sabato 24 aprile 2021
Storie di vite donate per l’Italia libera: tra loro il sottotenente Aldo Gastaldi, detto Bisagno, don Gilberto Pozzi, il capitano di fregata Kulczycki e Giuseppina Panzica
Giuseppina Panzica e la sua famiglia nel 1935. Panzica proprio per la sua attività clandestina venne arrestata nel 1944 e deportata nel campo di concentramento di Ravensbruck, in Germania, dove rimase fino alla liberazione. A lei, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha conferito la Medaglia d’oro al merito civile

Giuseppina Panzica e la sua famiglia nel 1935. Panzica proprio per la sua attività clandestina venne arrestata nel 1944 e deportata nel campo di concentramento di Ravensbruck, in Germania, dove rimase fino alla liberazione. A lei, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha conferito la Medaglia d’oro al merito civile

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Storie di eroi del quotidiano, di vite donate per l’Italia libera, di un impegno preso per la costruzione di un futuro diverso. Sono quelle di persone che fecero una scelta come il sottotenente Aldo Gastaldi del 15° Reggimento Genio. E’ di pattuglia a Chiavari quando arriva la notizia dell’armistizio l’8 settembre 1943. Non appena viene informato che i nazisti hanno occupato la caserma fa nascondere le armi agli uomini che ha con sé, poi li lascia liberi di andare.

Prende il nome di battaglia di “Bisagno”. E’ tra i primi a salire in montagna

e a formare un nucleo partigiano a Cichero. Nel giro di pochi mesi diventa il comandante più amato della resistenza in Liguria. Bisagno interpreta il ruolo non come potere, ma come servizio.

E' il primo ad esporsi ai pericoli, sempre in prima linea, responsabile e premuroso con i compagni di resistenza. Gastaldi riserva a se stesso i turni di guardia più pesanti

. Si conquista la stima degli uomini e delle popolazioni contadine. Senza di loro il sostegno alla lotta partigiana sarebbe impossibile. Temuto e rispettato anche dai nemici, riesce a far disertare un intero battaglione della Divisione “Monterosa”, il “Vestone”, che passerà poi tra le file partigiane da lui comandate. Cattolico, apartitico, con un carisma straordinario, si oppone con decisione ad ogni tentativo di politicizzazione della resistenza. Per molti diventa un ostacolo ai piani dei partiti membri del Comitato di Liberazione Nazionale. Nei giorni successivi alla liberazione "Bisagno" per garantire l’incolumità di alcuni suoi partigiani, ex alpini, originari del Veneto e della Lombardia, li riaccompagna personalmente a casa.

Poi il dramma: il mistero della sua morte a soli 23 anni, il 21 maggio 1945 a Desenzano del Garda. La relazione ufficiale, redatta dal commissario politico della Divisione, parla di una caduta accidentale dal tetto del camion utilizzato per il viaggio. In realtà la dinamica dell’incidente non è stata mai chiarita e molti hanno subito sollevato dubbi sul reale andamento dei fatti. Una testimonianza, quella di Bisagno, che arriva fino ai nostri giorni. All'avvio della causa di beatificazione e canonizzazione del primo partigiano d'Italia da parte del cardinale Angelo Bagnasco il 31 maggio 2019. Una figura ricordata nella Cattedrale di Genova gremita di persone il 29 gennaio 2020 in occasione della proiezione del film documentario "Bisagno" di Marco Gandolfo.

Storia diversa, poco conosciuta, ma con un epilogo non meno drammatico è quella del capitano di fregata Jerzy Sas Kulczycki, di origini polacche, ma nato a Roma il 24 dicembre 1905. La sua vicenda si staglia sullo sfondo dei giorni a tinte grigie e fosche che seguirono lo sbarco alleato in Sicilia e l’armistizio dell’8 settembre 1943. Sono i mesi in cui molti giovani, tra i quali gli oltre 650mila Internati Militari Italiani, dissero “No” al nazi-fascismo. Tra questi proprio Kulczycki che nei campi nazisti non ci arrivò neppure. L’ufficiale della Regia Marina venne fucilato in quello che per molti è stato considerato “il crocevia del destino”, ossia Fossoli, luogo di prigionia, ma soprattutto di transito di circa 5.000 persone tra internati militari, politici e razziali che ebbero come destinazione i campi di Auschwitz-Birkenau, Mauthausen, Dachau, Buchenwald e tanti altri. Kulczycki, dopo una impegnativa carriera in Marina, dall’Accademia Navale fino alle missioni in estremo oriente, si trovava a bordo della corazzata “Conte di Cavour”, a Trieste per lavori, quando arrivò l'8 settembre 1943.

