sabato 22 luglio 2023
Le firme di ex diplomatici a sostegno della libertà di stampa e per la liberazione del reporter perseguito dagli Usa e ora in carcere in Gran Bretagna
Una manifestazione per la libertà di Julian Assange a Milano nell'estate 2022

Una manifestazione per la libertà di Julian Assange a Milano nell'estate 2022 - Ansa

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Da oltre 4 anni Julian Assange è detenuto nel carcere londinese di Belmarsh. Il fondatore di WikiLeaks aspetta dietro le sbarre l’esito del ricorso contro l’estradizione negli Stati Uniti approvata a dicembre 2021 dall’Alta Corte britannica e firmata sei mesi dopo dall’allora ministro degli Interni Priti Patel. Washington, lo ricordiamo, accusa il giornalista australiano di aver diffuso migliaia di dossier riservati, reato per cui rischia una reclusione fino a 175 anni. È grazie alla pubblicazione di quei documenti, tuttavia, che il mondo ha aperto gli occhi sull’orrore delle guerre in Iraq e Afghanistan. La giustizia fa il suo corso ma la chiave che potrebbe portare il caso a una svolta è per lo più politica. L’appello in corso smonta la sentenza di estradizione contestando la valutazione dei magistrati che l’hanno emessa e dell’esecutivo che l’ha avvallata. L’esito era atteso all’inizio dell’anno ma ancora tutto tace. (A.Na.)

Pubblichiamo qui di seguito una petizione

E' in corso già dal 2019 in Inghilterra il procedimento per l'estradizione negli Stati Uniti d'America di Julian Assange, il giornalista fondatore di Wikileaks, nato in Australia.

Oltreoceano egli è accusato di 18 reati contestatigli in larghissima parte in base alle disposizioni dell'Espionage Act del 1917 che punisce, in particolare, le interferenze con le relazioni internazionali e commerciali degli Stati Uniti e le attività di spionaggio: in caso di condanna Assange rischia una pena fino a 175 anni di reclusione.


Come ha dettagliatamente precisato nei suoi rapporti Nils Melzer, dal 2016 al 2022 relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Assange è stato sottoposto ad una lunga e durissima tortura soprattutto psicologica di cui sono a suo avviso responsabili:
• gli Stati Uniti, che lo perseguono per crimini inesistenti, dopo avere a lungo segretato le indagini;
• la Gran Bretagna, che lo detiene dall’ 11 aprile 2019 nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, noto come la “Guantanamo britannica”, dopo avere “assediato” militarmente l’Ambasciata ecuadoriana in cui si era prima rifugiato;
• la Svezia, che ha favorito l’arresto in U.K. di Assange, chiedendone l’estradizione – ma al fine di favorire quella successiva verso gli USA - per un'indagine per violenze sessuali, tenuta a lungo aperta ed alla fine archiviata per assenza di prove;
• l’Ecuador, che il 16 agosto 2012 ha concesso asilo e cittadinanza ad Assange per decisione del presidente Correa, ospitandolo nell’Ambasciata londinese dal 19 giugno 2012, ma revocandoli entrambi l’11 aprile 2019, per scelta del nuovo presidente Moreno, e consentendo alla polizia inglese di farvi irruzione ed arrestarlo.

In particolare, Assange è stato sottoposto a tortura psicologica, almeno dalla fine del 2017 (allorchè si trovava ancora nell’ambasciata dell’Ecuador) con confinamento in spazi ristretti, video controllo permanente anche nel bagno, divieto per un certo periodo di usare cellulari e connessioni al web, controllo di ogni suo movimento, inclusi i pochi incontri autorizzati con amici ed avvocati, al punto da non poter neppure organizzare la sua difesa dinanzi alle autorità inglesi per non essere estradato prima in Svezia e poi negli Stati Uniti. Trasferito dopo l’arresto nel penitenziario di Belmarsh, vi è detenuto in cella di minime dimensioni, con restrizioni e controlli ancora più accentuati, al punto che medici specializzati hanno rilevato, anche in ambulatorio, sintomi tipici della esposizione prolungata alla tortura psicologica con rischio di suicidio o comunque di morte.

