L'arcivescovo di Foggia-Bovino, Giorgio Ferretti
La cultura come antidoto alla violenza e all’imbarbarimento della società. Perché «tutto quello che comprendo non mi fa più paura, e quello che fa paura genera la violenza». Così l’arcivescovo metropolita di Foggia-Bovino, Giorgio Ferretti, inizia la sua riflessione a margine dei gravissimi episodi di violenza contro il personale medico-sanitario dell’ospedale Riuniti di Foggia verificatisi negli ultimi giorni. Il primo avvenuto giovedì scorso: una maxi aggressione ad un’équipe medica del reparto di Chirurgia toracica da parte di una cinquantina di persone parenti e amici di una giovane paziente deceduta durante un intervento chirurgico. Il secondo, domenica sera, quando un 18enne - tra l’altro figlio di uno noto esponente della mafia foggiana - giunto in Pronto soccorso in preda ad uno stato di ansia, ha aggredito tre infermieri con calci, schiaffi, pugni e calci. Il ragazzo è stato arrestato in flagranza dai carabinieri. Il terzo episodio, avvenuto lunedì, sempre tra le mura del Pronto soccorso, ha visto protagonista un 33enne, figlio di un paziente, che seppur “frenato” da un braccio ingessato, ha colpito due infermieri e un vigilante intervenuto per calmarlo. Per lui è stata disposta la misura degli arresti domiciliari. Insomma, un’escalation di violenza inaudita e senza precedenti, che consente di portare lo sguardo più in profondità, cercando di comprendere le ragioni e i possibili rimedi al degrado che sottende a questi gravi fatti di cronaca.
Eccellenza, tre episodi di aggressioni a personale medico-sanitario in quattro giorni. Qual è stato il suo primo pensiero nell’apprendere queste notizie?
Da una parte tristezza per la morte di Natasha Pugliese, una ragazza di soli 23 anni. Siamo vicini alla famiglia e preghiamo per lei. Dall’altra parte, però, non possiamo non soffermaci sul clima di violenza che sta crescendo in generale nella società, e che rende tutto estremamente preoccupante. Quanto accaduto in questi giorni nell’ospedale di Foggia è la testimonianza del disagio sociale profondo, che si ripercuote anche nei rapporti tra la comunità e le istituzioni. E questo è il dato più allarmante: assistiamo a una società che si scolla.
La violenza sembra diventare uno dei pochi linguaggi predominanti, forse l’unico conosciuto, soprattutto tra le giovani generazioni. Che fare a questo punto?
Dobbiamo offrire parole, ai giovani e non solo. La cultura combatte sempre la violenza e l’imbarbarimento della società. Abbiamo bisogno di leggere, studiare, comprendere e vivere il mondo. Don Lorenzo Milani parlava di I care, ovvero mi importa, tutto quello che comprendo non mi fa più paura. E quello che fa paura è quello che genera in noi la violenza. Per cui la violenza si combatte principalmente con la cultura.
Qual è il ruolo della Chiesa in un contesto socio-culturale come questo?
La Chiesa predica il bene, la pace, la legalità, il rispetto delle leggi, credendo nel valore della convivenza. La Chiesa è per sua costituzione un “Noi”, contro gli “Io” prepotenti. Questo è ciò che dobbiamo spiegare a chi è giovane. Questa estate abbiamo fatto dei Campi anche per i bambini meno fortunati, nei giorni scorsi siamo stati a Villa Literno e Casal di Principe, sulle orme di don Peppe Diana. La Chiesa può fare molto. La parola può cambiare molto. Poi c’è tutto il lavoro delle Caritas: in questa provincia ci sono cinque diocesi con altrettante Caritas molto attive, con mense, centri di ascolto e di accoglienza. Anche la testimonianza del bene può cambiare molto, perché in tanti chiedono di aiutarci e sostenerci nei modi più vari. E infine c’è l’autorevolezza della Chiesa, perché la gente guarda a noi come un faro, una luce, come delle parole buone di solidarietà che abbiamo la responsabilità di dire.
Nella provincia di Foggia regna una situazione di illegalità diffusa. È questa l’identità predominante?
No, non è questa l’identità di questa terra. C’è una narrazione negativa sul Foggiano, che non condivido e che non deve far cadere tutti noi nel vittimismo. Questa è una terra con tante possibilità, con tanta brava gente, con una Chiesa molto attiva, ma molto altro ancora c’è da fare, ed io voglio essere fiducioso. Soprattutto, sento nella gente un desiderio di riscatto, un anelito al cambiamento.