lunedì 1 aprile 2024
I dati Istat mettono a nudo gli annunci elettorali Governo e opposizioni silenti, la sconfitta è collettiva E nella manovra 2025 zero margini
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Dopo i pesantissimi dati sulla natalità nel 2023 resi noti venerdì dall’Istat, viene da chiedersi che fine abbiano fatto molte delle promesse elettorali di chi ora è al governo, e dunque anche su questi temi ha convinto i cittadini a farsi dare fiducia. Colpisce tra l’altro la totale assenza di reazioni politiche ai numeri più che preoccupanti dell’Istituto nazionale di statistica: e se il silenzio della maggioranza può essere motivato dalla difficoltà di avanzare una difesa, il silenzio dell’opposizione sembra avere come principale motivazione la distrazione, o la concentrazione su altri dossier forse ritenuti più importanti. La parola l’aveva presa, Giorgia Meloni, poche ore dopo la notizia dell’aumento degli indicatori di povertà, in quel caso aveva in sostanza dato la “colpa” all’inflazione. Sulle nascite, invece, la premier, i ministri e le forze parlamentari che sostengono l’esecutivo restano sotto coperta, schiacciati dalla complessa situazione di chi deve giustificare quanto promesso e non fatto.

Il programma unitario del centrodestra, presentato prima delle elezioni del 25 settembre 2022, d’altra parte è davvero impressionante. Oltre la generica e sempre verde «riduzione della pressione fiscale per le famiglie», viene messo nero su bianco l’impegno di «allineare alla media europea la spesa pubblica per infanzia e famiglia». Beh, nell’Eurozona parliamo del 2,2% del Pil, mentre l’Italia, nel 2022, nonostante le risorse aggiuntive destinate all’assegno unico, era ferma all’1,4%. A spanne, per diventare davvero “europei”, servirebbero non meno di 10 miliardi di investimenti, di soldi freschi, che sinora, con due manovre all’attivo, non si sono visti nelle pieghe del bilancio. Nonostante gli annunci, poi, si è ancora lontani a livello nazionale dal realizzare l’obiettivo di «asili nido gratuiti», una misura che da programma si intendeva universale ma che al momento è collegata alle fasce di reddito (da questo punto di vista, fanno molto meglio diverse Regioni). Ha del clamoroso, poi, il tema dell’aliquota Iva sui prodotti e servizi per l’infanzia: abbassata nel 2023, rialzata nel 2024. Secondo la premier, la speculazione sui prezzi aveva reso inutile il ribasso fiscale. Il risultato è la doppia stangata, sul prezzo e sull’Iva.

Sull’aumento dell’assegno unico e universale ci sono stati ritocchi normativi e i rialzi legati all’inflazione alla luce dei principi contenuti nella legge delega, ma siamo ben lontani da quanto diceva nello specifico il programma di Fratelli d’Italia: fino a 300 euro al mese per il primo anno, 260 dai 2 ai 18 anni e mantenimento del contributo fino ai 21 anni. Va da sé che l’obiettivo degli obiettivi, ovvero la «progressiva introduzione del quoziente familiare», non ha mosso nemmeno mezzo passo.

Bisogna essere realisti: con il bilancio nazionale in grave affanno, con il Superbonus che martella sui conti e con le nuove regole del Patto di stabilità Ue, mantenere queste promesse è al limite dell’impossibile, salvo scelte radicali di spostamento della spesa pubblica da un capitolo all’altro (ma sulla previdenza, ad esempio, l’esecutivo si muove con i piedi di piombo).

Se si andasse nei programmi dei singoli partiti, lo iato tra sogni e realtà diventerebbe ancora più acuto. Forza Italia voleva una deduzione Irpef per i primi tre anni di vita del figlio, la Lega la piena detraibilità delle spese scolastiche nonché la “flat-tax familiare”. Cose lontane anni luce, al momento. Mentre percorsi positivi sono stati avviati dalla ministra Roccella sul fronte dei congedi familiari e della conciliazione vita-lavoro, capitoli su cui servono però risorse meno massicce.

E le opposizioni? Il comportamento sul tema è strano. Pd e M5s erano nel governo Draghi che ha istituito l’assegno unico per figlio. I dem, tra l’altro, vantano i primi firmatari della legge delega, Stefano Lepri e Graziano Delrio. Ma né in campagna elettorale ci sono state particolari rivendicazioni, né in questo scorcio di legislatura ci sono state iniziative significative, paragonabili a quelle assunte unitariamente, come minoranza, sul salario minimo. Un tema che pare dimenticato dai “promessi sposi” Schlein-Conte, e su cui non si ritiene di battere nemmeno per evidenziare le lacune del governo. Mantengono un’attenzione più vigile i partiti del Terzo polo: Azione, dove ora milita l’ex ministra Elena Bonetti, spinge per l’attuazione del Family-act, che pure si sta perdendo nelle nebbie. E Italia viva, ex partito della stessa Bonetti, continua a rivendicare la paternità politica della riforma dell’assegno unico.

È chiaro, pretendere che oggi si realizzi la raffica di promesse sparate sulla natalità in campagna elettorale significa essere ingenui e non conoscere la realtà. Ma almeno su un punto si potrebbe assumere un impegno concreto: la revisione dell’Isee, su cui sono tutti d’accordo. Già dal Def si capirà se c’è reale volontà politica, almeno su questo minimo comune denominatore.

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