venerdì 26 aprile 2019
Da Placido Rizzotto a Dalla Chiesa, due lotte mai in concorrenza: prima combattenti partigiani e poi vittime di 'cosa nostra' che stavano contrastando
Il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa

Il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa

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C’è un filo che unisce la resistenza ai nazifascisti alla resistenza alla mafia. Un filo che passa proprio per Corleone, e che porta i nomi di Placido Rizzotto e Carlo Alberto Dalla Chiesa, prima combattenti partigiani e poi vittime di 'cosa nostra' che stavano contrastando. Sì, partigiani, il sindacalista socialista e il carabiniere poi prefetto di Palermo. Ma non è per questo che Matteo Salvini ha scelto di passare il 25 aprile a Corleone, probabilmente perché ignora questo legame. Che è legame di scelte comuni e di storie intrecciate. Con un’identica forte scelta iniziale. Placido Rizzotto e Carlo Alberto Dalla Chiesa erano entrambi militari, e dopo l’8 settembre decisero da che parte stare, non con la Repubblica di Salò e gli occupanti nazisti, ma coi partigiani e con l’esercito di liberazione. Rizzotto pre- stava servizio sui monti della Carnia, in Friuli Venezia Giulia, con il grado di sergente. Dopo l’armistizio si unì ai partigiani delle Brigate Garibaldi e per mesi combattè tra le montagne innevate, dividendo il pane e la paura con altri giovani come lui, in gran parte del Nord. Qui capì che per affermare il diritto all’uguaglianza e alla libertà bisognava organizzarsi e lottare, anche a rischio della vita. Quando nel 1945 tornò nella sua Corleone mise in pratica quegli insegnamenti. Lo chiamavano 'il vento del nord'. Era la lotta per la terra e per i diritti dei lavoratori, contro i latifondisti e i gabellotti mafiosi. Così ricoprì l’incarico di presidente dell’Anpi di Palermo e di segretario della Camera del lavoro di Corleone. Nella serata del 10 marzo 1948 venne rapito, ucciso e gettato nella foiba di Rocca Busambra. Il corpo fu ritrovato solo nel 2009. Ma a scoprire esecutori e il mandante Luciano Liggio, fu il giovane capitano Carlo Alberto Dalla Chiesa anche lui allora a Corleone. Dopo l’8 settembre anche lui, allora tenente, aveva scelto di operare in clandestinità nelle Marche, unendosi alla 'Brigata Patrioti Piceni' di stanza in Colle San Marco, località di montagna, ove organizzò gruppi per fronteggiare i tedeschi. In seguito, divenne uno dei responsabili delle trasmissioni radio clandestine di informazioni per gli americani, nascosto in un’abitazione privata presso la città di Martinsicuro, in Abruzzo. Nel dicembre del 1943 passò le linee nemiche con le truppe alleate, ritrovandosi in una zona d’Italia già liberata. Per la sua partecipazione alla Resistenza gli venne attribuito il Distintivo di Volontario della Guerra di Liberazione. Scelte chiare allora, come poi nella lotta alla mafia, fino all’uccisione il 3 settembre 1982, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro, e all’agente di scorta Domenico Russo. Questo poteva essere ricordato ieri a Corleone, nel nome di due uomini che scelsero sempre di stare dalla parte giusta, pagando con la vita. Ma non è stato fatto.

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