Chiesa & digitale: comunicare (bene) è un impegno sinodale

Quattro premesse e molte conseguenze per leggere il “Documento di sintesi” del Cammino ecclesiale italiano, che si completa con il voto dell’Assemblea. E sviluppare con efficacia la parte sui “nuovi linguaggi” della comunicazione. Tra scelte pastorali e missione evangelizzatrice
October 21, 2025
Chiesa & digitale: comunicare (bene) è un impegno sinodale
Le premesse sono sempre importanti perché aiutano a cogliere le diverse sfumature e, soprattutto, a comprendere lo sviluppo di una riflessione. Nell’accostarsi al Documento di sintesi del Cammino sinodale, consegnato nei giorni scorsi ai membri della terza Assemblea chiamata a votarlo sabato 25 ottobre, non si può prescindere da almeno quattro notazioni preliminari.
La prima: il testo è il frutto di un percorso durato dal 2021 al 2025 e, per questo, porta con sé i primi germogli da far crescere nel tempo. Va compreso, pertanto, nella sua completezza e unitarietà: ogni paragrafo acquista significato in relazione agli altri.
La seconda: il periodo, in cui il processo si è svolto ha fatto seguito alla pandemia; non è un dettaglio marginale, ma dice bene qual è stato il punto di partenza e come si può ora immaginare e costruire l’approdo finale.
Vincenzo Corrado
Vincenzo Corrado
La terza: il cammino compiuto non era qualcosa di estraneo alle Chiese in Italia, già “ricche” della tradizione post-Concilio dei piani pastorali (poi Orientamenti) e dei Convegni ecclesiali decennali. La novità sta nella dinamica che, nel suo dispiegarsi, si è nutrita di ascolto e condivisione in un movimento che – secondo una dizione classica – dalla base è arrivata al centro e da qui è tornata alla base. Questa circolarità ha coinvolto più di 500mila persone in 50mila gruppi e una rete di 400 referenti diocesani. Un unicum con un messaggio importante, in un momento di crisi di appartenenza e partecipazione.
L’ultima notazione riguarda proprio questo aspetto: la grande adesione, con i legittimi alti e bassi, lascia in consegna uno stile che, nelle parole di Leone XIV ai vescovi italiani lo scorso 17 giugno, deve diventare «mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire».
Il cuore di tutto ciò ha a che fare profondamente con la comunicazione, non intesa semplicemente in modo strumentale ma come parte strutturale della vita cristiana. Le note introduttive aiutano a comprendere la centralità dell’atto comunicativo nella vita sinodale della Chiesa, tessendo insieme fede, vita e impegno missionario. L’attenzione, dunque, verso la comunicazione non è secondaria e motiva la richiesta di linguaggi rinnovati. Il Documento, citando i Lineamenti della prima Assemblea sinodale, sintetizza tale input in questi termini: «La Chiesa si cimenta in nuovi linguaggi “non per un semplice lavoro strumentale di adattamento e condiscendenza ma per un esercizio spirituale di riconoscimento del vissuto umano come luogo teologico, in virtù del principio dell’Incarnazione”... Con sobrietà e competenza, dunque, i cristiani sono chiamati ad abitare tutti gli ambienti di vita in cui si svolge l’esistenza delle persone, compreso quello digitale che richiede una formazione adeguata».
Ecco perché le premesse sono importanti: il punto di riferimento rimane il «principio dell’Incarnazione», che è sì un principio teologico ma anche comunicativo, in quanto permette di cogliere il modo di agire di Dio nel suo entrare nella nostra storia. Plasticamente: una parola che prende forma, che si incarna. Il tema del linguaggio è fondamentale proprio in questa prospettiva, perché è tessitura di umanità, è apertura interiore, è relazionalità da vivere con sé e con gli altri. Ed è un tema sfidante, se si tiene conto della mutevolezza del tempo attuale, schiacciato tra rimozione dei simboli, cultura woke, vecchie e nuove ideologie.
La sfida infatti sta nella capacità creativa di dire ancora oggi l’inaspettato, ovvero un Dio che continua a venire nella storia dell’umanità. Lo si può fare percorrendo i sentieri della sobrietà, della competenza e, soprattutto, della formazione, così come indicato dal Documento. Oggi, ha ricordato Leone XIV agli operatori della comunicazione lo scorso 12 maggio, è necessario «promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi».
La chiamata diventa impegno a essere presenti in tutti gli ambienti, anche digitali, e ad abitarli con responsabilità, perché la credibilità fa sempre rima con l’autenticità. Rinnovamento dei linguaggi non è rimozione del passato o di quanto acquisito nel tempo, ma conversione del cuore e della mente. Una comunicazione rinnovata ha fondamenta salde, non transitorie. Il cammino riparte da qui.
Vincenzo Corrado è direttore dell'Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Cei

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