Proprio nell’ottobre del 1943, la presenza a Roma e nell’Italia occupata dai tedeschi di moltissimi militari capaci di effettuare operazioni di guerriglia mise in moto idee e azioni del colonnello del genio militare Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, di far nascere un Fronte clandestino militare, al fine contrastare gli ex alleati tedeschi. La stessa cosa pensò di fare Jerzy Sas Kulczycki, nome in codice “Ammiraglio Orione”, “Sassi” oppure “Ducceschi”. Si trovava a Venezia e fuggì alla cattura con alcuni commilitoni e si allontanò dalla Serenissima prima arrivando a Sacile e poi dandosi alla macchia sulle montagne. Qui iniziò a riorganizzare gruppi e reparti di militari sbandati in Veneto. Occorreva però stare molto attenti. Al nord non mancano delatori e spie. I rastrellamenti nazisti erano sempre dietro l’angolo e questo portò a trasferirsi prima a Treviso e poi a Montebelluna.

Era l’ottobre 1943 quando a Bavaria, nel Trivignano, si organizzò un’assise alla quale parteciparono uomini politici di tutte le estrazioni, ma anche volontari civili e ufficiali. Al centro del dibattito la formazione di un esercito clandestino con un’apposita gerarchia, ben delineata e riconosciuta. Al termine dell’incontro la nomina di Kulczycki a Comandante generale delle Forze Armate della Patria (FADP). A questo gruppo di militari che avrebbero operato principalmente in Veneto aderirono numerosi ufficiali degli alpini e di cavalleria. Kulczycki, che già si era distinto per numerose attività in seno alla Regia Marina per le sue doti tattiche e strategiche, mise in piedi una struttura operativa non senza però opposizioni da parte di altri leader di gruppi e reparti che parteciparono alla guerra di Liberazione. Un’attività clandestina, la sua, che ebbe una battuta d’arresto il 22 dicembre 1943 quando a Venezia alcuni componenti della FADP vennero fermati.

L’ufficiale della Regia Marina, però, riuscì a rimanere nell’ombra e a trasferirsi in una città ancora più pericolosa di Venezia a quei tempi, ossia Milano. Nel capoluogo lombardo Kulczycki organizzò quello che venne riconosciuto e denominato VAI, Volontari armati italiani, un vero e proprio corpo militare clandestino, ma apolitico, che avrebbe dovuto condurre non poche azioni per “liberare” l’Italia dal nazi-fascismo. Nell’ambito del VAI furono reclutati anche civili, molti dei quali, anche per volontà di Kulczycki, compirono numerose attività di carattere informativo a favore degli Alleati anglo-americani, ma anche azioni di sabotaggio. Nonostante i rischi e il pericolo sempre dietro l’angolo, l’ufficiale della Regia Marina, continuò la sua attività senza sosta mettendo a punto un piano di sabotaggio della città di Genova e degli snodi ferroviari.

Un’operazione che doveva essere attuata nel giugno del 1944. Purtroppo, però, all’interno del gruppo formato da Kulczycki si infiltrò una spia che, pur di accaparrarsi la taglia, fece arrestare dalle SS altri uomini del comandante “Sassi”. Un colpo che portò pian piano a risalire anche agli altri capi del VAI di Milano. Kulczycki, invece, venne catturato a Genova, il 15 aprile 1944 e rinchiuso nel carcere di San Vittore a Milano. Non pagò, anche da lì riuscì a proseguire la sua attività patriottica, ma anche lui come molti suoi compagni venne trasferito nel famigerato campo di concentramento di Fossoli. Qui non mancarono torture e sevizie da parte dei nazisti con l’obiettivo di farsi rivelare preziose informazioni, ma Jerzy non cedette e restò fermo nelle sue idee e convinzioni senza tradire nessuno. Il 14 luglio 1944 venne fucilato. E’ stato decorato della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.

Don Gilberto Pozzi

Il maresciallo della Guardia di Finanza Luigi Cortile e la signora Nella Marazzi Molinari, invece furono i

fondatori della cellula O.S.C.A.R. acronimo di Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati.

