sabato 28 ottobre 2017
È la prima volta dalla sua elezione che il presidente non promulga un testo approvato dal Parlamento
Legge anti-mine, Mattarella non firma: «salva» le banche
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La legge contro le mine anti-uomo nascondeva al suo interno una mina normativa. L’ha disinnescata il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ieri, per la prima volta dalla sua elezione al Quirinale, ha rinviato alle Camere un testo approvato dal Parlamento. Si tratta, appunto, di quello contenente 'Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo'. «Presenta profili di evidente illegittimità costituzionale », annota il Colle rendendo pubblica la mancata promulgazione.

Che cosa è accaduto? Che «una manina», così la definiscono fonti qualificate, ha inserito nel testo un comma, il numero 2 dell’articolo 6, che – specifica la nota diffusa nella serata di ieri dal Quirinale – «in contrasto con la finalità dichiarata, determinerebbe l’esclusione della sanzione penale per determinati soggetti che rivestono ruoli apicali e di controllo (per esempio i vertici degli istituti bancari, delle società di intermediazione finanziaria e degli altri intermediari abilitati)». Insomma, una norma salva-banche e finanziatori. Tanto che, nella stessa legge, la previsione della pena detentiva da 3 a 12 anni, oltre alla multa da 258mila a 516mila euro, è rimasta «per altri soggetti privi di questa qualificazione».

Eppure il provvedimento – lo avevamo spiegato il 4 ottobre, quando fu approvato all’unanimità e in via definitiva dalla Camera – era stato presentato proprio come una misura esemplare per impedire a banche e alta finanza di sostenere o foraggiare le imprese produttrici delle devastanti mine anti-uomo, di munizioni e delle famigerate cluster bombs, ovvero le bombe 'a grappolo'. Infatti il Trattato di Ottawa del 1997, che mette al bando questo tipo di armamenti, è stato sottoscritto da 162 Paesi (e tra questi figura l’Italia) ma non da altri 34. E in quest’ultimo elenco ci sono Usa, Cina, Russia, India, Israele, Egitto, Birmania e Arabia Saudita.

La legge italiana – di iniziativa parlamentare, promotori 14 senatori del Pd – intendeva perciò «prosciugare le fonti» di approvvigionamento finanziario alle imprese, con sede in Italia o all’estero, che anche attraverso società controllate o collegate, fabbricano, sviluppano, assemblano, riparano, conservano, impiegano utilizzano, immagazzinano, detengono, promuovono, vendono, distribuiscono, importano o esportano, trasferiscono o trasportano le mine anti-persona. Un fuoco di sbarramento ad amplissimo raggio. Vanificato, tuttavia, proprio dalla norma che punisce gli intermediari e i sovvenzionatori solo con una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 150mila a un milione e mezzo di euro. Una tale previsione, ha eccepito ieri il presidente della Repubblica, «contrasta con l’articolo 3 della Costituzione che vieta ogni irragionevole disparità di trattamento fra soggetti rispetto alla medesima condotta».

Non solo: si configura anche la violazione dell’articolo 117 della Carta (nella parte relativa ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali), perché non vengono rispettate le Convenzioni di Oslo e quella, già citata, di Ottawa, «che richiedono sanzioni penali per tutti i finanziatori degli ordigni vietati». Insomma, la normativa rinviata alle Camere determinerebbe «la depenalizzazione di alcune condotte oggi sanzionate penalmente».

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