«Vi racconto il giorno della laurea a Giorgio Armani (e c'entra un abito)»

Parla la prorettrice dell'Università Cattolica Anna Maria Fellegara, a cui venne nel 2023 l'idea con la sede di Piacenza dell'ateneo di conferire il riconoscimento honoris causa allo stilista
September 5, 2025
«Vi racconto il giorno della laurea a Giorgio Armani (e c'entra un abito)»
. | La professoressa Anna Maria Fellegara insieme a Giorgio Armani dietro le quinte del Teatro Municipale di Piacenza, nel 2023, in occasione del conferimento della laurea honoris causa allo stilista
La foto, scattata nel backstage del Teatro Municipale di Piacenza, è finita un po’ su tutti i giornali nel 2023: seduti, l’uno accanto all’altra, avvolti nelle toghe e col tocco in testa, ci sono Giorgio Armani e l’allora preside della Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica Anna Maria Fellegara. È a lei che è venuta per la prima volta l’idea di scrivere al celebre stilista, nei giorni del grande lockdown, quando il Covid aveva messo in ginocchio la città e la provincia a partire dal focolaio di Codogno.
Perché?
Erano giorni bui. Contavamo i morti, qui più che altrove. Non sapevamo che cosa sarebbe stato dei nostri studenti, dell’università, del futuro. E io sentivo l’esigenza che qualcuno invece di futuro parlasse loro, che li incoraggiasse – racconta la professoressa, piacentina doc come lo stilista, da un anno chiamata a ricoprire l’incarico di prorettrice nella sede di Milano -. C’era la necessità di ricucire lo strappo della pandemia, di riannodare il tessuto sociale: il pensiero della stoffa mi condusse naturalmente al mio concittadino Giorgio Armani. Dalla lettera nacque una corrispondenza, poi la decisione di invitarlo in università, poi quella di premiare la sua storia di riuscita imprenditoriale e umana come esempio per i ragazzi. Fu un riconoscimento alla concretezza di questa riuscita, voglio sottolinearlo, non semplicemente al suo successo: c’è differenza tra le due cose.
Cosa intende?
L’insegnamento e lo stimolo che dobbiamo dare ai nostri studenti è quello alla costruzione concreta di un percorso di realizzazione personale e imprenditoriale. Questa è stata la storia del Signor Armani e quel giorno ai ragazzi la raccontò, guardandoli uno a uno. Ricordo il suo sguardo sui giovani, di uno che vede e che li vede. Lo ricordo anche molto emozionato, molto sincero, tenne toga e tocco fino al momento in cui risalì sulla sua auto. Pensai, e ne sono fermamente convinta da allora, che all’università serva molto più questo tipo di condivisione col mondo dell’impresa: persone che si rendono presenti, che si mettono a disposizione degli studenti per incontrarli, per incoraggiarli. Dopo quel giorno restò “amico” dei ragazzi anche con gesti concreti: borse di studio, inviti, appena prima dell’estate ci ha invitati tutti al Silos di via Bergognone, a Milano, per la mostra sulle sue collezioni storiche. Abbiamo organizzato un pullman per andarci.
Lo scatto che vi ritrae dietro le quinte a teatro, prima della cerimonia di conferimento della laurea, ha un significato anche personale per lei. Cosa è successo lì?
Ci siamo seduti ad aspettare. Dopo tante interlocuzioni per iscritto, o mediate dai suoi collaboratori, di fatto era la prima volta che ci incontravamo. Il Signor Armani mi chiese quale fosse la ragione per cui avessi pensato proprio a lui per quel riconoscimento, insieme all’università. Io slacciai la toga e gli mostrai il vestito che indossavo: si trattava di un abito Armani, che mi era stato regalato per il giorno della mia laurea 40 anni prima, nel 1983. Gliene raccontai brevemente la storia.
E qual è?
Lo acquistò mia madre nel negozio più lussuoso di Piacenza, Pellizzari, a costo di grandi sacrifici. La nostra non era una situazione facile, mio padre era mancato, io ero la primogenita, la prima ad aver studiato e a laurearsi in famiglia. E riceverlo, avere un vestito Armani in quegli anni, poterlo indossare in un giorno così importante, quello della prima grande svolta della mia vita in cui finiva il mio percorso di formazione e iniziava quello di impegno diretto nella mia professione, per me equivaleva a un premio e insieme a un segno distintivo. Sperimentavo per la prima volta, insomma, il significato di ciò che è abito e di ciò che ha significato l’abito disegnato da Armani per le donne.
Lui cosa le disse?
Sorrise, semplicemente. Quindici giorni dopo in università arrivò un grosso pacco col mio nome scritto sopra: c’era un abito nuovo di Armani, dentro. La cosa che mi lasciò senza parole? Era perfetto, sembrava fatto su misura per me. Eravamo stati insieme dieci minuti.

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