«Noi, di ritorno dal Giubileo. Così ripensiamo alle parole del Papa»
Sono 727 i ragazzi della diocesi ambrosiana che si sono fermati a Gaeta, per un gemellaggio con la Chiesa locale. Ecco i loro pensieri, poche ore dopo l'evento di Tor Vergata

«Il Giubileo dei giovani per noi non finisce qui». Queste poche parole scandite da uno di quel milione di ragazzi che hanno pregato, cantato, ascoltato con emozione Leone XIV nella spianata di Tor Vergata, da sole, a loro, dicono tutto. Perché “loro” - lo sottolineano con orgoglio - fanno parte del nutritissimo gruppo di giovani che in questi giorni vive il gemellaggio tra l’arcidiocesi di Milano e quella di Gaeta. Dove, appunto, ben 700, per la precisione 727, tra ragazzi e ragazze ambrosiani trascorreranno un periodo fino al 7 agosto, per riflettere e approfondire l’esperienza giubilare, guidati dall’arcivescovo, Mario Delpini. Dopo la felice esperienza del gemellaggio con la diocesi di Oporto, in occasione della Gmg di Lisbona 2023, il Servizio diocesano di Pastorale giovanile ha scelto di ripetere una formula rivelatasi vincente. E, infatti, a Formia dove sono ospitati, in scuole e parrocchie, i milanesi - in senso ampio perché i giovani provengono da una ventina di decanati sparsi sull’intero territorio diocesano, a cui si aggiunge il gruppo dell’Azione cattolica ambrosiana - l’entusiasmo si tocca con mano. Nelle strade, in ogni angolo il piccolo esercito che colora di bandiere, bandane, magliette con la frase di sant’Ambrogio, “Cristo è la vetta”, richiama immediatamente l’attenzione.
«Mi piace essere qui perché voglio ancora pensare a quello che ci ha detto il Papa e stare con i miei amici e la mia parrocchia insieme all’arcivescovo», dice Letizia, a cui fa eco Luca: «Mi aspettavo tanto dal Giubileo e così è andata, ma anche da questo gemellaggio voglio imparare qualcosa». E, così, il diciannovenne Luca viene subito accontentato, fin dalla prima mattina del soggiorno, quando, in quasi 400, entrano nella parrocchia “Cuore Immacolato di Maria” del “Villaggio don Bosco” per recitare le Lodi e partecipare, con i coetanei laziali, alla Messa presieduta da Delpini. Che, nell’omelia, prende spunto proprio dalle tre domande, che definisce «decisive», poste da altrettanti giovani al Papa durante la Veglia di preghiera di sabato scorso. «Dove è l’amicizia di cui ho bisogno? Come è possibile la scelta che rende compiuta la vita? Come si incontra Dio e si sperimenta che è con noi?».
«Sono tre domande che rivelano l’incompiuto: per questo ciascuno di noi deve fermarsi un momento e chiedersi in che cosa consista il proprio incompiuto, cosa ci manchi» anche perché «la felicità desiderata non è un pacco che si riceve e non esiste una situazione che si crea, magari inaspettatamente, per dire che siamo felici», ha spiegato Delpini ai giovani che lo ascoltavano attentissimi. «L’opera di Dio rivela che non esiste la felicità come un dato di fatto, ma piuttosto come una promessa. Certo, le situazioni favorevoli, come un amore inaspettato, sono cose belle ma Dio opera diversamente: per dare compimento al desiderio di felicità, Dio affida ad Anna (il riferimento è alla lettura del giorno con la figura biblica della donna disperata perché senza un figlio) un bambino, qualcuno di cui prendersi cura. Non un risultato, ma la grazia di una vocazione, una responsabilità».
«La testimonianza di Anna, la donna dell’incompiuto, suggerisce di accogliere il compimento non come una conclusione, ma come una vocazione a partecipare all’opera di Dio, a prendersi cura del bene delle persone che ti sono date. Se celebriamo bene l’Eucaristia, se viviamo bene la nostra appartenenza alla comunità cristiana, noi riceviamo il dono di un cammino da compiere, di una speranza». Un messaggio, quello dell’arcivescovo, per continuare a essere pellegrini di speranza, sentendo il Giubileo nel cuore non come un evento, ma come «un momento di grazia», compreso dai ragazzi che, in serata prendono parte anche a una catechesi predicata da monsignor Delpini stesso e dall’arcivescovo di Gaeta, Luigi Vari.
