venerdì 21 gennaio 2022
Da Mansuè a San Salvador: sugli altari il missionario francescano di origine veneta assassinato nella sua parrocchia in America Latina. Parteciperà al rito il vescovo Pizziolo
Il missionario padre Cosma Spessotto (1923-1960)

Il missionario padre Cosma Spessotto (1923-1960) - .

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«Siervo por amor». Ancora oggi, a oltre 40 anni dalla sua morte, gli abitanti di San Juan Nonualco che lo conobbero di persona hanno ben viva la memoria di padre Cosma Spessotto, missionario francescano venuto dall’Italia. A Mansuè, in provincia di Treviso, le sue origini, il 28 gennaio 1923. Sabato 22 gennaio nella Cattedrale di San Salvador il cardinale Gregorio Rosa Chávez presiederà la Messa di beatificazione di padre Cosma, del gesuita Rutilio Grande, e di Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus Chávez, due laici. «Un gesuita salvadoregno, un francescano italiano e due laici del nostro popolo – testimonia la Conferenza episcopale di El Salvador – che hanno in comune il fatto di aver versato il loro sangue per Cristo in mezzo al fragore della guerra». In missione in El Salvador dal 1950, padre Spessotto venne assassinato il 14 giugno 1980 nella sua parrocchia di San Juan Nonualco.

«È il primo beato martire della nostra diocesi – ricorda il vescovo di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo, che parteciperà alla celebrazione di San Salvador con una delegazione, anche di familiari del beato –: una figura simbolica che rappresenta il convinto e generoso impegno missionario della diocesi, con tanti sacerdoti, religiosi e laici che hanno svolto il loro servizio nei cinque continenti, alcuni anche perdendo la vita per incidenti o malattie». Ricorda padre Ilario Contran, di origine padovana: «Mi aveva chiesto il permesso di andare a celebrare una Messa. Una famiglia di quella parrocchia desiderava una celebrazione in suffragio del figlio ucciso, pochi giorni prima, in un’azione della guerra civile allora dilagante. In quel periodo era rettore del Seminario minore dei Frati minori che si trovava a Planes de Renderos. Io non volevo che andasse perché stava male. Ma aveva insistito tanto, per cui trovai un altro padre disponibile ad accompagnarlo e a quel punto acconsentii. Dopo due ore, mi telefonarono per dirmi che era stato ucciso dentro la chiesa che lui aveva costruito».

Già da due anni padre Cosma riceveva minacce di morte. Al fratello, che nel suo ultimo viaggio in Italia gli consigliava di non tornare, rispondeva convinto: «Quella è la mia patria, tra i miei fedeli». E ancora: «La mia famiglia ora è la mia parrocchia». Nella consapevolezza che il rischio era sempre più concreto, arrivò a vendere alcuni oggetti personali per avere i soldi con cui dare la buona uscita ai dipendenti della parrocchia: il sacrestano, la domestica, gli operai che lavoravano nella costruzione della chiesa. Nel testamento scritto pochi giorni prima di essere ucciso arriva a considerare il «morire martire una grazia». E aggiunge: «Fin d’ora perdono e prego il Signore per la conversione degli autori della mia morte».

Sarà padre Claudio Bratti, figlio di emigrati bellunesi, a leggere domani il documento ufficiale con cui padre Cosma viene proclamato beato. È padre Bratti, infatti, il postulatore della causa. «Il Salvador di quegli anni era caratterizzato dalla presenza di pochi latifondisti, molto ricchi, e dalla stragrande maggioranza della popolazione costituita da poveri braccianti. Vi era una tensione crescente che prima o poi doveva scoppiare in una rivoluzione. Padre Cosma osservava bene e cercava di capire quello che accadeva. Era preoccupato di trovare una soluzione evangelica a quella situazione. Aveva individuato alcuni principi. Il primo era che non si può usare la violenza perché incompatibile con il Vangelo: per cambiare il contesto, invece, si doveva seguire la via delle riforme. Il secondo principio era quello di difendere i diritti di Cristo e della Chiesa. Il terzo principio era quello di avere una posizione super partes: lo ripeteva continuamente».

Per l’evolversi della situazione padre Cosma ha dovuto, un po’ alla volta, prendere le difese del suo popolo. «Sono molteplici gli elementi che hanno portato alla sua morte – ha raccontato padre Bratti al settimanale diocesano L’Azione di Vittorio Veneto –. In quegli anni i militari avevano intrapreso una lotta sempre più feroce contro i guerriglieri, attuando spesso delle spedizioni punitive che venivano fatte sulla base delle informazioni fornite dalle spie (chiamate le “orecchie”). Spesso si trattava di indicazioni date per motivi futili e dissapori personali: l’esercito passava e uccideva indiscriminatamente le persone indicate. Padre Cosma intervenne durante una di queste spedizioni pensando di poterla fermare, ma non ci riuscì. Un fatto che dai militari fu percepito come un affronto. Dopo l’ennesima spedizione punitiva, padre Cosma si rivolse direttamente ai capi delle forze armate denunciando le modalità da “giustizia sommaria” dell’esercito e ammonendo che di queste azioni “avrebbero dovuto rispondere di fronte a Dio”. Poi ci fu anche l’assassinio di uno dei giovani di padre Cosma: al suo funerale, egli fece una predica durissima contro la pratica della delazione che aveva portato all’uccisione del giovane».

Si aggiunga che padre Cosma, per solidarietà sacerdotale, dava talvolta ospitalità a un prete che aveva deciso di seguire i guerriglieri. La sua povertà, lo spirito di preghiera, la fiducia nella Provvidenza: questa, secondo padre Bratti, la sua eredità. «Padre Cosma si è preoccupato di leggere il tempo in cui è vissuto alla luce del Vangelo: la scelta della non violenza. Anche le nostre scelte oggi devono essere fatte secondo il Vangelo».

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