno in una circostanza, dopo avergli parlato delle cose che erano oggetto di quella udienza, feci il gesto di alzarmi per non fargli perdere tempo, secondo il mio concetto, ma lui mi prese per un braccio, mi invitò a sedermi nuovamente e mi disse: "No! No! No! Rimanga" per continuare a parlare.
«Ho un ricordo particolare del Servo di Dio che conservo in occasione della visita ad limina che feci con i vescovi argentini nel 2002. Un giorno concelebrammo con il Santo Padre e quello che mi colpì fu la sua preparazione alla celebrazione. Egli stava inginocchiato nella sua Cappella privata in atteggiamento di preghiera e vidi che di tanto in tanto leggeva qualcosa su un foglio che aveva davanti e appoggiava la fronte sulle mani ed era chiaro che pregava con molta intensità per quella che ritengo un’intenzione che egli aveva scritto su quel foglio, poi rileggeva qualche altra cosa sul medesimo foglio e riprendeva l’atteggiamento di preghiera e così via finché non aveva terminato, quindi si alzava per indossare i paramenti. Posso riferire anche, a conferma di quanto ho appena detto, quanto mi ha detto il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi, e cioè che quando presentava l’elenco di proposte per i vescovi in diocesi con difficoltà o particolarmente impegnative, il Servo di Dio, prima di firmare le nomine, si faceva lasciare l’elenco per riflettere e pregarci su e poi dava le risposte opportune. Mi permetto di suggerire al Tribunale che venga interrogato il cardinale Gantin, già prefetto della Congregazione di vescovi, che mi risulta avesse un ottimo rapporto di collaborazione con il Servo di Dio, anche come decano del Sacro Collegio».
Alle circostanze della conoscenza personale appena descritte, segue quindi la risposta data da Bergoglio in merito alla vita del Servo di Dio: «Per quanto riguarda la vita del Servo di Dio non ho nulla da aggiungere a quanto è già stato pubblicato sulla stampa e nelle biografie. Per quanto attiene all’ultimo periodo della sua vita è noto a tutti, anche perché non sono stati posti limiti ai mezzi di comunicazione sociale e d’informazione, come egli abbia saputo accettare le proprie infermità e sublimarle inserendole nel suo piano di attuare la volontà di Dio. Voglio sottolineare che Giovanni Paolo II ci ha insegnato, non nascondendo nulla agli altri, a soffrire e a morire, e questo, secondo il mio parere, è eroico».L’arcivescovo di Buenos Aires esprime poi il suo parere circa le virtù in genere e la pietà esercitate da Giovanni Paolo II: «Nei brevi ricordi di cui ho parlato in precedenza sulla mia conoscenza del Servo di Dio, ho istintivamente riferito le mie impressioni sulle varie circostanze, sottolineando sostanzialmente l’esercizio delle virtù umane e cristiane da parte sua. Non va dimenticata la sua particolare devozione verso la Madonna, che debbo dire ha influenzato anche la mia pietà. Infine, non esito ad affermare che Giovanni Paolo II, a mio parere, ha esercitato tutte le virtù, globalmente prese, in modo eroico, data la costanza, l’equilibrio e la serenità con cui ha vissuto tutta la sua esistenza. E questo è apparso agli occhi di tutti, anche dei non cattolici e di coloro che professano altre religioni, nonché degli agnostici».
Rispondendo infine alle domande di rito riguardanti la fama di santità, che chiudono l’interrogatorio, Bergoglio sinteticamente afferma: «Non sono al corrente di particolari doni carismatici, di fatti soprannaturali o fenomeni straordinari nel Servo di Dio mentre era in vita. Mentre era in vita Giovanni Paolo II io l’ho sempre considerato un uomo di Dio e così la maggior parte delle persone che in qualche modo entravano in contatto con lui». E così conclude: «La sua morte, come ho già detto, è stata eroica e questa percezione credo che si possa dire universale, basti pensare alla manifestazione di affetto e di venerazione riservatagli dai fedeli e non durante i novendiali e al suo funerale. Dopo la sua morte la sua fama di santità è stata confermata dalla decisione del Santo Padre Benedetto XVI di eliminare l’attesa dei cinque anni prescritta dalle norme canoniche, permettendo l’avvio immediato della sua causa di canonizzazione. Altro segno è il continuo pellegrinaggio sulla sua tomba di gente di tutti i ceti e di tutte le religioni».
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