
Da sinistra: don Ciotti, Lorenzo Sanua e sua madre Francesca alla fiaccolata - .
“Cerco ancora la verità perché è giusto farlo. Se non lo facessi io che ero là quel giorno maledetto, chi lo farebbe? Io che da quel giorno ho vissuto una vita non mia. Avevo tanti progetti e aspettative ma qualcun altro ha deciso per me. Voglio finalmente capire perché da 30 anni piango la morte di mio padre”. Il 4 febbraio 1995 Lorenzo Sanua è con papà Pietro, fruttivendolo ambulante. Sono appena arrivati con il furgone vicino a piazza Papa Giovanni XXIII, a Corsico, pronti a disporre il loro bancone del mercato. Non sono nemmeno le sei di mattina, due colpi di lupara spezzano il silenzio e uccidono il commerciante. Nessuno si affaccia dai palazzi, nessuno testimonierà. Lorenzo ha vent’anni e l’esistenza segnata. Con sua madre Francesca si chiude in un doloroso silenzio fino al 2010: l’incontro con Libera e don Luigi Ciotti li convince a parlare della loro storia.
Martedì don Ciotti è arrivato a Corsico per commemorare l’ambulante (la serata è stata organizzata da Libera, Comune di Corsico e Avviso Pubblico) che aveva denunciato il racket del mercato dopo aver raccolto lo sfogo di un fiorista taglieggiato. Le indagini si chiusero in fretta, in soli sei mesi. Impossibile capire chi e perché aveva sparato, secondo gli investigatori di allora. Un vuoto di giustizia da togliere il fiato. Finché un paio di anni fa Alessandra Dolci, capo della Dda milanese, ordinò delle perquisizioni in Calabria, e poi disse: “Pietro Sanua è stato vittima di un omicidio di mafia”. C'era anche lei, a Corsico, e l’ha ripetuto. “Non ho ancora una risposta per la richiesta di giustizia di Lorenzo e di sua madre. Ma c’è una verità storica: possiamo dire che Pietro è stato ucciso perché era un uomo retto. Ucciso dalla mafia che controllava questo territorio. E che oggi lo fa ancora, ma in modo meno visibile. Devo dire che non abbiamo avuto molta collaborazione nelle indagini”. Cos’è cambiato in 30 anni? “Oggi la ‘ndrangheta non spara e non sequestra più. Ora si è data un volto imprenditoriale, produce fatture false. Cerca in modo ossessivo il consenso sociale. Vuole essere accettata e sentirsi parte della comunità, quindi rende servizi apprezzati da imprenditori politici e professionisti. Ma la violenza resta, e riemerge non appena si toccano i suoi interessi”. Lo si è visto con le recenti minacce al procuratore capo di Milano, Marcello Viola, e alla pm della Dda Alessandra Cerreti, che hanno messo nel mirino la testa dell’Hydra, il consorzio che riunisce camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra. Il tono di Dolci è calmo, ma fermo: “Fanno affari insieme e muovono enormi flussi di denaro. Molti pensano: li dobbiamo accettare. Noi invece no, non li accettiamo. Continuiamo a contrastarli. Siamo sempre qui e sempre ci saremo”.
Don Ciotti rilancia: “Siamo passati dal crimine organizzato a quello normalizzato. Tocca a noi alzare la testa, essere più vivi per onorare chi è morto. Don Luigi Sturzo disse che la mafia ha piedi in Sicilia ma la testa a Roma. Risalirà crudele al nord e valicherà le Alpi. Una profezia. Da 170 siamo qui a parlare di mafia. Tanti progressi sono stati fatti, ma l’80% dei familiari di vittime non conosce ancora la verità. Eppure le verità passeggiano nelle nostre città. C’è chi sa, c'è chi ha visto, ma non dice. I familiari chiedono meno parole e più impegno”.
Pietro Sanua è stato ricordato da una fiaccolata che ha sostato nel punto in cui fu ucciso. “Se accendi la luce in un mondo di buio dai fastidio – ha detto don Massimo Mapelli, icona dell’impegno antimafia del Corsichese -. Perché è meglio stare al buio e trafficare. Noi siamo gente normale, ma abbiamo una candela in mano. Perché viviamo in un territorio dove è necessario che qualcuno accenda le luci e le tenga accese. Non ci capiti mai di essere cinici e di spegnerle”.