«Il messaggio dei giovani di Tor Vergata? Cercano un nuovo inizio»
Don Stefano Guidi (Fom): è una generazione che vuole farsi portatrice di un messaggio di amore e di pace anche nella vita degli altri, in una fase storica particolare

Di eventi giovanili come questo ne ha vissuti “sul campo” oltre una decina, ma ogni volta scopre qualcosa di inedito. In questi giorni anche di più. Don Stefano Guidi è direttore della Fondazione Oratori Milanesi (Fom), che con oltre 900 oratori attivi nella diocesi ambrosiana è forse l’osservatorio più documentato sull’aria che tira oggi nel rapporto tra mondo giovanile e fede. In cammino con i 4.200 ragazzi milanesi verso Tor Vergata, riflette su quel che sta sperimentando. Con tre parole: intensità, entusiasmo, autenticità.
Cosa colpisce in questi giorni a Roma?
Il fatto che ci sono ancora giovani che seguono il Vangelo, e vivono esperienze ecclesiali come questa. Veramente la fede è un dono che arriva alla vita dei ragazzi, grazie anche alla Chiesa, ma con una modalità che alla Chiesa in qualche modo sfugge. La fede è sempre un dono anche per la stessa Chiesa, che ha il compito di annunciarla e proporla. Ogni volta è bello lasciarci sorprendere da questa evidenza che ci si ripropone, grazie ai giovani.
I ragazzi con cui condivide questa esperienza con quali aspettative sono arrivati a Roma? E cosa stanno scoprendo?
Sono una generazione che attraversa un tempo storico molto particolare: hanno vissuto in pieno l’esperienza terribile del Covid e vivono come un dramma pieno di incognite una stagione storica mondiale che preoccupa tutti. Ho l’impressione che siano segnati da timori e dalla fatica di uscire da una situazione di grande difficoltà. L’aspettativa quindi è di trovare per la loro vita un messaggio di pace, di amore e di incoraggiamento, di cui farsi anche portatori nella vita degli altri. Li vedo seriamente coinvolti nelle vicende del mondo, si sentono responsabili di fare qualcosa, desiderosi di partecipare e di ricevere parole nuove per la loro vita.
Agli educatori come lei cosa stanno dicendo di nuovo queste giornate?
Stiamo ricevendo una grande carica, ci stanno rimotivando profondamente rispetto al desiderio di stare accanto ai nostri giovani e adolescenti, e di continuare ad accompagnarli. Questa è una generazione che cerca adulti significativi, si aspetta che gli adulti che incontra abbiano qualcosa di vero, di bello, di giusto da dire e da offrire. Questa loro richiesta molto schietta ci impegna e ci consegna una nuova responsabilità per non sottrarci alle loro aspettative.
Il rapporto dei giovani con la fede e la Chiesa si fa sempre più complesso. Dal “loro” Giubileo quale indicazione sta emergendo?
Credo sia indispensabile recuperare le riflessioni e le consapevolezze che ci aveva portato il Sinodo sui giovani nel 2018, un messaggio che mantiene tutta la sua profezia ma che i fatti storici globali accaduti subito dopo sembrano aver spazzato via. In quel percorso sinodale furono i giovani stessi a confrontarsi con grande sincerità con pastori e formatori indicando i punti critici su cui è necessario crescere, giovani e Chiesa insieme. Intendo dire che questo Giubileo è la nuova tappa di un dialogo che non è mai venuto meno, un rapporto che va approfondito per non fermarsi a una dimensione puramente celebrativa, al grande evento, ma che possa essere il nuovo passo di un legame che cresce nel tempo.
Questi incontri di massa “funzionano” ancora?
I giovani del Giubileo sono in maggioranza di una generazione che non ha vissuto nessuna delle Giornate mondiali della gioventù precedenti. Alcuni sono stati a Lisbona 2023, quasi nessuno a Cracovia 2016. Quindi non hanno beneficiato di quella trasmissione di esperienza, entusiasmo, voglia di esserci che ha sempre sostenuto la partecipazione alle Gmg. A Roma mi sembra di vedere, al di là degli aspetti più coreografici, una partecipazione di massa ma con la capacità di riconoscere i momenti in cui occorre raccoglimento, profondità, impegno personale senza sconti. Penso all’incontro di preghiera degli italiani, con il grande silenzio sceso in piazza San Pietro mentre parlava il cardinale Pizzaballa, o alla giornata delle confessioni al Circo Massimo, con una presenza straordinaria, a tutte le ore del giorno, di giovani che cercavano il sacramento della riconciliazione. Sanno riconoscere il valore dei momenti più importanti e capiscono come custodirli. Vivono le giornate a Roma come un’occasione di ripartenza personale, di rinascita, di ripresa di un cammino spirituale, e anche ecclesiale.
Cosa serve perché il Giubileo 2025 “lasci il segno”?
L’evento funziona se è preceduto e seguito dalla vita di una comunità cristiana che nelle sue forme accompagna, ascolta, si fa compagna di viaggio. È necessaria però anche una decisione che i giovani devono prendere per la loro vita: sono anzitutto loro che devono chiarirsi le idee vivendo l’intensità del momento non come un’isola ma come uno stile, il punto di nuovo inizio.
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