
Mark Rutte, segretario generale della Nato - Reuters
Tuoni più che parole. Che forse faranno felice e addolciranno Donald Trump, ma che creano uno stato di preoccupazione nei leader degli altri Paesi Nato, alle prese con i problemi che il riarmo può causare sul consenso interno. Mark Rutte, ex premier olandese e attuale segretario generale della Nato, presenta l’Assemblea dell’Alleanza che inizia oggi pomeriggio all'Aja con un’intensa retorica bellica: gli Stati membri, dice, sono pronti a «combattere insieme e, se necessario, a soffrire e morire insieme».
Rutte sembra già in guerra con la Russia: se Mosca «commettesse l’errore di attaccare un Paese membro della Nato», dice, la risposta dell’Alleanza sarebbe «devastante». Già oggi siamo «forti», ma, sprona Rutte, «dobbiamo assicurarci di rimanere così forti anche tra 3-7 anni», ovvero la finestra temporale entro la quale Mosca, secondo gli analisti, diventerebbe pronta per attaccare i Paesi Nato, ha aggiunto il segretario generale.
Questo giustifica l’obiettivo di fondo del vertice: far firmare a tutti i 32 Stati membri l’obiettivo del 5% di Pil in difesa entro il 2035, definito un «salto quantico» che rende l’alleanza «più letale». Secondo uno schema già noto: 3,5% in “difesa pura”, 1,5% in generica “sicurezza”, i cui termini sono autodefiniti dai governi; nessuno vincolo ad aumenti minimi annuali, infine un “check” nel 2029 per capire a che punto si è arrivati.
Percentuali che Rutte traduce così: non solo più munizioni e più soldati reclutati ma, ad esempio, vanno aumentate di cinque volte le «capacità di difesa aerea» e costruiti «migliaia» di tank e blindati. La minaccia principale, spiega Rutte, resta la Russia ma vengono citate anche Corea del Nord, Cina e Bielorussia.
L’ostacolo all’accordo pieno resta la Spagna. La situazione del Paese iberico è diventata un giallo. Il premier socialista Pedro Sanchez, alle prese anche con problemi interni, continua a dire che Madrid non andrà oltre il 2,1%. Rutte replica: «Non facciamo accordi sottobanco». Tuttavia sembra esserci un “non detto”: la “verifica” al 2029 potrebbe essere anche il momento in cui si fa un punto più diretto con la Spagna, anche alla luce di eventuali nuovi quadri politici. In ogni caso trovare la quadra con la Spagna è essenziale perché altri Paesi, come il Belgio, sono pronti a chiedere “deroghe” sul modello iberico.
L’altro nodo del vertice ha il nome e il cognome di Donald Trump. Ieri è arrivata la notizia di un arrivo posticipato del presidente Usa. Sbarcherà a L’Aia direttamente stasera, stando alle ultime (scarne) indicazioni. Mancheranno però i leader dell’Indopacifico. In particolare, hanno comunicato l’assenza il primo ministro giapponese Ishiba e il sudcoreano Lee. Una conseguenza dell’attacco americano all’Iran, che ha fatto salire ai massimi livelli di guardia la questione energetica a Tokyo e Seul. La loro assenza parrebbe la prova dell’annullamento o depotenziamento del previsto vertice tra alta dirigenza Nato, Usa e Paesi dell’Indopacifico. Ha a che fare con l’agenda ballerina di Trump? Confermata, invece, la presenza del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, anche alla cena offerta stasera da re Guglielmo Alessandro.