«Il Papa ci ha detto di aspirare a cose grandi, alla santità, come hanno fatto Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis e anche se non so se ne sarò capace, voglio provarci», osserva Martina che dal Giubileo dice di avere tratto una forza maggiore per avvicinarsi alla fede. «Perché il punto sta proprio qui», riflette un giovane sacerdote: «dobbiamo chiederci cosa rimane di questa esperienza. Credo che i ragazzi abbiano capito, anche perché abbiamo proposto dei cammini di avvicinamento al Giubileo, che non si tratta solo di passare la Porta santa, ma di attraversarla ogni giorno portando con sé paure, fragilità, dolori e gioie, per tornare a casa migliori».
«Mi piace essere qui perché voglio ancora pensare a quello che ci ha detto il Papa e stare con i miei amici e la mia parrocchia insieme all’arcivescovo», dice Letizia, a cui fa eco Luca: «Mi aspettavo tanto dal Giubileo e così è andata, ma anche da questo gemellaggio voglio imparare qualcosa». E, così, il diciannovenne Luca viene subito accontentato, fin dalla prima mattina del soggiorno, quando, in quasi 400, entrano nella parrocchia “Cuore Immacolato di Maria” del “Villaggio don Bosco” per recitare le Lodi e partecipare, con i coetanei laziali, alla Messa presieduta da Delpini. Che, nell’omelia, prende spunto proprio dalle tre domande, che definisce «decisive», poste da altrettanti giovani al Papa durante la Veglia di preghiera di sabato scorso. «Dove è l’amicizia di cui ho bisogno? Come è possibile la scelta che rende compiuta la vita? Come si incontra Dio e si sperimenta che è con noi?».
«Sono tre domande che rivelano l’incompiuto: per questo ciascuno di noi deve fermarsi un momento e chiedersi in che cosa consista il proprio incompiuto, cosa ci manchi» anche perché «la felicità desiderata non è un pacco che si riceve e non esiste una situazione che si crea, magari inaspettatamente, per dire che siamo felici», ha spiegato Delpini ai giovani che lo ascoltavano attentissimi. «L’opera di Dio rivela che non esiste la felicità come un dato di fatto, ma piuttosto come una promessa. Certo, le situazioni favorevoli, come un amore inaspettato, sono cose belle ma Dio opera diversamente: per dare compimento al desiderio di felicità, Dio affida ad Anna (il riferimento è alla lettura del giorno con la figura biblica della donna disperata perché senza un figlio) un bambino, qualcuno di cui prendersi cura. Non un risultato, ma la grazia di una vocazione, una responsabilità».
«La testimonianza di Anna, la donna dell’incompiuto, suggerisce di accogliere il compimento non come una conclusione, ma come una vocazione a partecipare all’opera di Dio, a prendersi cura del bene delle persone che ti sono date. Se celebriamo bene l’Eucaristia, se viviamo bene la nostra appartenenza alla comunità cristiana, noi riceviamo il dono di un cammino da compiere, di una speranza». Un messaggio, quello dell’arcivescovo, per continuare a essere pellegrini di speranza, sentendo il Giubileo nel cuore non come un evento, ma come «un momento di grazia», compreso dai ragazzi che, in serata prendono parte anche a una catechesi predicata da monsignor Delpini stesso e dall’arcivescovo di Gaeta, Luigi Vari.
«Il Papa ci ha detto di aspirare a cose grandi, alla santità, come hanno fatto Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis e anche se non so se ne sarò capace, voglio provarci», osserva Martina che dal Giubileo dice di avere tratto una forza maggiore per avvicinarsi alla fede. «Perché il punto sta proprio qui», riflette un giovane sacerdote: «dobbiamo chiederci cosa rimane di questa esperienza. Credo che i ragazzi abbiano capito, anche perché abbiamo proposto dei cammini di avvicinamento al Giubileo, che non si tratta solo di passare la Porta santa, ma di attraversarla ogni giorno portando con sé paure, fragilità, dolori e gioie, per tornare a casa migliori».
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