L’accusa ad Assange di avere violato segreti di Stato americani lede la libertà di stampa, un diritto-dovere proprio di ogni vera democrazia, previsto anche nel primo emendamento della Costituzione americana e nell’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: nell’ “enciclopedia digitale” che lui ha fondato sono state rese note notizie riscontrate e di pubblico interesse, anche se segrete e di fonti anonime (i cd. “whistleblower”). Assange e WikiLeaks, infatti, decisero nell’aprile del 2010 di far conoscere a tutto il mondo un video segreto chiamato “Collateral murder”, che documentava lo sterminio di civili, inclusi due giornalisti dell'agenzia di stampa internazionale Reuters e due bambini gravemente feriti, a Baghdad nel 2007 ad opera delle truppe americane, e poi altri filmati e documenti che, come gli “Afghan war logs” tratti dai database del Pentagono e del Dipartimento di Stato e fornitigli dal soldato Bradley, ora Chelsea Manning, consentirono di svelare altri crimini contro l’umanità commessi dagli Stati Uniti in Afghanistan, nonché nel lager di Guantanamo ed in altre parti del mondo.

Tra l’altro, contrariamente alle accuse, Assange non ha leso fondamentali interessi degli Stati Uniti, poichè, prima di far conoscere tramite Wikileaks alcuni dei nomi degli autori di così gravi crimini contro l’umanità (perché di questo si tratta), aveva accertato che si trattava di nomi ampiamente già noti, nel contempo lavorando con un team di giornalisti internazionali per proteggere quelli sconosciuti. Di fatto, a tredici anni dalla pubblicazione di quei documenti, l'amministrazione americana non ha mai fornito un solo nome di persona uccisa, ferita, incarcerata a causa di quelle rivelazioni.
Wikileaks, come è noto e come è stato riconosciuto anche dalla stessa giurisprudenza inglese, è un'organizzazione giornalistica operante nel mondo con il dichiarato scopo di proteggere dissidenti interni, fonti d’informazione e blogger da rischi legali o di altra natura connessi alla pubblicazione di documenti attestanti la commissione da parte di esponenti di singoli stati di fatti criminosi altrimenti sottratti alla conoscenza pubblica. Sin dalla sua nascita nel 2006, ad esempio, Wikileaks ha pubblicato anche altri importanti documenti riguardanti attività di spionaggio nei confronti della Commissione europea ed interferenze nelle elezioni presidenziali francesi.
Assange, dunque, è oggi, e da oltre 4 anni, detenuto nel citato carcere inglese di massima sicurezza di Belmarsh in attesa di una pronuncia definitiva da parte della High Court circa la domanda di estradizione formulata dal governo USA. La domanda è stata già accolta con un provvedimento recepito dal governo inglese adesso oggetto di reclamo davanti ad un diverso Collegio della High Court. Proprio all’inizio di giugno del 2023, la stessa High Court, in formazione monocratica, ha rigettato un precedente reclamo contro l'ordine di estradizione.
Si è, quindi, alla vigilia della decisione finale circa il destino di Julian Assange. Gli argomenti finora spesi dalla sua difesa appaiono della massima importanza perchè attengono a temi fondamentali negli ordinamenti a base democratica. In particolare, si tratta di stabilire se l'attività pubblicistica propria del giornalismo d’inchiesta che, posta in essere da Assange, ha consentito la rivelazione di gravi crimini commessi da singoli stati anche in occasioni belliche, rientri (come è stato affermato nelle autorevoli deposizioni rese in anteriori fasi del procedimento di estradizione inglese, del Professor Paul Rogers, insigne autore di studi sulla pace, e del Professor Noam Chomsky, prestigioso linguista e filosofo) nel principio della libertà di espressione e di opinione, riconosciuta dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo del 1950, e vada inoltre considerata di natura politica: circostanze, queste, decisive in quanto, se accertate dai giudici inglesi, impedirebbero, ai sensi dell' Extradition Act britannico del 2003, l'estradizione.

