Pane, collane d'oro e TikTok: come si è arrivati all'omicidio di Palermo
Da Caivano a Monreale, l'orrore si ripete. Nelle nostre città non bastano più le divise e i controlli: servono comunità e generazioni che facciano pace con se stesse

C’è rabbia, dolore, indignazione a Palermo per l’omicidio del caro Paolo Taormina. Aveva solo 21 anni. Stava tentando di sedare una rissa quando è arrivato lui. Eccolo, è proprio come lo avevo immaginato. Un uomo mai cresciuto; un uomo fatto in serie. Si chiama Gaetano Maranzano, ha 28 anni ed è padre di una bambina. Ci ha messo una vita per costruirsi il pupazzo cui avrebbe voluto somigliare. Guardatelo bene, ci sono tutti gli ingredienti per farne la brutta copia di un grosso bullo. L’aspetto fisico, innanzitutto. Barba lunga, collane d’oro, pistole per giocare. Certo, perché uno dei drammi è questo. L’uomo mai cresciuto sta giocando. Che sia stupido lo dimostra il fatto che dopo il delitto corre a casa e che fa? Posta su TikTok il video dell’arresto di Totò Riina, il mafioso cui si ispira. Credo che il famigerato sanguinario di Corleone non lo avrebbe nemmeno degnato di uno sguardo. Ognuno ha i suoi modelli. E lui, se ne è scelto uno.
Il pallone è pronto, il campo da calcio pure, l’arbitro ha già fischiato. Manca l’avversario, ma non è un problema, perché un nemico lo si trova sempre, basta guardarsi attorno. Il pretesto non tarda ad arrivare. Quando vai in cerca di qualcosa, prima o poi lo trovi. E lui, il mafioso di cartone, lo individua presto. Può essere chiunque, anche tuo figlio, un santo, uno scienziato, e questo è l’altro dramma. Non basta – speriamo che lo si capisca – non basta, dicevo, evitare l’occasione, chiedere scusa, non replicare alle offese. Non basta essere la persona perbene che sei, se all’uomo con la collana d’oro sei antipatico – perché, magari, indossi la felpa che vorrebbe; perché sei più bello e interessante; perché stai con la ragazza che gli piace – farà di tutto per mostrarti il peso del suo niente. Un pretesto, stanne certo, lo troverà. A Napoli, per una scarpa calpestata, fu ucciso il caro Francesco Pio Maimone. A Colleferro, inutilmente, venne massacrato il povero Willy. A Monreale, a morire sotto i colpi di una banda che saliva da Palermo, furono tre amici. No, la morte non arriva in seguito a una rissa. Al contrario, in questi casi, la rissa è cercata per soddisfare la sete di violenza che questi giovani si portano dentro. Ma, perché? Chi esce con la pistola o il coltello, stanne certo che, prima o poi, li userà. Chi era Gaetano? Come gli assassini di Monreale, veniva da un posto difficile, il quartiere Zen, zona espansione nord. Per favore, cambiategli il nome, questa sigla è deprimente. Conosco Palermo e le sue bellezze. Conosco anche i quartieri a rischio con le relative trappole per chi vi è costretto a vivere. In questi luoghi, i ragazzi crescono in fretta. In questi quartieri quelle orribili collane d’oro diventano un feticcio da possedere a tutti i costi: senza sfoggiarne una, sei nessuno. Ecco, adesso, al pagliaccio non basta più la piazza del paese, vuole assurgere agli onori della cronaca. Non gli basta più esibirli, le pistole e i tirapugni; non gli basta più gettare in pasto al pubblico finanche le foto della figlioletta addobbata come lui; non gli basta più osannare gli idoli malefici di cui Palermo e l’Italia si vergognano, è il tempo di fare il primo attore. Deve far parlare di sé. Deve incutere paura.
Ed eccolo qua, pronto a spegnere la vita di un ragazzo di 21 anni e a rovinare gli anni che restano ai genitori e a chi gli voleva bene. È uscito dall’anonimato. È diventato qualcuno. Ha messo paura a una intera città. Fosse vivo quel Totò Riina cui inneggiava chissà che non gli avrebbe fatto i complimenti, pensa. Palermo chiede più forze dell’ordine. Giusto. Purtroppo - l’ho visto a Caivano e ne ho provato sconcerto - purtroppo, dicevo, appena si vedranno per le strade più uomini in divisa arriverà qualcuno, che per motivi ideologici, sarà pronto a denigrarli, a ripetere, stancamente, le parole di Bufalino: «La mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari». Giusto. Maestri elementari, lavoro, controllo del territorio, solidarietà. Si vince stando insieme. Ma quando, due settimane fa, ci fu una spaventosa “stesa” a quattro passi dalla mia parrocchia, la gente terrorizzata telefonava a carabinieri e polizia. E a questi fratelli, che per noi rischiano la vita, la società civile deve, una volta per tutte, saper dire grazie senza se e senza ma. Ci vogliono più controlli, certo. Ma sarà una pia illusione pensare di avere un poliziotto dietro ogni ragazzo che si è montato la testa o si è imbottito di alcol o droga. Occorre che i diversi quartieri della città facciano la pace tra loro. Non basta sistemarsi in zone signorili e benestanti per mettere al riparo i figli, se poi, mentre questi si preparano a diventare uomini, in altri luoghi, per troppo tempo trascurati, i loro coetanei stanno crescendo a pane e violenza; pane e collane d’oro; pane e nostalgia di mafie ammuffite e puzzolenti; pane e TikTok. Per creare una città a misura d’uomo occorre allargare la mente e il cuore. Chi ha ricevuto di più deve capire che ha il dovere di dare di più. Un abbraccio grande alla famiglia di Paolo e a tutti i palermitani.
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