Don Raffaele è uno dei 200 eremiti d'Italia. Lo abbiamo incontrato

In Val Varrone, tra le montagne sopra Lecco, un sacerdote lombardo trascorre le sue giornate tra preghiera, studio e lavoro. «Dobbiamo restituire l'amore ricevuto»
October 8, 2025
Don Raffaele è uno dei 200 eremiti d'Italia. Lo abbiamo incontrato
Don Raffaele Busnelli
Un telefono squilla, don Raffaele Busnelli risponde. Parla al cellulare per due minuti, poi saluta l’interlocutore e chiude la chiamata. Passano trenta secondi e il telefono squilla di nuovo. «Scusate – dice sorridendo –. Ci sono alcune cose da organizzare per il pellegrinaggio degli eremiti d’Italia, in questi giorni ci sentiamo spesso».
Busnelli è appunto un eremita, anche se le persone che lo cercano al telefono smentiscono subito il classico immaginario legato all’eremitaggio. La sua scelta di vita lo accomuna a 200 altre persone in Italia, tutte riunite a Roma in questi giorni in occasione del Giubileo della vita consacrata.
Don Raffaele è uno di loro da tredici anni. Prima era prete diocesano e la sua vita si spendeva soprattutto in oratorio tra molte attività, incontri, una quotidianità frenetica. Ora i suoi giorni sono molto diversi. Vive a Pagnona, in val Varrone, tra le montagne sopra Lecco. Alcune casette in pietra, che ha ristrutturato personalmente, racchiudono gli spazi in cui si svolgono le sue giornate: una chiesetta, una camera per gli ospiti, una cucina, una biblioteca zeppa di volumi, un laboratorio di falegnameria. Si chiama "Eremo della Breccia". Attorno non si vedono altri centri abitati, la valle è ricca di boschi e prati. Il silenzio è palpabile, ma non è sinonimo di solitudine, spiega don Raffaele. Da lì passano tra le 500 e le 700 persone ogni anno. Alcune si fermano qualche ora, altre intere settimane. Perché? «Molti arrivano per una vera e propria ricerca spirituale – risponde l’eremita –. Qualcuno è ateo e viene per curiosità, ma spesso poi si accorge che stava cercando una dimensione più profonda. E su questo nasce una bella condivisione perché la ricerca di un’altra persona riguarda sempre anche noi. A chi si avvicina possiamo restituire tutto l’amore che sperimentiamo in prima persona». Mentre parla, don Raffaele cita spesso le parole del Vangelo e dei testi sacri. La preghiera lo accompagna per tutto il tempo della giornata, in una quotidianità che inizia alle 5 ogni mattina e ha regole precise. «Pregare è sapere che Dio ha qualcosa da dire e lasciarlo fare», spiega. Il resto del tempo lo passa a studiare e lavorare in falegnameria o nel suo orto. È una porzione di prato curato nei minimi dettagli, davanti a cui è facile incantarsi. Ma l’eremita mostra subito un altro pezzo di realtà: «Qui si rimane ammirati per la prima mezz’ora, poi si scopre tutta la fatica del coltivare la terra». Una fatica tale che, se gli si chiede quale sia la cosa più pesante delle sue giornate, don Raffaele non risponde il silenzio o i tanti pensieri ma «l’inverno. È la stagione più dura. Fa molto freddo e tutto secca».
Una domanda sorge spontanea. Che utilità ha una vita lontana dagli altri? Non sarebbe più utile che un sacerdote stesse in una parrocchia, dove le necessità sono tante e le forze poche? «Mi aspettavo questa domanda, è frequente – risponde ancora don Raffaele – Il punto è che noi siamo abituati a misurare tutto con i parametri dell’utilità e della produttività, che appartengono al mondo economico. Forse abbiamo bisogno di cambiare logica». E per spiegare il senso profondo della sua scelta, don Raffaele usa il titolo di un documento che riporta gli orientamenti pastorali alla vita eremitica: Ponam in deserto viam, cioè “Aprirò una strada nel deserto”.
È una frase tratta dal libro di Isaia, capitolo 33 («un piccolo gioiello» dice Raffaele). «La Parola dice che, appunto, Dio sta facendo una cosa nuova, che sta per germogliare, e chiede anche a chi legge: ma come, non ve ne accorgete? È una cosa che apparentemente non ha senso. Perché aprire una strada in un contesto improduttivo per definizione, dove non c’è nessuno? La risposta arriva sempre da Isaia, che dice: il deserto fiorirà e lì sgorgheranno fiumi di acqua e tutto germoglierà e darà frutto». Conclude don Raffaele, «quello che sto capendo è che bisogna avere l’audacia di restare nel deserto e nel silenzio. Poi si apriranno strade nuove che noi non possiamo nemmeno immaginare e che tutti, un giorno, potranno percorrere».

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