giovedì 21 luglio 2011
Il no alla richiesta per l'esponente del Pd pugliese scatena la rissa a Palazzo Madama.
COMMENTA E CONDIVIDI
Scambio di favori? Chissà. Certo è che dopo il «no» del Senato alla richiesta di arresto per Alberto Tedesco si arriva agli scambi di insulti e agli spintoni. La baruffa si scatena a pochi minuti dal voto segreto che - con 151 no, 127 sì e 11 astenuti - respinge la richiesta delle toghe di mandare ai domiciliari il senatore eletto in Puglia con il Pd (e ora nel gruppo misto).Mentre alla Camera va in scena lo showdown della maggioranza che manda agli arresti Alfonso Papa, anche il dibattito al Senato si accende sin dall’inizio. L’ex assessore alla Sanità nella giunta Vendola interviene per rigettare l’ipotesi che vi siano stati scambi di favori per le due analoghe situazioni. E per chiedere il «sì» al proprio arresto in nome della trasparenza. «La sede naturale per dimostrare la mia estraneità ai fatti contestatimi è la sede del processo», conclude, ribadendo la propia serenità.Nelle dichiarazioni di voto favorevoli all’arresto erano venute da Pd, Idv, Udc, Terzo Polo (Fli-Api) e Lega. Contrari Pdl, che chiede il voto segreto, e Coesione nazionale. A risultato acquisito il clima si surriscalda. I senatori si rinfacciano - in particolare tra Lega e Pd - comportamenti difformi all’ombra del voto segreto. Dal mancato gentlemen’s agreement in nome del garantismo al ricorso alla noble art in nome della rissa perpetua, insomma, il passo è breve. Una miccia è la richiesta di dimissioni, avanzata a Tedesco dalla maggioranza. E che l’interessato respinge. Il leghista Cesarino Monti si incarica di andargliela a ripetere in faccia. Fende il capannello di giornalisti che chiede un commento all’interessato e gli punta il dito in faccia: «Sei reo confesso, se sei un uomo dimettiti».Scena che viene percepita come un sintomo di nervosismo nel Carroccio, accusato dalle opposizioni di aver annunciato il «sì» all’arresto e votato il contrario. Particolarmente vivace, poi, il diverbio tra il pidiellino Domenico Gramazio e il democratico Paolo Giaretta, che quasi vengono alle mani e si danno del «picchiatore» e del «nano». Il secondo si giustifica, dicendo di essere intervenuto a difesa della collega di partito Albertina Soliani. Tutto sempre per la paternità di quella ventina di voti che non tornano. Per la Soliani a "tradire" sarebbero stati proprio i padani. L’ex aennino, invece, ritiene che quei «no» vengano proprio dal partito dell’interlocutrice. E che la richiesta di voto palese avanzata dalla capogruppo Anna Finocchiaro si spieghi con il timore dei "franchi tiratori". Salomonico il capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri. L’esito «non comporta assoluzioni al pessimo operato della sinistra in Puglia. Sicuramente ci sono stati anche voti della Lega e di alcuni del Pd. I numeri del Senato sono chiari».La Finocchiaro usa toni forti - e subisce il fuoco di ritorno -, prima e dopo il voto. «Non abbiamo scambiato un accidente, è oltraggioso solo pensarlo. E lo dimostra il fatto che faremo l’inferno per il voto palese», annuncia. Poi chiede un «giurì d’onore» per essere stata citata dal leghista Sandro Mazzatorta nella ricostruzione della Tangentopoli sanitaria pugliese da cui la vicenda scaturisce. A molti sembra, poi, tagliato su misura per lei il riferimento a un «Vishinskj in abiti femminili» che secondo l’ex presidente di Palazzo Madama Marcello Pera avrebbe indotto Tedesco a chiedere il proprio arresto. Veementi le proteste dai banchi del Pd. Pera ingaggia anche un botta e risposta con il suo successore Schifani. Lamenta l’assenza di una decisione della Giunta per l’immunità e una «procedura poco trasparente». Ma il secondo taglia corto: «L’aula è sovrana».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: