martedì 31 gennaio 2023
Da oggi a domenica il Papa in Africa come pellegrino di pace. Le tappe nella Repubblica democratica del Congo e in Sud Sudan. L’impronta ecumenica del viaggio
A Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, gli striscioni di benvenuto a papa Francesco

A Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, gli striscioni di benvenuto a papa Francesco

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Il Papa è in volo per Kinshasa. L'Airbus A350 di Ita Airways è decollato alle 8.29 da Fiumicino. L'arrivo all'aeroporto internazionale "Ndjili" di Kinshasa è previsto per le 15 locali. Il viaggio apostolico proseguirà il 3 febbraio per il Sud Sudan. Francesco rientrerà a Roma domenica 5 febbraio alle 17.15.

«C’è una cosa che dobbiamo denunciare: che l'Africa è da sfruttare… si tengono il sottosuolo per sfruttarlo, vediamo lo sfruttamento di altri Paesi che prendono le loro risorse. Questa idea che l’Africa esista per essere sfruttata è la cosa più ingiusta che ci sia e va cambiata». Sono affermazioni che Francesco ha ripetuto anche alla vigilia del viaggio che lo porta da oggi a domenica nella Repubblica democratica del Congo e nella giovane repubblica del Sud Sudan, riconosciuta indipendente nel 2011. Terre saccheggiate, provate da lunghi conflitti, come ha ribadito all’Angelus di domenica scorsa: «La prima soffre per gli scontri armati e per lo sfruttamento; mentre il Sud Sudan, dilaniato da anni di guerra, non vede l’ora che finiscano le continue violenze che costringono tanta gente a vivere sfollata e in condizioni di grande disagio».

La rotta del Papa nelle convulsioni del mondo entra così nelle piaghe insanguinate prodotte da guerre scatenate dall’accaparramento di materie prime, alimento di economie armate che esigono instabilità e corruzione. La Repubblica democratica del Congo, dodicesimo Paese al mondo per estensione, è la riserva per eccellenza di materie cruciali per lo sviluppo dell’economia mondiale, l’industria hi-tech, dove l’estrazione del cobalto copre la metà della produzione mondiale. La guerra della fine degli anni Novanta ha prodotto quattro milioni di morti, è stato più il grande conflitto dopo la seconda guerra mondiale. Le ferite non curate da anni nel Paese hanno allargato nel tempo le violenze in cui si intrecciano dinamiche etniche che si contendono terre e potere con gravi violazioni dei diritti umani e che oggi vedono oltre cento gruppi di guerriglia impegnati negli scontri. Con una situazione drammatica all’est del Paese, nelle province di Goma e Kivu, nuovo teatro di conflitti tra Congo e Ruanda che nelle ultime settimane ha provocato l’esodo di 50mila persone. A Kinshasa, nei giorni scorsi, l’ultimo raid in una chiesa pentecostale di Kasindi ha provocato altri morti. E proprio a Kinshasa, il primo febbraio, papa Francesco incontrerà le vittime della violenza nell’est del Paese. Anche in Sud Sudan, sfigurato dalla guerra civile e dalla fame, nonostante gli accordi di pace del 2018, la violenza non è mai cessata e dal 2013 si sono alternati sforzi e ottimismo a drammatici episodi legati alle violenze. Anche lì, migliaia di morti. Ad aggravare il tutto, crisi alimentari, siccità e alluvioni e conflitti che costringono alla fuga milioni di persone. Quella del Sud Sudan è la più grande crisi di rifugiati dell’Africa, con almeno quattro milioni di sfollati.

Questo il quadro di un viaggio apostolico che vuole entrare nelle crisi all’insegna della pace e con un profilo fortemente ecumenico. In Sud Sudan, dal 3 febbraio, la visita si svolgerà a tre: il Papa, l’arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby e il moderatore della Chiesa di Scozia, il pastore Iain Greenshields. La volontà di recarsi in Sud Sudan era già stata espressa dal Papa cinque anni fa, nel corso della sua visita alla chiesa anglicana di All Saints a Roma, nella quale disse che l’invito di visitare il Paese gli era stato rivolto da tre pastori di diverse confessioni cristiane: «Non venga da solo, venga con l’arcivescovo di Canterbury» riferì il Papa. Poi nell’aprile 2019 l’incontro in Vaticano con il presidente del Sud Sudan, i leader dell’opposizione e i vertici delle diverse Chiese cristiane davanti ai quali il Papa ha compiuto il gesto di inginocchiarsi per implorare la riconciliazione e segnare un passo nuovo nel martoriato Paese.

Nell’inedito pellegrinaggio ecumenico di pace, i tre leader incontreranno i capi politici del Paese, terranno una veglia ecumenica all'aperto per la pace e il 4 febbraio a Juba, la capitale, incontreranno gli sfollati. L’arcivescovo Welby sarà accompagnato da sua moglie, che ha effettuato diverse precedenti visite in Sud Sudan per sostenere le donne nella Chiesa. Non è il primo viaggio del Papa con un’impronta ecumenica e interreligiosa: sono stati già i viaggi interamente ecumenici quelli compiuti da Francesco insieme al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I: in Terra Santa nel 2104 e nel febbraio del 2016 nell’isola greca di Lesbo, punto d’approdo per migliaia di migranti in fuga da guerre, persecuzione e fame. Ma questo in Sud Sudan è un fatto che amplifica nuovamente le prospettive di un percorso indispensabile e irreversibile tra Chiese cristiane urgentemente richiesto dai segni dei tempi. E, considerata la critica situazione del mondo, la scelta di un responsabile ecumenismo pastorale appare sempre più caratterizzante anche nelle priorità dei viaggi papali. All’incontro per la pace ad Assisi nel 2016 era stato chiaro che l’impegno e il servizio comune delle Chiese cristiane esigono di offrirsi testimoni come lievito per favorire la giustizia, la fratellanza e la pace dei popoli. E la dichiarazione comune firmata il 5 ottobre 2016 a Roma da papa Francesco e dal primate della Chiesa anglicana risponde pienamente ai motivi della comune sortita in Sud Sudan: «In una cultura dell’odio, assistiamo a indicibili atti di violenza, spesso giustificati da una comprensione distorta del credo religioso. La nostra fede cristiana ci porta a riconoscere l’inestimabile valore di ogni vita umana e ad onorarla attraverso opere di misericordia... sempre cercando di risolvere i conflitti e di costruire la pace. In quanto discepoli di Cristo riteniamo la persona umana sacra e in quanto apostoli di Cristo dobbiamo essere i suoi avvocati».

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