I giovani italiani in San Pietro. Zuppi: la Chiesa, casa che accoglie tutti
In 50mila intorno alla Basilica Vaticana per l'incontro organizzato dalla Cei. Il cardinale presidente: non abbiate paura della vita. Baturi: non ridurre la fede a formule astratte

Ore 15: la grande corsa da via della Conciliazione a piazza San Pietro per conquistare le prime file di fronte al sagrato della Basilica Vaticana. C’è chi aspetta dall’ora di pranzo ai varchi della polizia che presidiano gli ingressi. Non appena si aprono, è un assalto pacifico al cuore mondiale della cristianità. Quando inizierà l’incontro degli italiani che partecipano al Giubileo dei giovani, il colonnato di Bernini conterà oltre 50mila ragazzi che resteranno lì per oltre sei ore. E non solo dalla Penisola ma da tutti i continenti. Pomeriggio di festa e musica organizzato dalla Cei. Ma soprattutto pomeriggio per dire che c’è una generazione pronta a testimoniare la fede, l’appartenenza alla Chiesa, il desiderio di pace. Fede mostrata nella Confessio fidei in cui «rinnoviamo il nostro impegno per una vita buona secondo il Vangelo», spiega il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, che guida il momento di preghiera. Sogno di pace riassunto dal videomessaggio del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, trasmesso in piazza. Mentre «tutto sembra parlare di morte, di odio, di distruzione, di violenza», fa sapere il porporato, «le parole da sole non bastano: devono essere accompagnate da gesti concreti di vicinanza, di empatia, di amore». E oggi si può vedere il Risorto «nelle tante persone che ancora credono che la pace non sia un miraggio o solo uno slogan, ma qualcosa di concreto che si può costruire». In piazza appaiono i cartelli tenuti in mano da un gruppo: «I giovani di Gaza con noi».

Dal sagrato il colpo d’occhio impressiona. E racconta «la gioia di non avere paura di professare la fede» e di «non avere paura della vita», afferma Zuppi. Perché, aggiunge, nella Chiesa «ci sentiamo a casa. È la mia e nostra casa, inadeguati e peccatori come siamo, ma famiglia dove tutti, tutti, tutti siamo accolti». E la piazza gli regala l’applauso. «Al centro non c’è il nostro io - continua il presidente della Cei -. C’è sempre e solo Cristo che rende l’altro, qualunque esso sia, il mio e nostro prossimo e non un estraneo o un nemico». Nella sua riflessione tornano i drammi contemporanei. «Oggi si combattono tante inutili stragi. Sono tutte nostre guerre». Zuppi le paragona a «croci costruite follemente dagli uomini che fabbricano armi per uccidere e distruggono quello che fa vivere». E avverte: «Non possiamo mai abituarci a una sofferenza infinita, frutto della disumana, primitiva, temibile logica del più forte. È un mondo che accetta di nuovo come normale pensarsi l’uno contro l’altro». Quindi il monito: «Chi uccide un uomo, uccide il mondo intero. Come uccidere un bambino, quel bambino, quella vita?». Da qui l’invito a «disarmiamo i nostri cuori per disarmare cuori e mani di un mondo violento», dice citando Leone XIV. Poi le domande che prendono spunto dalle ferite di oggi: «C’è un bambino in mezzo al mare o perduto nel deserto, chi lo salverà? C’è tanta amarissima e atroce solitudine, chi si farà compagnia? C’è tanta rassegnazione, chi accenderà il cuore di speranza?».

A dare il benvenuto è il segretario generale della Cei, l’arcivescovo Giuseppe Baturi. «Contro il rischio di ridurre la fede a formulazioni astratte, Pietro restituisce alla fede una dimensione di vita e di umanità intensa, capace anche di errore e di pentimento», sottolinea Baturi richiamando il tema dell’evento: “Tu sei Pietro”. L’Apostolo proposto ai ragazzi come amico e maestro. «Signore - ripete Zuppi a nome dei ragazzi - tu sai che sono peccatore e traditore come Pietro e tu non mi mandi via, non condanni ma salvi, non mi chiedi di non sbagliare ma di amarti e seguirti».

In piazza si alternano voci di speranza. Come quella di Laura Lucchin, la madre di Sammy Basso, che ripercorre «la sua fede sentita e ricercata quotidianamente». Come Nicolò Govoni, il 32enne “missionario” laico che ha aperto scuole tra Grecia, Siria, Kenya, Congo, Yemen e Colombia. «Fallivo in tutto: pluribocciato, problemi interpersonali, quasi arrestato. Ma poi ho incontrato una prof. “Credo in te,” mi ha detto. È grazie a lei che ho trovato il coraggio di partire per l’India come volontario». E di fronte alle cadute, rivela Nicolò, «mi sono sempre rialzato. Sapete in quale modo? Con la fede». O come don Antonio Loffredo, l’ex parroco del Rione Sanità a Napoli, che «nel ghetto dove si vive da esclusi» ha affidato «i luoghi dimenticati, catacombe, chiese, chiostri, case canoniche, giardini» ai giovanissimi che le hanno trasformate in «case di comunità». «L’importanza di ogni pietra non è mai di essere isolata, ma è se stessa quando è insieme», sprona Zuppi. Come insegna il Giubileo dei giovani.
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