martedì 16 ottobre 2018
La misura è nella legge di bilancio. L'annuncio al termine del Cdm. "Si abolisce il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina, permettendo così a tutti di poter accedere agli studi". Poi la retromarcia
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Abolito il numero chiuso nelle facoltà di Medicina. Anzi no. Almeno non subito. L’altra notte, al termine del Consiglio dei ministri sulla manovra di Bilancio, è arrivato a sorpresa sul sito del governo l’annuncio dell’eliminazione del test di accesso al corso di studi per diventare medico. Ieri mattina, però, ecco la quasi smentita del ministro dell’Istruzione, Ricerca scientifica e Università, Marco Bussetti, che dice di non saperne niente. E dopo mezza giornata di roventi polemiche, il premier Giuseppe Conti aggiusta il tiro sfumando il giallo che aveva colorato la vicenda fino a quel momento.

Lo sbarramento non sarà più operativo, si leggeva nel comunicato notturno del Cdm, per «permettere a tutti di poter accedere agli studi». La selezione si farà dopo il primo anno, aveva spiegato subito la ministra della Salute, Giulia Grillo. Il suo collega all’Istruzione, interpellato in proposito, ha detto di non sapere nulla del provvedimento in questione: «Non mi risulta: stiamo lavorando con la Grillo per allargare il numero degli ammessi: sarà un percorso graduale – ha precisato – ma si farà».

Poco dopo, una nota di Palazzo Chigi ha cercato di “accorciare le distanze”, gettando acqua sul fuoco: «In merito al superamento del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina, la presidenza del Consiglio precisa che si tratta di un obiettivo politico di medio periodo per il quale si avvierà un confronto tecnico con i ministeri competenti e la Conferenza dei rettori delle università italiane, che potrà prevedere un percorso graduale di aumento dei posti disponibili, fino al superamento del numero chiuso». Un impegno, peraltro, previsto nel contratto del governo gialloverde alla voce "università", dove si afferma di voler rivedere il sistema di accesso ai corsi a numero programmato «attraverso l’adozione di un modello che assicuri procedure idonee a verificare le effettive attitudini degli studenti e la possibilità di una corretta valutazione». Il che comporterà adeguati investimenti.

In vista dell’anno accademico 2018-2019 che sta per cominciare sono stati oltre 67mila i partecipanti ai test per l’ingresso a medicina a fronte dei 9mila posti a disposizione. Ma all’ipotesi di eliminare il numero chiuso sono contrari innanzitutto i rettori delle università. «L’abolizione tout-court del numero chiuso a Medicina sarebbe un errore perché non ci sarebbero le condizioni strutturali per consentirlo: servono aule e più docenti, visto che secondo i requisiti europei per un certo numero di studenti serve un professore», avverte Gaetano Manfredi presidente della Crui, la Conferenza che riunisce i rettori. Per Manfredi, inoltre, si rischierebbe anche di tornare a un passato non proprio positivo, «quando senza numero chiuso c’erano troppi laureati in medicina con l’effetto negativo di un boom di precari e uno sfruttamento dei giovani medici». Per il presidente della Crui sarebbe invece opportuno incrementare il numero degli iscritti: «Con un po’ di investimenti in nuove aule e docenti le università italiane potrebbero accogliere anche il 50% di studenti in più, passando da quasi 10mila iscritti a 15mila».

«Togliere il test? Decisione folle» commenta il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss), Walter Ricciardi. «Il nostro sistema è imperfetto, però ci garantisce una qualità eccezionale dei futuri medici. Il problema è che, una volta laureati, hanno pochissimi sbocchi alla specializzazione», ha detto ancora Ricciardi. «Noi ne facciamo laureare quasi diecimila – ha aggiunto – e solo seimila sono i posti nelle scuole di specializzazione, più mille per la medicina generale. Significa che ogni anno tremila laureati si accumulano e li regaliamo all’estero. È un problema troppo serio per essere affrontato con misure superficiali. Avremmo migliaia di matricole, dove faranno lezione, negli stadi? Nessuna università italiana è strutturata per una cosa del genere».

«Si sente spesso dire che, nel nostro Servizio Sanitario Nazionale, mancano e mancheranno i medici - spiega il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli –. È vero, ma si omette un passaggio fondamentale: per entrare nel Ssn non basta essere medici, occorre completare la formazione specializzandosi o formandosi specificamente per la medicina generale. Né potrebbe essere altrimenti: per noi la formazione è un unicum, che va dall’accesso alla specializzazione, passando attraverso la laurea. Per questo chiediamo con insistenza al governo di ripensare a tutto tondo il percorso formativo del medico, garantendo a chi entra di poter uscire completamente formato».

