«Che ne so io del futuro...». Cari ragazzi, allora entriamoci insieme
Interpellati su cos’è per loro la speranza, i giovani chiedono di poter essere protagonisti, e non “filtrati” da adulti che non gli danno fiducia vedendo soprattutto i problemi. La soluzione? Sentirsi sulla stessa barca...

Parlare di speranza per un adolescente dovrebbe essere facile: ha tutta la vita davanti da costruire, da realizzare, tutta l’energia potenziale da sprigionare nelle sue passioni, talenti, ambizioni, senza dover ancora pensare alle scelte che la vita richiede di fare. E allora perché, quando ho pensato a come porre la domanda sul futuro ad alcuni adolescenti, è stato così difficile formularla? Trovare le parole giuste per farmi capire, pesare ogni singola sillaba? Alla fine ho scelto di formularla così: «Cosa dovrebbero fare gli adulti per permetterti di guardare al futuro con speranza?». N., 17 anni, mi ha risposto un’altra domanda: «Ma cosa ne so io del futuro?». Condivido. Il futuro esiste nel momento in cui viene pensato, sognato, e progettato. E la speranza nel futuro parte dal vivere un presente che, sia per N. che per M. (16 anni) deve parlare un’unica lingua: l’autenticità degli adulti. Entrambi, senza accordarsi, mi hanno sottolineato come hanno bisogno di adulti onesti, reali, veri. I nostri adolescenti sono stanchi di vivere in una realtà piena di filtri, vogliono stare in un mondo vero e imperfetto perché onesto. «Si vede proprio che molti adulti mentono ai propri figli» dando sempre una prospettiva di speranza, «senza far vedere le cose sempre in maniera catastrofica!» (M., 15 anni). Per vedere con speranza il futuro non hanno bisogno di essere protetti o accuditi ma di poter scoprire e riconoscere la realtà per quella che è, anche se può ferire o mettere in crisi. «Nascondermi le cose difficili non ha senso, ma ha senso spiegare la realtà, ciò che ci succede». E penso che la parola “spiegare” significa cercare di mettere in ordine questo presente così complesso.
Tra le righe si può notare che non pensano a un futuro se non collegato al presente che vivono. E per essere vissuto al meglio, deve essere vissuto da protagonisti: hanno bisogno di adulti che creino le occasioni per esprimersi, per riconoscere i propri talenti, le proprie passioni. Senza però fare le cose al loro posto e con il loro modo. Non può che tornarmi in mente la mia esperienza da adolescente, quando ho scoperto la mia passione educativa perché, da animatore dell’oratorio ho avuto la possibilità di creare giochi o storie, prendermi piccole responsabilità, mettermi in discussione verso alcune resistenze e paure che avevo. N. aggiunge un passaggio che trovo cruciale: «Non basta che gli adulti ascoltino le nostre paure o fatiche, soprattutto devono capire i nostri sogni e le nostre speranze». Insomma: basta vederci solo per i nostri problemi, guardateci per i nostri desideri! Allora, torniamo alla domanda: «Ma cosa ne so io del futuro?». Non ne sai niente, come nemmeno noi adulti: aiutiamoci a costruirlo insieme.
Matteo Fabris è pedagogista e referente Formazione Fom (Fondazione Oratori Milanesi)
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