Ma vi è un ulteriore e basilare tema di indagine, affrontato con esiti alterni nei gradi precedenti: quello della sussistenza o meno di pericoli per la vita e l'incolumità del giornalista australiano nel caso di detenzione, a seguito di condanna, in strutture penitenziarie statunitensi. Né può sfuggire ad un'attenta valutazione giudiziale la condizione di grave prostrazione psicologica di Assange a causa della protratta privazione della libertà: condizione tanto grave da aver indotto il giudice inglese, Vanessa Baraitser, chiamato a pronunciarsi in primo grado sull'estradizione negli Stati Uniti nel gennaio del 2021, a negare l'estradizione per il timore che il giornalista potesse cedere a pulsioni suicide. Tale decisione fu riformata nel grado successivo del giudizio da un Collegio che ritenne si potesse concedere l'estradizione sulla semplice base delle assicurazioni fornite dal governo USA circa l'eventuale detenzione in stabilimenti dotati di adeguate strutture sanitarie, specializzate anche nei trattamenti di natura psicologica. Proprio sulla base di questa pronuncia il ministro inglese dell'interno ha emanato l'ordine di estradizione che, come si è detto, dopo un primo sommario rigetto dell'impugnazione proposta da Assange, sarà prossimamente e di nuovo esaminato dalla High Court.

La rilevanza della vicenda, per le sue implicazioni di principio e per i suoi gravissimi riflessi sul piano della persona di Assange, è di tale drammatica evidenza da impegnare l'opinione pubblica in genere e la comunità dei giuristi in specie a contribuire ad un dibattito aperto e costruttivo per la riaffermazione del principio di trasparenza cui ogni forma di esercizio del potere pubblico deve essere ispirata.

Non può, infatti, negarsi che l'estradizione di Julian Assange, oltre che ad elementari ragioni umanitarie imposte dalla sue provatissime condizioni psico-fisiche e dai ragionevoli timori circa il futuro regime carcerario, costituirebbe un terribile esempio di soffocamento della libera informazione orientata al disvelamento degli abusi di potere e si risolverebbe, in ultima analisi, nel definitivo inaridimento delle fonti di conoscenza di cui la collettività deve continuare a poter godere.

Sono queste le ragioni che inducono i sottoscrittori di questo documento, nella loro qualità di giuristi e cittadini sensibili al mantenimento della democrazia informativa, a diffonderlo e, confidando nella futura pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ad auspicarne la condivisione da parte dell'opinione pubblica.