Sull’argomento specializzazione interviene anche il rettore della Sapienza di Roma, Eugenio Gaudio, sottolineando come sia proprio questo il vero problema cui far fronte subito: «Oggi le borse di specializzazione sono solo 6mila l’anno e dovrebbero essere aumentate almeno a 9mila che è il numero degli studenti che più o meno ogni anno raggiungono la laurea. Tremila di loro restano fuori. Quindi mi chiedo – conclude Gaudio –, come si riuscirebbe a far fronte alla richiesta di borse di specializzazione se si consentisse l’accesso a medicina a 70-75 mila studenti l’anno?».

Nel dibattito entra anche l’Unione degli universitari. «Bene che il governo si ponga un obiettivo così ambizioso – commenta Enrico Gulluni, coordinatore nazionale dell’associazione studentesca – dopo che da anni denunciamo l’ingiustizia e le storture di questo sistema: ma se c’è davvero la seria volontà di eliminare il numero chiuso a medicina si discutano tempistiche, obiettivi concreti, piani di investimento che coinvolgano diritto allo studio, borse di specializzazione e finanziamento ordinario degli atenei».



In vista dell’anno accademico 2018-2019 che sta per cominciare sono stati oltre 67mila i partecipanti ai test per l’ingresso a medicina a fronte dei 9mila posti a disposizione. Ma all’ipotesi di eliminare il numero chiuso sono contrari innanzitutto i rettori delle università. «L’abolizione tout-court del numero chiuso a Medicina sarebbe un errore perché non ci sarebbero le condizioni strutturali per consentirlo: servono aule e più docenti, visto che secondo i requisiti europei per un certo numero di studenti serve un professore», avverte Gaetano Manfredi presidente della Crui, la Conferenza che riunisce i rettori. Per Manfredi, inoltre, si rischierebbe anche di tornare a un passato non proprio positivo, «quando senza numero chiuso c’erano troppi laureati in medicina con l’effetto negativo di un boom di precari e uno sfruttamento dei giovani medici». Per il presidente della Crui sarebbe invece opportuno incrementare il numero degli iscritti: «Con un po’ di investimenti in nuove aule e docenti le università italiane potrebbero accogliere anche il 50% di studenti in più, passando da quasi 10mila iscritti a 15mila».

«Togliere il test? Decisione folle» commenta il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss), Walter Ricciardi. «Il nostro sistema è imperfetto, però ci garantisce una qualità eccezionale dei futuri medici. Il problema è che, una volta laureati, hanno pochissimi sbocchi alla specializzazione», ha detto ancora Ricciardi. «Noi ne facciamo laureare quasi diecimila – ha aggiunto – e solo seimila sono i posti nelle scuole di specializzazione, più mille per la medicina generale. Significa che ogni anno tremila laureati si accumulano e li regaliamo all’estero. È un problema troppo serio per essere affrontato con misure superficiali. Avremmo migliaia di matricole, dove faranno lezione, negli stadi? Nessuna università italiana è strutturata per una cosa del genere».

«Si sente spesso dire che, nel nostro Servizio Sanitario Nazionale, mancano e mancheranno i medici - spiega il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli –. È vero, ma si omette un passaggio fondamentale: per entrare nel Ssn non basta essere medici, occorre completare la formazione specializzandosi o formandosi specificamente per la medicina generale. Né potrebbe essere altrimenti: per noi la formazione è un unicum, che va dall’accesso alla specializzazione, passando attraverso la laurea. Per questo chiediamo con insistenza al governo di ripensare a tutto tondo il percorso formativo del medico, garantendo a chi entra di poter uscire completamente formato».

Sull’argomento specializzazione interviene anche il rettore della Sapienza di Roma, Eugenio Gaudio, sottolineando come sia proprio questo il vero problema cui far fronte subito: «Oggi le borse di specializzazione sono solo 6mila l’anno e dovrebbero essere aumentate almeno a 9mila che è il numero degli studenti che più o meno ogni anno raggiungono la laurea. Tremila di loro restano fuori. Quindi mi chiedo – conclude Gaudio –, come si riuscirebbe a far fronte alla richiesta di borse di specializzazione se si consentisse l’accesso a medicina a 70-75 mila studenti l’anno?».

Nel dibattito entra anche l’Unione degli universitari. «Bene che il governo si ponga un obiettivo così ambizioso – commenta Enrico Gulluni, coordinatore nazionale dell’associazione studentesca – dopo che da anni denunciamo l’ingiustizia e le storture di questo sistema: ma se c’è davvero la seria volontà di eliminare il numero chiuso a medicina si discutano tempistiche, obiettivi concreti, piani di investimento che coinvolgano diritto allo studio, borse di specializzazione e finanziamento ordinario degli atenei».

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