sabato 29 settembre 2018
L’esperienza di imprenditori e società civile in rete. E nel 2020 la città sarà capitale della cultura
Parma, dagli anni bui alla sfida della rinascita
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Parma è una città abituata bene da almeno due secoli. Cioè dai tempi del regno illuminato della duchessa Maria Luigia. Figlia dell’imperatore d’Austria e moglie di Napoleone Bonaparte, fresca di rinuncia al titolo di imperatrice di Francia, nella primavera del 1816 la sovrana arriva nel regno emiliano e si adopera per rendere la città una "petite capitale"all’altezza del proprio rango: grandi cuochi francesi nobilitano la cucina parmigiana, il nuovo Teatro Regio e il Conservatorio fanno scoprire alla popolazione la migliore musica europea, artisti e architetti innalzano il livello culturale cittadino. Maria Luigia lascia in eredità ai sudditi la “parmigianità”, una combinazione di bel vivere e di passione per il buon cibo, la buona musica e l’eleganza che ancora oggi è l’essenza della ricchezza della città emiliana.
Ai parmigiani la duchessa ha lasciato anche quel malcelato orgoglio di sentirsi i cittadini di una piccola capitale europea. «Parma, la più bella degli anni Novanta» titola alla fine del 1999 il "Sole 24 Ore" nel fare il bilancio dei primi dieci anni della sua classifica della qualità della vita delle province italiane: ogni anno Parma se non era al primo posto era almeno terza. Sono gli anni in cui la Parmalat si impone come un’incredibile multinazionale alimentare e il suo Parma vince coppe europee, mentre la giunta centrista guidata dal sindaco Elvio Ubaldi cambia il volto della città. Quando nel 2003 la Commissione europea sceglie Parma come sede per l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (l’Efsa) i parmigiani non si stupiscono poi tanto: da sempre sentono che la loro non è una città come le altre.
Ma proprio quando l’arrivo dell’Efsa sembra finalmente dare a Parma il suo posto in Europa, per la "grandeur" parmigiana inizia una crisi inimmaginabile. Prima, nel 2004, c’è il crac Parmalat, che con i suoi 14 miliardi di euro di falso in bilancio è ancora oggi la bancarotta fraudolenta più grande della storia europea. Poi, nel 2011, la giunta del sindaco Pietro Vignali che aveva raccolto l’eredità politica di Ubaldi è travolta da uno scandalo di tangenti e corruzione e ne va lasciando un debito di 807 milioni di euro che fa sentire la città improvvisamente povera. Infine, nel 2015, fallisce disordinatamente anche la squadra di calcio, con scene mai viste in Serie A come quella delle panche degli spogliatoi che finiscono all’asta giudiziaria nel bel mezzo del campionato.
Quando lo splendore di Parma è più offuscato che mai alcuni dei principali imprenditori parmigiani decidono che è ora di fare qualcosa. «Tutti condividevamo la preoccupazione per la situazione della città. Eravamo d’accordo su due punti essenziali. Il primo è che questa terra ha tanti punti di forza ed eccellenze ancora da valorizzare appieno. Il secondo è che aziende che competono sul mercato hanno l’interesse comune di avere un territorio forte, capace di attrarre i migliori talenti, sostenere lo sviluppo sostenibile delle imprese e garantire alta qualità della vita, buone scuole, buoni servizi». Chi parla è Alessandro Chiesi, direttore della divisione europea del gruppo Chiesi, gruppo farmaceutico parmigiano da quasi 1,7 miliardi di euro di fatturato. Chiesi è anche presidente di “Parma, io ci sto!”, associazione di imprese e altre realtà cittadine fondata nel 2016 assieme a Guido Barilla dell’omonimo gigante della pasta, Andrea Pontremoli che è l’Ad di Dallara Automobili, l’Unione Parmense degli Industriali e la Fondazione Cariparma. In due anni gli associati sono saliti a 111. È un modello di lavoro nuovo: le imprese e i rappresentanti della società civile lavorano insieme per progettare, in collaborazione con le istituzioni, lo sviluppo del territorio. Fanno sistema e lavorano su quelli che chiamano “i quattro petali”, i punti di forza di Parma: l’agroalimentare, la cultura, la formazione-innovazione e il turismo-tempo libero.
Collaborare non è stato difficile. «Ogni impresa sa quanto sia importante fare sistema, con i clienti, con i fornitori – spiega Chiesi –. Le istituzioni rischiavano di interpretare male il nostro progetto, invece hanno capito che c’è un interesse comune: per tutti è fondamentale che il territorio si sviluppi al massimo della sua potenzialità». Questo tipo di collaborazione è una forma avanzata di responsabilità sociale dell’impresa, conferma l’imprenditore: «Come azienda stiamo adottando gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite integrandoli completamente nel nostro modo di fare business. L’anima di “Parma, io ci sto!” è quella dell’obiettivo 17, forse il più importante: fare rete per centrare gli altri obiettivi».
Dal lavoro collaborativo dell’associazione sono nati il calendario di eventi per promuovere la tradizione alimentare di Parma, riconosciuta nel 2015 dall’Unesco come “Città creativa per la gastronomia”, così come Verdi off, rassegna di appuntamenti culturali collaterali al Festival Verdi. "Parma, io ci sto!" ha guidato il recupero e il rilancio di attrazioni parmigiane come la Camera di San Paolo o il Monastero di San Giovanni e ha creato centri per la ricerca e l’innovazione in campo alimentare e meccanico dove si incontrano scuole, ricercatori e aziende.

Tra i principali obiettivi centrati, la scelta di Parma come capitale italiana della cultura per il 2020 con il progetto “La Cultura batte il tempo”, un traguardo per il quale è stato decisivo il contributo dell’associazione. È l’occasione per ridare a Parma la sua immagine di "petite capitale". «Un’opportunità enorme per fare di nuovo conoscere Parma – conferma Chiesi –. Chi verrà dovrà vedere che c’è questo disegno unitario per la rinascita della città. Mancano un po’ di pezzi: a livello di decoro urbano, sostenibilità ambientale, sicurezza, lì è l’istituzione pubblica che deve intervenire. Ma anche in questo caso c’è il sostegno di tutti: a Parma si è capito che ciascuno deve fare la sua parte».
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