lunedì 20 agosto 2018
Due mostre dedicate al pontefice argentino e al grande teologo Romano Guardini e un serrato confronto tra esperti
Foto Gallini

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Rocco Buttiglione se lo ricorda bene, il Meeting del 1984. “Il titolo era “America Americhe” – dice – e quel plurale era una conseguenza della svolta che Giovanni Paolo II stava imprimendo alla Chiesa. Non per niente, il primo viaggio di papa Wojtyla fu proprio in Messico, a Puebla. Fu allora che tra i credenti dell’America Latina nacque la speranza che anche nelle loro nazioni accadesse qualcosa di simile a quello che stava succedendo in Polonia con Solidarnosc. È un fermento che Jorge Mario Bergoglio conosce bene, perché è stato uno dei protagonisti di quella vicenda, che ora trova espressione nel suo pontificato”.

Continuità nelle differenze, dunque, secondo il principio che papa Francesco ha elaborato anche a partire dalla lezione del grande teologo Romani Guardini, del quale ricorre nel 2018 il cinquantenario della nascita. Ad avvicinarli ulteriormente ci sono, qui al Meeting, due mostre (“Gesti e parole: Jorge Mario Bergoglio, una presenza originale” e “Romano Guardini 1865-1968”), ma il gioco degli intrecci e delle rispondenze si ripropone anche nel calendario degli incontri, in particolare in quello che, moderato lunedì mattina da Alejandro Bonet, ha messo a tema i cinque anni del pontificato di Francesco per andare “alla scoperta del pensiero di Bergoglio”. “Per troppo tempo – sottolinea il filosofo Massimo Borghesi, autore per Jaca Book di un’importante “biografia intellettuale” di Francesco – detrattori e ammiratori sono stati accomunati dalla convinzione che il Papa latinoamericano non disponesse di una solida formazione culturale. Un pregiudizio infondato, dato che già negli scritti degli anni Settanta Bergoglio rivela una perfetta padronanza delle categorie che oggi ritroviamo nel suo magistero. La principale è rappresentata da quella tensione tra gli opposti che rimanda, oltre che a Guardini, alla “verità sinfonica” di Hans Urs von Balthasar e a tante riflessioni di don Luigi Giussani”.

Non è questione di sottigliezze concettuali, ma di esperienza di fede. E anche di fedeltà alla Chiesa, in tutta la sua complessità e ricchezza. “Dov’erano i teologi quando Francesco era accusato di eresia?”, insiste Borghesi. Mentre Buttiglione annuisce, tocca a Guzmán Carriquiry, figura di spicco della Pontifica Commissione per l’America Latina, ribadire l’inconsistenza della presunta contrapposizione tra Francesco e Benedetto XVI: “Quello che per molti è intollerabile – afferma – è che nella Chiesa regni lo Spirito. Del resto, già all’epoca dell’elezione di Wojtyla c’era chi mostrava insofferenza nei confronti del “Papa polacco”. Noi oggi sappiamo quale dono sia stato Giovanni Paolo II. Per questo non dovremmo tardare a riconoscere che con Francesco siamo stati immersi in una pedagogia della misericordia tanto più preziosa e opportuna in un momento come questo, nel quale la credibilità della Chiesa è messa in discussione da crimini aberranti. Attenzione, però, perché nonostante tutto, a dispetto di ogni miseria, la Chiesa stessa rimane l’unica realtà capace di difendere l’umano dalle forze disumane che tendono a disgregarlo”.

Il riferimento alla crisi della pedofilia viene ripreso e ampliato da Austen Ivereigh, il giornalista britannico al quale si deve una delle più accurate biografie di Bergoglio, edita in Italia da Mondadori con il titolo Tempo di misericordia. “Il modo in cui il Papa sta guidando il percorso di purificazione della Chiesa cilena – dice – ha una dimensione universale, come dimostra la lettera inviata oggi da Francesco a tutto il popolo di Dio. Solo resistendo alla tentazione di arroccarsi in sé stessa, la comunità dei credenti può trovare il coraggio per un atto di umiliazione che porti al discernimento e quindi a una vera riforma”.

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