venerdì 20 marzo 2020
Don Luigi Giussani (detto Giussanello) e don Marco Barbetta: sono le prime vittime del virus nel clero ambrosiano. Entrambi cappellani universitari, tutti e due legati a Comunione e Liberazione.
Don Luigi Giussani, per gli amici Giussanello

Don Luigi Giussani, per gli amici Giussanello - Collaboratori

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In questi giorni sono tanti i sacerdoti malati, anche ricoverati in condizioni gravi, e già si contano tra loro numerosi morti, oltre una dozzina. I nostri preti non si sono certo tirati indietro e hanno continuato a svolgere la loro attività pastorale vicino al loro popolo, in particolare ai più deboli, bisognosi, anziani, malati, soli. Vi proponiamo i ritratti di due di loro falciati dal coronavirus. In comune avevano (e hanno, nella comunione dei santi) una grande fede, una dedizione instancabile alla loro missione di sacerdoti, l'appartenenza alla Fraternità di Comunione e liberazione. (LEGGI QUI L'ARTICOLO SUI SACERDOTI VITTIME DEL CORONAVIRUS)

Don Luigi Giussani (per gli amici Giussanello)

Avrà ancora molto “lavoro” da fare, ora che è in Cielo, per continuare a contagiare i giovani dello stesso virus che aveva contagiato lui: Gesù. Luigi Giussani, sacerdote della parrocchia milanese di San Protaso e Gervaso, è morto la mattina del 18 marzo all’ospedale Niguarda, dove era stato ricoverato cinque giorni prima risultando positivo al test del coronavirus. Nato a Bussero nel 1950, ordinato sacerdote a 24 anni, dal 1984 era viceparroco.

A lungo docente di religione al liceo classico Beccaria, dopo essere andato in pensione aveva collaborato alla pastorale universitaria seguendo in particolare i giovani di Comunione e Liberazione dell’Università Statale. Uomo tanto discreto quanto profondo nei rapporti, aveva imbastito tante amicizie con gli studenti che vedevano in lui un testimone certo e lieto della fede che lo animava, ed era animatore in parrocchia di catechesi per gli adulti che avevano lasciato il segno.

Portava lo stesso nome del fondatore di Cl - per questo gli amici lo chiamavano “Giussanello” - ed era stato conquistato dal suo carisma e dalla proposta di un cristianesimo vissuto come esperienza immersa nell’ordinarietà della vita quotidiana, capace di giudicarla in ogni sua piega e proponibile a tutti.

L’arcivescovo Delpini ricorda che “nel suo ministero ha avuto cura soprattutto di rapporti personali, di percorsi intellettuali, di un radicamento nella cerchia degli amici dando e ricevendo sostegno e testimonianza”. È stata, la sua, un’esistenza “combattivamente donata” ai giovani perché potessero conoscere il Tesoro che lui aveva incontrato.

Don Marco Barbetta

Don Marco Barbetta - Collaboratori

Don Marco Barbetta

Grande cuore e un desiderio innato di comprendere e abbracciare la realtà. Sempre disponibile ad accompagnare l’avventura dei tanti che gli chiedevano aiuto e consiglio, e sempre alla ricerca di un giudizio capace di illuminare quanto accade nel mondo e nella Chiesa. Don Marco Barbetta è morto il 17 marzo a Milano all’età di 82 anni per arresto cardiaco, dopo una lunga malattia e dopo avere contratto il coronavirus. Ha vissuto da protagonista nella Chiesa ambrosiana, prima militando nel laicato (fu presidente diocesano della Gioventù di Azione Cattolica), e poi come parroco a San Pio X, la chiesa attigua al Politecnico di Milano, dove per molti anni ha accompagnato il cammino dei giovani come cappellano universitario.

Dopo la laurea in chimica, a trent’anni entra in seminario e viene ordinato sacerdote nel 1972. Giovanissimo, aveva conosciuto don Luigi Giussani e ne era rimasto affascinato restando poi sempre legato all’esperienza di Comunione e Liberazione che ha segnato in profondità la sua fede e la sua umanità. Insieme ad altri amici preti aveva dato vita alla fraternità sacerdotale “Cardinale Schuster”, un aiuto a vivere la vocazione religiosa e il servizio alla Chiesa ambrosiana.

Come scrive Julián Carrón, guida di Cl, in un messaggio scritto per la sua morte, don Marco sottolineava che il rapporto con Giussani “era legato ai due termini esperienza e verifica che ti danno una certa percezione della ragione e della fede attraverso una cosa che avviene, non attraverso un discorso”. Così lo ricorda un amico: “È stato un sacerdote speciale, non un clericale: era proprio un prete–prete. Lo era con tutto se stesso: mite, battagliero, trasparente e innamorato, forte e tenerissimo. Aveva capito che per amare le persone, bisogna imparare a perderle. Per questo voleva bene a tutti. Ed era un prete contento.”

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