Il gruppo di Clivio era dedito all’espatrio clandestino in Svizzera di ex prigionieri, dissidenti ed ebrei e si collegava all’azione delle “Aquile Randagie”, un movimento scout segreto nato e vissuto durante il periodo del ventennio fascista. Era stata una norma, la n. 5 del 9 gennaio 1927, una delle cosiddette “Leggi Fascistissime”, ad aver decretato lo scioglimento dei reparti scout nei centri inferiori a ventimila abitanti con l’obbligo di inserire l’acronimo ONB (Opera Nazionale Balilla). Una delle attività della O.S.C.A.R. era anche quella di stampare documenti falsi con l’aiuto di timbrifici e amici che lavorano in questura. Il rischio era altissimo, così come varcare il confine, continuamente sorvegliato e recintato con filo spinato. E se per i documenti falsi i fiancheggiatori erano amici della questura, nei punti di valico, alle frontiere, come nel caso di Clivio, erano gli uomini della Regia Guardia di Finanza come “il buon doganiere” Luigi Cortile a fornire supporto alla O.S.C.A.R. non senza rischi. Infatti, non mancavano commilitoni che dopo l’8 settembre avevano scelto di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e questo poteva creare non pochi problemi a chi come il maresciallo Cortile era impegnato a “coprire” ricercati, ebrei e dissidenti.

Il 16 ottobre del 1943 passarono in Svizzera, con le stesse modalità “le figlie Graziella e Nella Colonna, con la zia Gilda Colonna – ricorda Elena Colonna nella sua dichiarazione conservata presso il Museo storico delle Fiamme Gialle di Roma -. Due settimane più tardi transiterà il padre Ugo Colonna senior, da solo. Nello stesso mese di ottobre venne fatta passare la famiglia Ghedalia, composta da cinque persone. La madre Esther Ghedalia, e i figli Giovanna, Laura, Flora e Mosè al completo”. I finanzieri di Clivio, Nella Molinari, ma anche don Gilberto Pozzi, rischiarono tantissimo, ma erano consapevoli di essere dei “contrabbandieri di Cristo”.

Don Pozzi non era un prete qualunque e oltre ad essere tra i fondatori della cellula O.S.C.A.R non mancava di fare squadra con i confratelli sacerdoti dei paesini limitrofi a Clivio

. Tra questi don Gioacchino Brambilla che amministrerà la parrocchia di Viggiù per oltre 25 anni e don Giovanni Bolgeri, parroco di Saltrio per circa 40 anni. Con essi collaborarono numerosi finanzieri del posto, ufficiali e sottufficiali. Non erano tempi facili e occorreva essere attenti e riservati. Non erano poche le spie e i delatori.

Per salvare vite umane occorreva lavorare nell’ombra. L’opera umanitaria di don Gilberto, della signora Nella, che in quegli anni era anche in attesa di un figlio, e di Luigi Cortile fu ostacolata dai fascisti tanto che don Pozzi venne catturato e imprigionato nel carcere di San Vittore a Milano. Uscì grazie all’intervento del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano mentre il maresciallo Cortile morì nel campo di concentramento di Mauthausen-Melk. La signora Nella Marazzi-Molinari si spense anni dopo nel 1987. Nel 2006 l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferì la Medaglia d’Oro al Merito Civile al maresciallo Cortile.

E’ poi c’è la storia di Giuseppina Panzica, nata a Caltanissetta l’1 agosto del 1905, madre di 4 figli e moglie del finanziere in congedo Salvatore Luca. Dopo l’8 settembre 1943, subito dopo l’armistizio con gli Alleati, aderì al “Gruppo Frama” e collaborò con il finanziere Gavino Tolis nel salvataggio di numerosi profughi ebrei e perseguitati politici, aiutandoli a fuggire in Svizzera.

Una storia che il maggiore Gerardo Severino, direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza, ha fatto riscoprire (così come la storia di don Gilberto Pozza, di Luigi Cortile e della signora Nella Molinari) attraverso le sue ricerche e i suoi studi. Panzica proprio per la sua attività clandestina venne arrestata nel 1944 e deportata nel campo di concentramento di Ravensbruck, in Germania, dove rimase fino alla liberazione. A lei, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha conferito la Medaglia d’oro al merito civile. Giuseppina Panzica grazie all’impegno dell’Associazione “Onde Donneinovimento” sarà ricordata il 25 aprile proprio nella città nissena, in via Piazza Armerina, dove nacque e visse la sua giovinezza e dove si attende ancora l’apposizione di una targa che la ricorda da parte dell’Amministrazione Comunale.


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