20 luglio 2023
(Segue elenco di 121 firmatari)
Gaetano Azzariti – Università “Sapienza” di Roma
Daniela Abram - avvocato
Roberto Aniello - magistrato
Mauro Barberis - Università di Trieste
Fabio Basile – Università di Milano
Gian Antonio Bernacchio – Università di Trento
Alessandro Bernardi – Università di Ferrara
Laura Bertolè Viale, già magistrata
Paolo Borgna – presidente Istoreto Torino, già magistrato
Vittorio Borraccetti – già magistrato
Mario Bova - Ambasciatore
Alberto Bradanini – già Ambasciatore d’Italia a Teheran e Pechino
Giuseppe Bronzini – già magistrato
Silvia Buzzelli – Università Milano Bicocca
Andrea Calice - magistrato
Paola Cameran - magistrato
Nunzia Cappuccio – già magistrata
Gianrico Carofiglio – scrittore, già magistrato
Irene Casolo - magistrata
Marina Castellaneta – Università di Bari
Giovanni Cellamare – Università di Bari
Adolfo Ceretti – Università Bicocca di Milano
Davide Cerri - Avvocato
Elio Cherubini - avvocato
Alba Chiavassa – già magistrata
Angelo Cifatte, già funzionario pubblico in Genova
Enzo Ciconte – Università di Pavia
Giovanni Cocco – Università Bicocca di Milano e avvocato
Antonino Condorelli – già magistrato
Riccardo Conte - avvocato
Luigi Dainotti - magistrato
Nando dalla Chiesa – Università di Milano
Vito D’Ambrosio – già magistrato
Emilio De Capitani – già segretario della Commissione Libe del Parlamento Europeo (1998/2011)
Luciana De Grazia – Università di Palermo
Giovanna De Minico – Università Federico II di Napoli
Pasquale De Sena – Università di Palermo
Maria Chiara Di Gangi – Università di Palermo
Sandro Di Minco - avvocato
Daniele P. Domenicucci – Referendario c/o Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Vittorio Fanchiotti – Università di Genova
Manuela Fasolato - magistrata
Damiano Fiorato - avvocato
Mario Fiorentini – Università di Trieste
Fabrizio Forte - magistrato
Domenico Gallo – già magistrato
Giancarlo Geraci – Università di Palermo
Giuseppe Giaimo - Università di Palermo
Gianfranco Gilardi – già magistrato
Bruno Giordano - magistrato
Elisabetta Grande – Università del Piemonte Orientale
Filippo Grisolia – già magistrato
Laura Hoesch, avvocato
Costranza Honorati – Università di Milano Bicocca
Giulio Itzcovich – Università di Brescia
Enrico Imprudente – già magistrato
Caterina Interlandi, magistrato
Elena Ioratti – Università di Trento
Franco Ippolito – già magistrato e presidente della Fondazione Basso
Gabriella Luccioli – già magistrata
Ezia Maccora - magistrata
Oscar Magi – già magistrato
Franco Maisto – già magistrato, Garante diritti persone private della libertà personale del Comune di Milano
Francesca Manca – già magistrata
Marco Manunta – già magistrato
Maria Rosaria Marella – Università di Roma Tre
Giovanni Marini – Università di Perugia
Luigi Martino – già magistrato
Dick Marty - già magistrato, già Senatore e Presidente della Commissione dei diritti dell’Uomo del Consiglio d'Europa
Luca Masera – Università di Brescia
Filippo Messana - magistrato
Elio Michelini – già magistrato
Vincenzo Militello – Università di Palermo
Rachele Monfredi - magistrato
Nicola Muffato – Università di Trieste
Aniello Nappi – avvocato, già magistrato
Gioacchino Natoli – già magistrato
Roberto Natoli - Università di Palermo
Luca Nivarra – Università di Palermo
Giovanni Orlandini – Università di Siena
Maria Teresa Orlando – magistrato e Procuratrice Europea Delegata
Elena Paciotti – già magistrato
Giuseppe Pagliani - magistrato
Francesco Palazzo- Università di Firenze
Ignazio Juan Patrone – già magistrato
Maria Paola Patuelli - Associazione nazionale Salviamo la Costituzione
Lucio Pegoraro – Università di Salamanca
Rosario Petruso - Università di Palermo
Giuliano Pisapia - avvocato e Vicepresidente Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo
Giovanni Porqueddu – già magistrato
Vincenzo Antonio Poso – avvocato e consigliere Fondazione Pera
Rosalba Potenzano - Università di Palermo
Giovanni Puliatti - già magistrato
Debora Ravenna - avvocato
Carlo Giuseppe Rossetti – Università di Parma
Massimo Rossi - Avvocato
Nello Rossi – già magistrato
Federica Resta - giurista
Roberto Riverso - magistrato
Giuseppe Salmè – già magistrato
Adriano Sansa, già magistrato e sindaco di Genova
Aldo Schiavello – Università di Palermo
Rocco Sciarrone – Università di Torino
Tullio Scovazzi – Università Milano Bicocca
Mario Serio - Università di Palermo
Ottavio Sferlazza – già magistrato
Alessandra Somma – Università La Sapienza di Roma
Armando Spataro – già magistrato
Maria Patrizia Spina – già magistrata
Simone Spina - magistrato
Massimo Starita – Università di Palermo
Davide Steccanella - avvocato
Giovanni Tamburino – già magistrato
Paolo Tamponi – già magistrato
Ida Teresi - magistrato
Matteo Trotta – già magistrato
Giuliano Turone – già magistrato e scrittore
Giulio Ubertis – Università Sacro Cuore di Milano
Domitilla Vanni - Università di Palermo
Christine Von Borries - magistrato
Salvatore Zappalà – Università di Catania

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