mercoledì 19 febbraio 2020
Ruspe e cingolati, la gente assiepata tutt'intorno: è iniziato l'abbattimento della Vela Verde. Viaggio nel quartiere che ora cerca un nuovo futuro
Le ruspe in azione per l'abbattimento della Vela Verde di Scampia. Sul muro si legge: «No a Gomorra»

Le ruspe in azione per l'abbattimento della Vela Verde di Scampia. Sul muro si legge: «No a Gomorra» - Ansa

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«Quando la felicità non la vedi, cercala dentro». Il monito agli abitanti di Scampia campeggia su uno striscione sistemato alla buona sulla porta del parco comunale ritagliato tra le Vele. Uno sforzo titanico, cercare il bene tra tanto male: degrado, abbandono, illegalità. Tutto racchiuso in quella parola – Gomorra – appiccicata per sempre a questo pezzo di Napoli dai libri (e poi dai film e dalle serie tv) di Roberto Saviano.

A cancellarla provano una volta per tutte le ruspe. Sono già state qui, per le altre Vele. Ma adesso tocca alla Verde. Il simbolo dell’abisso per eccellenza. Ci saranno tutte le istituzioni a celebrare il momento: lo Stato abbatte il vessillo della camorra e riprende – almeno sulla carta – il controllo del territorio. E lo Stato ha il volto del Comune, che sotto la guida del sindaco-magistrato Luigi de Magistris ha dato vita all’ambizioso progetto denominato "Restart Scampia": azzerare tutto – o quasi, visto che una delle Vele resterà in piedi a ospitare uffici della Città metropolitana – per ripartire e cancellare del tutto il passato.

Già tre delle sette Vele sono state abbattute tra il 1993 e il 2005. De Magistris e la sua amministrazione hanno ripreso i progetti di chi li ha preceduti: non riqualificare, non riparare, non aggiustare, ma radere al suolo tutto e lasciare un’unica Vela a simboleggiare il trionfo dello Stato su Gomorra. Gli abitanti? Trasferiti nei palazzi che sono sorti al posto dei colossi del degrado, mentre gli ultimi – quelli della Vela Verde – finiti temporaneamente nell’unica che resterà in piedi.

Un altro momento della demolizione. In primo piano, il sindaco Luigi de Magistris

Un altro momento della demolizione. In primo piano, il sindaco Luigi de Magistris - Ansa

Nel frattempo, i tanti occupanti abusivi sono rimasti o resteranno senza casa. E, per ripicca, hanno reso ancora più degradato l’ambiente delle Vele, lasciando rifiuti dappertutto negli alloggi che sono stati costretti a lasciare o addirittura murandoli per impedire l’accesso a quello Stato che loro, ancora. non riconoscono.
Ovunque, in quest’ultimo viaggio prima della demolizione, è possibile udire lo sgocciolio d’acqua che si ode in tante puntate della serie-culto “Gomorra”. Ma tutta Italia e tutto il mondo conoscono “quella” Scampia.

Pochi, invece, l’altra. Che abita nelle Vele e non ha niente a che fare con lo spaccio di droga e col “sistema”: famiglie perbene che lavorano onestamente, che mandano i figli a scuola e magari all’università. C’è scritto dovunque, sui balconi, alle fermate dell’autobus, che Scampia non è Gomorra. Nel quartiere la rabbia e l’orgoglio si urlano così, attraverso gli slogan, le scritte. Sono ad ogni angolo. Quelle della camorra sono state sostituite da quelle della gente comune che è stanca di un marchio che crede di non meritare: «Qui ci sono tante altre belle cose: raccontatele!», supplica una signora sulla quarantina.

Le belle cose di Scampia sorgono proprio davanti ai mostri di Gomorra. Sono le scuole come la "Virgilio 4" o la "Ilaria Alpi", dove presidi e insegnanti coraggiosi portano avanti il valore della cultura, cercando di strappare gli adolescenti del quartiere alla manovalanza nel crimine organizzato, la più facile forma di riscatto sociale per un giovane che vive nel disagio: inutile negarlo.

Al via il cantiere per l'abbattimento delle Vela Verde di Scampia, demolita nel 2019

Al via il cantiere per l'abbattimento delle Vela Verde di Scampia, demolita nel 2019 - Fotogramma

C’è poi la palestra di judo Gianni Maddaloni, da cui è uscito suo figlio Pino, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Sidney, e nella quale si allenano tanti ragazzi che intendono mettere la loro forza al servizio dello sport e non della camorra. C’è il centro di formazione culturale e professionale Alberto Hurtado fondato dal padre gesuita Fabrizio Valletti, e portato avanti dai suoi confratelli. C’è la falegnameria di Vincenzo Vanacore. Ma sono solo alcune delle tante realtà che cercano di riscattare Scampia da un passato e da un presente di degrado e violenza.

