venerdì 13 novembre 2020
Giubbetti di salvataggio riempiti di cartone e barconi che "sfuggono" alla sorveglianza. Così si muore in mare per lasciare intatto il potere delle milizie che governano i campi delle torture
I corpi dei naufraghi trascinati sulla spiaggia di Khmos, a 60 chilometri da Tripoli

I corpi dei naufraghi trascinati sulla spiaggia di Khmos, a 60 chilometri da Tripoli

COMMENTA E CONDIVIDI

Quattro naufragi in meno dui due giorni, un quinto in corso. Oltre 100 morti. E le motovedette libiche donate dall'Italia che intervengono troppo tardi. Non è la prima volta, e non è un caso.
A Khoms, roccaforte dei clan a 120 chilometri a est di Tripoli, quando i trafficanti hanno messo in mare il barcone con più di 120 persone, nessuno pattugliava le coste, nonostante si tratti di una delle zone stabilmente in mano alle milizie che per conto del governo di Tripoli gestiscono i campi di prigionia e governano i flussi migratori. I primi corpi sono stati avvistati da alcuni pescatori che hanno dato l'allarme: 74 morti, 47 superstiti alcuni dei quali lottano per non morire.
Chi li ha messi sui gommoni sapeva che in caso di naufragio non sarebbero sopravvissuti. La gran parte delle vittime, infatti, era stata rassicurata prima della partenza, fornendo loro quelli che sembravano giubbetti di salvataggio. Quando il barcone si è ribaltato si sono rivelati nient'altro che gilet catarifrangenti imbottiti di cartone e inadatti al galleggiamento. Sulla spiaggia i corpi sono stati disposti uno di fianco all'altro. Alcuni stavano a riva con le braccia alzate. Immobili, irrigiditi dopo l'ultimo respiro mentre cercavano invano un appiglio per risalire dagli abissi. A Sorman, un'ora d'auto dalla capitale, sulla strada costiera che conduce a Zuara e poi in Tunisia, sempre ieri dei pescatori hanno tratto in salvo tre donne. Erano aggrappate al relitto. Agli operatori di Medici senza frontiere accorsi sulla spiaggia hanno raccontato di almeno altre 20 persone affogate.
Una nota dell'agenzia Onu per le migrazioni (Oim), spiega che il gommone spinto nelle acque di Khoms era stato caricato alla luce del sole con almeno 120 persone, tra cui molte donne con i loro bambini. Quasi tutti provenivano dai campi di prigionia governativi, da cui i migranti vengono fatti uscire dopo il pagamento di un riscatto. I cadaveri fino ad ora recuperati sono 31, mentre 47 sopravvissuti sono stati portati a riva dalla motovedetta libica e da alcuni barche di pescatori locali.
«La perdita di vite umane è una manifestazione dell'incapacità degli Stati, che mancano di intraprendere un'azione decisiva per dispiegare un sistema di ricerca e soccorso quanto mai necessario in quella che è la rotta più mortale del mondo», ha commentato Federico Soda, capo missione dell'Oim Libia.
Secondo il funzionario italiano «non dovrebbero essere più riportate persone a Tripoli e si dovrebbe dar vita al più presto a un meccanismo di sbarco chiaro e definito, a cui possa possano far seguito delle azioni di solidarietà degli altri Stati».
Più che in mare i problemi sono sulla terraferma. Lo ha ricordato alcuni giorni fa la Procura presso la Corte penale internazionale dell'Aja, che aveva confermato il ritorno sulla scena di alcuni grandi trafficanti di persone, petrolio e droga. L'arresto di Bija, il controverso comandante–trafficante della Guardia costiera di Zawyah, non ha interrotto il business. Al contrario, torna a crescere la pressione sull'Europa e in particolare sull'Italia, ricattata dalle milizie libiche che proseguono nei loro crimini sotto gli occhi di tutti. Continuano a essere acquistate grandi quantità di motori fuoribordo di fabbricazione cinese, recapitati alla filiera del traffico di persone insieme ai gonfiabili scuri che una volta caricati di persone e carburante è impossibile non vedere.
«Il cambiamento è necessario ora, più che mai, per garantire un efficace soccorso in mare e prevenire nuove tragedie», dice Flavio Di Giacomo, portavoce dell'Oim.
La cosiddetta guardia costiera libica (in realtà si tratta di diverse polizie marittime che rispondono a gerarchie non di rado in conflitto tra loro) continua nella messinscena. Ogni 3 migranti intercettati, uno viene lasciato andare. Un modo per ottemperare agli impegni presi con Italia e Ue, e intanto lasciare che gli affari sporchi proseguano indisturbati. I mezzi navali donati dagli ultimi tre governi di Roma sono oramai una ventina. Per non dire della pioggia di fondi alle “municipalità”, a loro volta guidate dai boss delle milizie claniche.
E' sufficiente guardare ai soli numeri degli ultimi 45 giorni, forniti dalle agenzie Onu. Dall'inizio di ottobre circa 1.900 migranti sono stati intercettati in mare e riportati nei campi di prigionia libici, dove secondo gli investigatori Onu non cessano gli “indicibili orrori” a danno di migranti e profughi. L'altra faccia dei numeri sono le 780 persone “sfuggite” ai pattugliatori libici. E questo nelle stesse settimane in cui le motovedette “Made in Italy” sono controllate dagli “addestratori” turchi che di fatto adoperano i flussi migratori come parte del negoziato internazionale.
Le stragi, perciò, non sono un effetto collaterale. Ma la partitura di un ricatto: nella tarda serata di mercoledì si è appreso di un altro gommone con 70 persone, tra cui 3 bambini piccoli, alla deriva nelle acque di competenza maltese. E oggi un gommone si è capovoloto dopo essere salpato dalle coste libiche e ancora on si cnosce il bilancio del naufragio. Ancora una volta la flotta di sorveglianza libica non ha visto nulla.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: