sabato 5 luglio 2025
La visita di parlamentari e sindacalisti italiani ed europei nelle baraccopoli dove “abitano” più di 8mila stranieri. La denuncia: «L’Italia sta rischiando di perdere i 200 milioni destinati dal Pnrr»
Emergenza ghetti a Foggia, tra irregolarità e fondi a rischio
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Che fine hanno fatto i 200 milioni del Pnrr destinati al superamento dei ghetti degli immigrati? E, soprattutto, si riusciranno a spendere e come, entro il termine previsto del 25 marzo 2025? In particolare nei due più grandi ghetti italiani, Borgo Mezzanone circa 5mila persone, e Torretta Antonacci più di 3mila, nel Foggiano, territorio destinatario di gran parte dei 114 milioni destinati alla Puglia. Ma qui non si muove nulla. E anzi il caldo di questi giorni e la crescente preoccupazione rendono la situazione ancora più grave.

Lo hanno toccato con mano parlamentari e sindacalisti italiani e europei nel corso della visita ai due ghetti in occasione dell’incontro “Diritti nel lavoro agricolo. Dai campi all’Ue” promosso dalla Flai Cgil e da Effat, la Federazione europea dei sindacati nei settori alimentare, agricolo e turistico. «Il governo italiano avrebbe potuto agire, ma finora ha scelto di non farlo - denuncia il segretario generale della Flai Cgil, Giovanni Mininni -. L’Italia sta rischiando di perdere, in tutto o in parte, i 200 milioni. Al momento neanche un euro è stato speso». Borgo Mezzanone, la “ex pista”, è sempre più grande, a perdita d’occhio, meno baracche e più casette in blocchetti di tufo. «Lo facciamo contro il fuoco », dice un ragazzo del Gambia, che ha ucciso tanti braccianti morti tra le fiamme della loro baracca. Ma è “fai da te”, come tutto il ghetto. Ci sono negozi di scarpe e abiti usati, elettrodomestici, biciclette, carburanti. E tanti street food. Una giovanissima e bellissima ragazza del Senegal sta preparando i Pataie una sorta di grandi ravioli fritti ripieni di cipolle. Una delle pochissime donne del ghetto. Nessun bambino. Nessuna famiglia. Solo uomini, lavoratori. «Qua c’è tutta l’Africa ma la vita è brutta » si sfoga uno di loro. Acqua potabile non c’è. Solo grandi cisterne riempite dalla regione. «Prima tutti i giorni. Oggi se va bene ogni tre. E non le puliscono mai. Non ci fidiamo a berla». Così la prendono nel confinante Cara dove invece l’acqua potabile c’è.

Si tocca con mano la “diversità”: nel Cara vivono circa 500 immigrati, dal 2023 nei container, il “villaggio” che il Governo vorrebbe realizzare in tante realtà coi fondi Pnrr, casa e nient’altro. Proprio quello che non vogliono né i sindacati, né le diocesi di Foggia e Manfredonia, né i Comuni. Oltretutto la proposta governativa riguarda solo chi ha il permesso di soggiorno e a Borgo Mezzanone è appena il 30%, gli altri pur in Italia spesso da più di 10 anni lo hanno perso per i vari “decreti sicurezza”. E così si fanno pressioni perché molti abbandonino il ghetto. «Sono preoccupati - denuncia Giovanni Tarantella segretario generale della Flai Foggia -. È evidente il tentativo di svuotare il ghetto per poi mettere i restanti nei container. Ma non ci riusciranno». Anche i sindaci sono molto critici. «Non serve spostare le persone come fossero soldati, la proposta è indecente e per questo non l’abbiamo firmata. Per situazioni complesse servono soluzioni complesse», sostiene quello di Manfredonia, Domenico La Marca. «Il nostro obiettivo è ridurre diversità e irregolarità, per persone che non hanno diritti», assicura quella di Foggia, Maria Aida Episcopo. Intanto in questi giorni di caldo, sempre sopra i 40 gradi, non si vive certo bene. «Le aziende devono adeguarsi agli orari di “alert”. Però per compensare le ore di pausa li fanno cominciare alle 5 invece che alle 7», spiegano i sindacalisti.

Dal ghetto però c’è anche chi è riuscito a uscire. Mohamed del Gambia faceva il meccanico nella sua baracca, poi con l’aiuto della Flai ha trovato un lavoro in un’officina a Foggia con un contratto a tempo indeterminato, vive in affitto, si è sposato e attende un figlio. «Ma torno qui a trovare i miei “fratelli” e porto scarpe e vestiti». Ricorda il fratello Ibrahim morto di malattia perché «era senza permesso di soggiorno e aveva paura di farsi ricoverare». Proprio a fianco alla vecchia baracca di Mohamed, è morto bruciato Bayfall del Senegal. Dalla morte alla vita e così qui è sorta la “Casa della pace” realizzata dalla Flai come presidio e luogo di ascolto. Su una lavagna, dopo una riunione con gli immigrati, è rimasto l’elenco delle loro richieste, la prima è “documenti”. Ed è la proposta lanciata dal Pd Puglia e appoggiata da sindacati e associazioni, di un permesso di soggiorno per tutti gli abitanti dei ghetti, per favorire la ricerca di una casa, per evitare lo sfruttamento lavorativo. La due giorni si chiude con un gesto simbolico nell’altro grande ghetto, quello di Torretta Antonacci nel comune di San Severo. Uno “sciopero al contrario”, riparare la strada che porta al ghetto. Una protesta ideata dai lavoratori col sostegno della Flai. E che diventa quasi una festa con decine di lavoratori e sindacalisti con pale, rastrelli e carriole. Si chiede il ripristino della fermata del bus per Foggia; la raccolta dei rifiuti; approvvigionamenti quotidiani di acqua; il potenziamento della rete elettrica; un piano per convertire le baracche in abitazioni dignitose, con allaccio alla fognatura e bagni. Ma riparare la strada, spiega Matteo Bellegoni, capo dipartimento Politiche migratorie e legalità della Flai Cgil, «vuol dire anche aiutarli a uscire dall’isolamento».

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