Perché il delitto Mattarella per i pm è depistaggio di Stato

Dopo 45 anni svolta nell'indagine: ai domiciliari Filippo Piritore, ai tempi dell'omicidio funzionario di polizia. Avrebbe fatto sparire il guanto dei killer
October 24, 2025
Perché il delitto Mattarella per i pm è depistaggio di Stato
L’allora funzionario della Mobile Filippo Piritore (a sinistra) sul luogo del delitto di Piersanti Mattarella./ ANSA
Un guanto sparito, una verità mai emersa del tutto. Sullo sfondo, un presunto depistaggio di Stato che getta nuove ombre su uno dei più controversi delitti mafiosi degli ultimi 50 anni. «Le indagini sull'omicidio dell'ex presidente della Regione Piersanti Mattarella furono gravemente inquinate e compromesse da appartenenti alle istituzioni che, all'evidente fine di impedire l'identificazione degli autori del delitto, sottrassero dal compendio probatorio un importantissimo reperto, facendone disperdere definitivamente le tracce».
Lo mettono nero su bianco i pm della Dda di Palermo, nella richiesta di arresti domiciliari - accolta dal gip - per l'ex funzionario della Squadra Mobile Filippo Piritore, che in carriera ha poi ricoperto anche la carica di prefetto. Secondo la procura, avrebbe reso dichiarazioni «rivelatesi del tutto prive di riscontro, con cui ha contribuito a sviare le indagini funzionali (anche) al rinvenimento del guanto (mai ritrovato)» che fu notato nella 127 usata dai killer, rimasti senza nome, entrati in azione in quella domenica 6 gennaio del 1980 per uccidere il presidente della Regione Sicilia nonché fratello del Capo dello Stato. E non basta. Dalle indagini spunta anche il nome noto di Bruno Contrada, l'ex numero due del Sisde condannato per concorso esterno in associazione mafiosa: era sul luogo del delitto per partecipare alle indagini e, il 6 gennaio 1980, insieme all'ufficiale dei carabinieri Antonio Subranni e all'allora pm Piero Grasso, acquisì informazioni sia dalla vedova di Mattarella, Irma Chiazzese, che dal figlio Bernardo, entrambi costretti ad assistere all'omicidio. Lo stesso Piritore ammette di aver informato del guanto Contrada. «Avvisai subito il dirigente della Mobile, nella persona di Contrada, che evidentemente mi disse di avvisare il dottor Grasso e di mandare i reperti alla Scientifica», ha detto ai pm l'indagato. Contrada e Piritore, infine, secondo i magistrati, erano amici e si frequentavano anche oltre il lavoro. Secondo la sentenza a suo carico (ma revocata dalla Cassazione nel 2017 dopo l'annullamento della Cedu), nell'anno del delitto Mattarella, Contrada aveva rapporti con la mafia di Michele Greco e Totò Riina. Per cui - è la tesi dell'accusa - mentre si occupava dell'inchiesta, intratteneva relazioni riservate con i boss. La versione di Contrada, oggi 94enne, non si è fatta attendere. «Non ho mai saputo del ritrovamento di un guanto nell'automobile usata dai sicari del presidente Piersanti Mattarella. E non sono andato nel luogo dell'omicidio in via Libertà dopo il delitto». L’ex 007 nega anche l’amicizia con l’ex prefetto. «Non sono mai stato a casa sua e lui non è mai venuto a casa mia».
«Un guanto di mano destra, in pelle di colore scuro marrone antistante al sedile anteriore destro»: così la polizia scientifica descrisse il guanto recuperato qualche ora dopo il delitto. Una prova cruciale che, secondo l'accusa, sarebbe stata fatta sparire da Peritore. Il funzionario era presente al sopralluogo durante il quale l'indumento venne trovato: risulta da una fotografia scattata dalla Scientifica che lo ritrae sul luogo in cui gli assassini abbandonarono la Fiat. Il guanto, ritenuto un tassello importantissimo per risalire agli autori dell'omicidio tramite impronte e dna, è sparito nel nulla. Ai pm, che l'hanno sentito come testimone a settembre del 2024, Piritore ha raccontato - mentendo secondo la Procura di Palermo - di aver inizialmente affidato il guanto all'agente della polizia Scientifica Di Natale che avrebbe dovuto darlo a Pietro Grasso, allora sostituto procuratore titolare delle indagini sul delitto. Il magistrato, sempre secondo il racconto di Piritore, avrebbe poi disposto di fare riavere il reperto al Gabinetto regionale di Polizia scientifica e Piritore, a quel punto, lo avrebbe consegnato, con relativa attestazione, a un altro uomo della Polizia scientifica di Palermo, Lauricella, per lo svolgimento degli accertamenti tecnici. Ma secondo l'accusa quella raccontata dall'ex funzionario sarebbe una storia inverosimile e illogica, che cozza con le testimonianze di Grasso e Di Natale. Il primo, in particolare, ha spiegato ai pm di non avere mai chiesto o ricevuto il guanto né alcuna notizia al riguardo da parte della polizia giudiziaria. Senza contare che all'epoca, alla Scientifica, non c'era nessun Lauricella.
«Filippo Piritore, consegnatario del guanto sin dal momento del suo ritrovamento, pose in essere un'attività che ne fece disperdere ogni traccia. - gli contestano i pm - Essa iniziò probabilmente a partire dall'intervento sul luogo di ritrovamento della Fiat 127, ove indusse la Polizia scientifica a consegnargli il guanto, sottraendolo al regolare repertamento e contrariamente a ciò che di norma avveniva in tali circostanze». Un giallo che dura da 45 anni. E che dal giorno dell’interrogatorio turba lo stesso Piritore che, intercettato, aveva detto alla moglie: «Qualcosa fanno...». Per poi accennare al «rompere i c... dopo 45 anni». Conversazioni che, secondo la procura, rivelavano «un profondo sconvolgimento», oltre a essere «incompatibili con la posizione di un funzionario che ha compiuto il proprio dovere».

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