Giù la Vela Verde di Scampia. Viaggio nel quartiere che prova a rinascere
Ruspe e cingolati, la gente assiepata tutt'intorno: è iniziato l'abbattimento della Vela Verde. Viaggio nel quartiere che ora cerca un nuovo futuro

Pubblichiamo qui di seguito il reportage del nostro giornale datato febbraio 2020: fu allora che iniziò la demolizione della Vela Verde, simbolo per eccellenza del degrado. Ecco che cosa avevamo trovato.
«Quando la felicità non la vedi, cercala dentro». Il monito agli abitanti di Scampia campeggia su uno striscione sistemato alla buona sulla porta del parco comunale ritagliato tra le Vele. Uno sforzo titanico, cercare il bene tra tanto male: degrado, abbandono, illegalità. Tutto racchiuso in quella parola – Gomorra – appiccicata per sempre a questo pezzo di Napoli dai libri (e poi dai film e dalle serie tv) di Roberto Saviano.
A cancellarla provano una volta per tutte le ruspe. Sono già state qui, per le altre Vele. Ma adesso tocca alla Verde. Il simbolo dell’abisso per eccellenza. Ci saranno tutte le istituzioni a celebrare il momento: lo Stato abbatte il vessillo della camorra e riprende – almeno sulla carta – il controllo del territorio. E lo Stato ha il volto del Comune, che sotto la guida del sindaco-magistrato Luigi de Magistris ha dato vita all’ambizioso progetto denominato "Restart Scampia": azzerare tutto – o quasi, visto che una delle Vele resterà in piedi a ospitare uffici della Città metropolitana – per ripartire e cancellare del tutto il passato.
Già tre delle sette Vele sono state abbattute tra il 1993 e il 2005. De Magistris e la sua amministrazione hanno ripreso i progetti di chi li ha preceduti: non riqualificare, non riparare, non aggiustare, ma radere al suolo tutto e lasciare un’unica Vela a simboleggiare il trionfo dello Stato su Gomorra. Gli abitanti? Trasferiti nei palazzi che sono sorti al posto dei colossi del degrado, mentre gli ultimi – quelli della Vela Verde – finiti temporaneamente nell’unica che resterà in piedi.

Nel frattempo, i tanti occupanti abusivi sono rimasti o resteranno senza casa. E, per ripicca, hanno reso ancora più degradato l’ambiente delle Vele, lasciando rifiuti dappertutto negli alloggi che sono stati costretti a lasciare o addirittura murandoli per impedire l’accesso a quello Stato che loro, ancora. non riconoscono.
Ovunque, in quest’ultimo viaggio prima della demolizione, è possibile udire lo sgocciolio d’acqua che si ode in tante puntate della serie-culto “Gomorra”. Ma tutta Italia e tutto il mondo conoscono “quella” Scampia.
Ovunque, in quest’ultimo viaggio prima della demolizione, è possibile udire lo sgocciolio d’acqua che si ode in tante puntate della serie-culto “Gomorra”. Ma tutta Italia e tutto il mondo conoscono “quella” Scampia.
Pochi, invece, l’altra. Che abita nelle Vele e non ha niente a che fare con lo spaccio di droga e col “sistema”: famiglie perbene che lavorano onestamente, che mandano i figli a scuola e magari all’università. C’è scritto dovunque, sui balconi, alle fermate dell’autobus, che Scampia non è Gomorra. Nel quartiere la rabbia e l’orgoglio si urlano così, attraverso gli slogan, le scritte. Sono ad ogni angolo. Quelle della camorra sono state sostituite da quelle della gente comune che è stanca di un marchio che crede di non meritare: «Qui ci sono tante altre belle cose: raccontatele!», supplica una signora sulla quarantina.
Le belle cose di Scampia sorgono proprio davanti ai mostri di Gomorra. Sono le scuole come la "Virgilio 4" o la "Ilaria Alpi", dove presidi e insegnanti coraggiosi portano avanti il valore della cultura, cercando di strappare gli adolescenti del quartiere alla manovalanza nel crimine organizzato, la più facile forma di riscatto sociale per un giovane che vive nel disagio: inutile negarlo.

C’è poi la palestra di judo Gianni Maddaloni, da cui è uscito suo figlio Pino, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Sidney, e nella quale si allenano tanti ragazzi che intendono mettere la loro forza al servizio dello sport e non della camorra. C’è il centro di formazione culturale e professionale Alberto Hurtado fondato dal padre gesuita Fabrizio Valletti, e portato avanti dai suoi confratelli. C’è la falegnameria di Vincenzo Vanacore. Ma sono solo alcune delle tante realtà che cercano di riscattare Scampia da un passato e da un presente di degrado e violenza.
La loro ambizione è creare lavoro, ovvero ciò che la camorra offre ai giovani in cambio della fedeltà assoluta ai suoi progetti di morte. Sorgono quasi tutte davanti alle Vele, quasi a sfidarle e a ripetere ciò che disse qui Giovanni Paolo II nel lontano 1990, in occasione di una visita ai palazzoni del degrado: «Non bisogna arrendersi al male! Mai! Il bene, se voluto con forza, forse fa meno rumore, ma è più efficace e può compiere prodigi», aggiunse il pontefice. Altre frasi scritte sui muri che le ruspe, da domani, sgretoleranno per sempre.
Ma per vincere la sfida serve anche che lo Stato, oltre domani, si faccia vicino. «Non è dalla sparizione di un palazzo che dipende la salvezza di un quartiere» ripetono gli anziani assiepati alle transenne. Non le case, ma le occasioni e le speranze date alle persone. «Non le case, ma le persone che ci abitano» ripetono allontanandosi.
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