La loro ambizione è creare lavoro, ovvero ciò che la camorra offre ai giovani in cambio della fedeltà assoluta ai suoi progetti di morte. Sorgono quasi tutte davanti alle Vele, quasi a sfidarle e a ripetere ciò che disse qui Giovanni Paolo II nel lontano 1990, in occasione di una visita ai palazzoni del degrado: «Non bisogna arrendersi al male! Mai! Il bene, se voluto con forza, forse fa meno rumore, ma è più efficace e può compiere prodigi», aggiunse il pontefice. Altre frasi scritte sui muri che le ruspe, da domani, sgretoleranno per sempre.

Ma per vincere la sfida serve anche che lo Stato, oltre domani, si faccia vicino. «Non è dalla sparizione di un palazzo che dipende la salvezza di un quartiere» ripetono gli anziani assiepati alle transenne. Non le case, ma le occasioni e le speranze date alle persone. «Non le case, ma le persone che ci abitano» ripetono allontanandosi.

Nel centro dei gesuiti: «La speranza? La restituiamo col lavoro»

C'è una rigenerazione urbana che è compito del Comune di Napoli e si declina nel poderoso progetto “Restart Scampia”. Che prevede l’abbattimento delle Vele e la loro sostituzione con un’edilizia popolare e un quartiere a misura d’uomo. C’è poi una “rigenerazione sociale” che qui è partita da un po’ di anni e porta la firma di uno sparuto gruppo di gesuiti. Sono arrivati da queste parti negli anni Novanta. Nel 2001, uno di loro, padre Fabrizio Valletti, fu mandato in missione a Scampia dai suoi superiori. Nel 2006, il gesuita diede vita al centro di formazione culturale e professionale "Alberto Hurtado", che sorge in un bene di proprietà del Comune di Napoli di cui si era appropriato il clan egemone del quartiere, quello dei Di Lauro, protagonista della prima sanguinosa faida di inizio secolo.

Una Vela nel quartiere Scampia

Una Vela nel quartiere Scampia - Archivio Ansa

Creare lavoro, ovvero ciò che più manca da queste parti e che offre quasi esclusivamente la camorra (ma a caro prezzo): questo l’obiettivo dei padri. Creare lavoro per ridare dignità a una popolazione costretta a vivere nel degrado. «Perché intitolarlo a padre Hurtado il nostro centro? Si tratta di un gesuita cileno che operò nella periferia di Santiago del Cile nel secolo scorso. A un certo punto cominciò a chiedersi: può il Cile dirsi un Paese cattolico? Può dirsi la sua società cristiana davanti alle enormi diseguaglianze che c’erano? E cominciò a operare per superare questa schizofrenia della società cilena, che si diceva cattolica ma era borghese, nel senso più deteriore del termine. Spesso anche noi preti siamo terribilmente borghesi, a partire dai nostri seminari…», spiega padre Marco Colò, che da cinque anni ha preso la guida del centro. «Quello che padre Hurtado ha fatto in Cile, dobbiamo farlo noi qui a Scampia. Creare strutture sociali più cristiane: questa è la nostra preoccupazione come Chiesa. Potremmo definirla «“un’evangelizzazione sociale”». L’evangelizzazione sociale dei padri gesuiti di Scampia si compie nella formazione professionale e nel lavoro stesso, creato attraverso delle cooperative. Ben presto, infatti, i religiosi si resero conto che era quasi inutile formare giovani al lavoro se poi questo non c’è. Così crearono i principali laboratori operanti nel centro: quello di sartoria, quello di restauro del libro e cartotecnica, e quello di coltivazione orti e conserve alimentari. C’è poi una biblioteca, una scuola di musica e un’orchestra, un doposcuola e perfino un caffè letterario, perché la cultura non sia solo appannaggio del centro storico della città. Soprattutto, c’è la possibilità per i giovani in dispersione scolastica – che qui è altissima – di studiare qui, al centro Hurtado, almeno per gli anni dell’obbligo scolastico, per poi decidere se proseguire o avviarsi al lavoro. «Ma con un’istruzione solida e con almeno un diploma di qualifica professionale, che possono conseguire qui anziché a scuola». Perché quelli di Scampia sono ragazzi che vanno seguiti diversamente dagli altri, cioè con maggiore attenzione. E non è un caso, infatti, che padre Colò citi più volte don Milani durante la conversazione.

L’altro giorno è stato qui Mattia Santori, il leader delle Sardine, che proprio qui a Scampia porterà a congresso il suo movimento, il 14 e il 15 marzo prossimi. Pochi sanno che in passato Santori ha trascorso qui ampi soggiorni per fare volontariato. Se vorrà tornare per indicare questa e altre esperienze presenti nel quartiere come gli esempi da cui il Paese deve ripartire, si vedrà. Di passerelle Scampia ne ha viste tante, negli anni, e s’è abituata anche a quelle.

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