I preti colpevoli vanno reintegrati? Il caso di Tolosa apre il dibattito
L'arcivescovo della diocesi francese aveva nominato cancelliere un sacerdote condannato nel 2006, che ha scontato la pena. Dopo le proteste, il passo indietro, la spiegazione e le scuse

Fin dove deve spingersi la massima vigilanza che la Chiesa francese si è imposta nella lotta contro il flagello degli abusi? Fino a negare a un sacerdote pesantemente condannato in passato di ricoprire alte cariche diocesane? Oltralpe, il dibattito è rilanciato, dopo il caso innescato da un annuncio risalente a inizio giugno, quando l’arcivescovo di Tolosa, Guy de Kerimel, ha nominato al posto di cancelliere diocesano padre Dominique Spina: un sacerdote reduce da una condanna a 5 anni di carcere, risalente al 2006, per stupro su un minore. A presentare il ragazzo a padre Spina fu un altro sacerdote, suicidatosi nel 2000, la cui reputazione ha preso contorni particolarmente sinistri: Pierre Silviet-Carricart, direttore negli anni Ottanta e Novanta dell’istituto cattolico Notre-Dame-de-Bétharram, al centro della storia a lungo occultata del gruppo scolastico, che ha recentemente provocato ben 217 denunce di ex allievi per abusi di potere e sessuali.
Fra i primi a reagire alla notizia della nomina, del resto, figura proprio la vittima di padre Spina, che ha additato «una promozione scioccante», denunciando «il perdurare di una segretezza religiosa». Dai ranghi locali dei fedeli impegnati a Tolosa, si è presto levata pure la voce della coordinatrice del Movimento eucaristico dei giovani, Margot Ferreira, per protestare contro «una violenza supplementare alle vittime». Si tratta pure di una giovane impegnata nella formazione per prevenire gli abusi sessuali.
Da tutta la Francia, soprattutto attraverso i social, sono piovute critiche simili da parte di fedeli e non. Un fiume d’indignazione in cui è confluita pure la prima protesta di un vescovo, Hervé Giraud, titolare della Diocesi di Viviers. Ma a segnare una svolta è stato poi un comunicato da parte della Conferenza episcopale, sul «dialogo costruttivo» intrapreso con l’arcivescovo per convincerlo a «riconsiderare» la propria scelta. In un primo tempo, monsignor Guy de Kerimel aveva reagito alle critiche invocando il dovere di «misericordia», ma lo scorso 16 agosto ha finito per rinunciare alla nomina. Chiedendo «perdono» a chi ha subito violenze, l’arcivescovo ha spiegato di aver compreso che la sua scelta «era stata interpretata da numerose persone come uno schiaffo verso le vittime di abusi sessuali». Scuse anche per lo stesso padre Spina, per non aver «saputo trovare il posto a cui ha diritto». L’arcivescovo ha pure ribadito le motivazioni che l’avevano spinto alla nomina: far rinascere la «speranza» fra i condannati che «vivono in uno stato di morte sociale estenuante».
Ma non si può parlare di un coro unanime di accuse contro l’arcivescovo. C’è pure chi, ad esempio sul quotidiano La Croix, ha sottolineato il «coraggio» della scelta iniziale, capace di evidenziare il nodo del riscatto sociale di chi ha pagato a livello penale, percorrendo poi le tappe di un cammino sincero e credibile di redenzione. Ufficialmente il caso è chiuso, ma ha dimostrato in modo chiaro quanto profonde restino le ferite e lo choc lasciati dalla sequenza di scandali a ripetizione degli ultimi anni, così come dalle fosche conclusioni della Commissione Ciase voluta dalla stessa Conferenza episcopale: secondo l’organismo indipendente, che ha elaborato delle stime ipotetiche a partire dagli anni Cinquanta, potrebbero essere circa 330mila le vittime di una piaga che riguarderebbe circa il 2% dei sacerdoti.
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