martedì 31 ottobre 2023
Negli ultimi dieci anni, in Italia, si sono contati cento suicidi tra maestri e professori. La ricerca di Vittorio Lodolo D’Oria, medico esperto di Stress lavoro correlato
Quel «buio» che scende sugli insegnanti
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«Se rinasco faccio l’insegnante: quattro ore di lavoro al giorno e tre mesi di vacanza d’estate». Quante volte abbiamo sentito questa frase? La realtà, però, è ben diversa dagli stereotipi e racconta di una categoria, quella di maestri e professori, fortemente a rischio burnout e “usura psicofisica”. E tanti non ce la fanno proprio più a sopportare la pressione, arrivando anche a farla finita. Negli ultimi dieci anni, in Italia, si sono contati cento suicidi tra insegnanti: praticamente uno al mese, escludendo luglio e agosto.

Il dato, drammatico e rivelatore dello stato di salute di un’intera categoria professionale, composta da quasi un milione di persone, è contenuto in una ricerca di Vittorio Lodolo D’Oria, medico esperto di Stress lavoro correlato, che da anni studia gli effetti della scuola sulla psiche dei docenti. Lo studio è stato pubblicato da LabParlamento, quotidiano online di analisi e scenari politici. Benché in Italia – contrariamente a Paesi come Francia e Regno Unito, dove il fenomeno è monitorato da tempo – non esistano ricerche in questo campo, Lodolo D’Oria è riuscito a quantificare i casi di suicidi tra gli insegnanti, basandosi sugli articoli della cronaca nazionale e locale. Ne è emerso un quadro decisamente allarmante, che riguarda l’intera categoria degli insegnanti, indipendentemente dall’ordine e dal grado scolastico.

«La responsabilità di questa situazione è dovuta alla professione e non al sistema scolastico o al livello di insegnamento in cui si esercita», scrive Lodolo D’Oria nell’articolo pubblicato da LabParlamento. Dei cento suicidi tra gli insegnanti italiani, 58 hanno riguardato donne e 42 uomini. E, se l’83% del corpo docente italiano non fosse formato da donne, avremmo un tasso suicidario decisamente più alto, dato che, stando alla letteratura scientifica internazionale, gli uomini tendono a suicidarsi quattro volte di più, soprattutto oltre i 64 anni, l’età della pensione. Le donne, invece, presentano un’inversione di tendenza e, attualmente, l’età in cui sono più frequenti i gesti estremi è tra i 45 e i 64 anni. Cioè, in piena età lavorativa. E in concomitanza con il periodo perimenopausale, che quintuplica l’esposizione al rischio depressivo. Proprio il “male di vivere” è tra le patologie più frequenti rilevate dai Collegi medici di verifica (Cmv), che valutano l’idoneità o meno all’insegnamento.

Ebbene, scrive Lodolo D’Oria, contrariamente a quanto comunemente si creda, «le diagnosi psichiatriche sono cinque volte più frequenti delle disfonie», nei verbali di inidoneità all’insegnamento per motivi di salute. Eppure, nota l’esperto, il Parlamento, nel 2012, ha approvato una riforma previdenziale (la legge Fornero, che ha spostato in avanti l’età della pensione), «completamente al buio, cioè senza valutazione alcuna della salute professionale della categoria, dell’invecchiamento anagrafico, dell’anzianità di servizio e delle malattie professionali non ancora identificate e riconosciute ufficialmente». Anche perché, ad oggi, non esistono dati “ufficiali” sul burnout degli insegnanti. Gli stessi che, nel 2011, l’allora senatore Giuseppe Valditara, chiedeva di conoscere attraverso «ricerche epidemiologiche» mai attivate

Dodici anni dopo, il Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara ha una base di partenza su cui impostare il lavoro di ricerca. Per fermare la strage silenziosa degli insegnanti.

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