giovedì 30 aprile 2020
Tra i 25 sacerdoti uccisi dal coronavirus nella diocesi orobica, una delle figure più significative è quella di un protagonista nella vita della diocesi dopo il Vaticano II
Monsignor Tarcisio Ferrari

Monsignor Tarcisio Ferrari

COMMENTA E CONDIVIDI

Per trentatré anni è stato parroco di Pignolo, borgo delicato che unisce Bergamo bassa a Città alta, e grazie al suo ministero si sono incrociate infinite vite e storie. Il 6 marzo, agli inizi della pandemia che si è portata via in terra orobica 25 preti, oltre a suore e religiosi, si è spento all'Ospedale di Piario monsignor Tarcisio Ferrari, 84 anni, per tutti semplicemente «don Tarcisio», che merita di essere ricordato anche oltre la sua diocesi di origine, settimane dopo la morte che non ne ha certo cancellato l'esempio e il ricordo. Il coronavirus s'è portato via infatti un sacerdote amato e impegnato per lunghissimi decenni nella vita delle comunità orobiche. Originario di Dorga, in alta Val Seriana, è ordinato sacerdote nel 1962. Dopo un primo incarico a Bonate Sopra, dal 1963 al 1977 è segretario dell'arcivescovo Clemente Gaddi, che guida la diocesi bergamasca negli anni intensi del post-Concilio e delle mutazioni sociali; terminata quell'esperienza, monsignor Ferrari inizia la "missione" a Pignolo, conclusa solo nel 2010, quando torna nella sua Dorga come collaboratore pastorale. Lì, all'ombra della Presolana, ha celebrato Messa sino al 23 febbraio, prima di essere sopraffatto dall'avanzare fulmineo dell'epidemia. «Una vita spesa internamente nell'annuncio di vita e resurrezione. Amato, portato al dialogo, disponibile con tutti», sono le parole con cui don Stefano Pellegrini, parroco di Dorga, ha ricordato monsignor Ferrari nel funerale celebrato l'8 marzo in forma ristretta come da disposizioni e trasmesso in streaming sui canali social dell'Unità pastorale, per consentire a tutti di stare vicino, seppur virtualmente, a un pastore che ha lasciato la sua impronta nella vita bergamasca.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI