Gli “sfollati” calabresi dello Stretto: «Ci tolgono le case per il Ponte»
Gli espropri sono partiti e le famiglie che hanno case nelle aree interessate temono di essere inevitabilmente penalizzate. Centocinquanta proprietari si sono messi insieme per fermare il progetto

Gli espropri per il Ponte sullo Stretto sono ufficialmente partiti. La delibera del Cipess approvata mercoledì 6 agosto ha sbloccato la «dichiarazione di pubblica utilità», l’atto che consente allo Stato di acquisire forzosamente beni privati in nome dell’interesse collettivo. I numeri fotografano la portata dell’intervento: sul versante siciliano sono previste 448 unità immobiliari da espropriare, di cui 291 case con il 60% di abitazioni principali (175 famiglie) e, accanto, 120 negozi e 37 ruderi. Sulla sponda calabrese, a Villa San Giovanni, le case stimate sono circa 150. Due sportelli informativi – a Messina e Villa – hanno già intercettato circa 800 persone in cerca di chiarimenti: dietro le cifre, infatti, ci sono le vite.
«La nostra casa ha la sola colpa di trovarsi a pochi centinaia di metri dall’area di cantiere, pur non essendo funzionale all’opera». La voce è quella di Rossella Bulsei, proprietaria di un’abitazione a Villa San Giovanni e presidente del comitato degli espropriandi “Titengostretto”. Nel progetto, spiega, «al posto della nostra casa, è prevista un’area di riqualificazione verde, una volta che l’opera sarà completata».
Un prato al posto di un portone di casa: per chi oggi rischia di perdere tutto, è un paradosso difficile da accettare. L’irruzione del procedimento espropriativo ha il peso delle parole che non si vorrebbero mai ascoltare. «La sensazione di essere cacciati è molto dura», dice Bulsei. «Ci domandiamo se sia davvero indispensabile demolire le nostre case… è difficile accettare di essere espropriati per un’opera che solleva dubbi non solo tra noi residenti». Il primo impatto è stato emotivo: «Sgomento, innanzitutto. Come si può reagire se non venendo attraversati dal panico, se non mettendo in discussione tutto quello che sei riuscito a realizzare fino ad oggi, tutti quelli che hai considerato dei punti fermi nella tua vita, questa è stata la prima reazione. Poi è sopraggiunta l’incredulità, ti sembra che non sia possibile arrivare a tanto, soprattutto per un’opera che ancora si porta dietro tanti interrogativi, ma che invece si propone come un’opera per la quale bisogna mettere in secondo piano tutto, perché prima viene il ponte e poi viene tutto il resto». Dopo lo smarrimento, la decisione di organizzarsi. «La nostra risposta è stata quella di determinarci a difenderci con fermezza, non solo per la nostra proprietà, ma anche per l’intero territorio. Questo non è un problema che tocca solo gli espropriandi o i frontisti; riguarda l’intera comunità di Ville e Messina».
Il perimetro delle persone coinvolte è ampio e variegato. «Siamo circa centocinquanta proprietari, tra noi ci sono anche proprietari di strutture ricettive, persone che stanno ancora pagando un mutuo, e anziani disorientati. Le nostre situazioni sono molto diverse». Quanto alle compensazioni, prevale l’incertezza: «Fino ad ora non abbiamo ricevuto nessuna proposta concreta, ma dubito sarà accettabile. Non esiste un compenso adeguato a quello che abbiamo costruito nelle nostre vite…la scelta di vivere di fronte allo Stretto non può essere quantificata economicamente».
Il contesto locale è in ebollizione: l’approvazione del progetto definitivo ha riacceso la mobilitazione dei comitati No Ponte, che contestano la validità di procedure e pareri e stimano «oltre 500 famiglie» a rischio tra le due sponde. Restano un nervo scoperto i vincoli preordinati all’esproprio che gravano da oltre vent’anni su ampie porzioni di territorio: imposti nel 2003 e più volte rinnovati, hanno congelato interventi edilizi, ristrutturazioni, investimenti, producendo svalutazioni senza indennizzi. In giugno, a Torre Faro, è nato un presidio permanente – “Casa Cariddi” – per il coordinamento legale e l’informazione ai cittadini. In controluce, la mappa degli espropri parla anche di “asservimenti” temporanei per il passaggio dei mezzi e di “riqualificazioni” ambientali che, al termine dei lavori, dovranno restituire verde e servizi. Ma per chi oggi abita quelle vie, la priorità è un’altra: capire tempi, tutele, alternative, percorsi di ricollocazione dignitosi. La partita degli espropri, insomma, non è una voce di capitolato, è la prova di credibilità delle istituzioni e del progetto: trasparenza sulle procedure, ascolto effettivo, negoziazioni eque, tempi certi, accompagnamento vero alla ricollocazione. Perché un ponte – qualunque ponte – regge se garantisce la dignità di tutti. «Prima viene il ponte e poi viene tutto il resto?», domanda Rossella Bulsei. La risposta sta nella capacità di non lasciare nessuno indietro mentre si pensa ad una struttura che ambisce a unire. Se la prima fondamenta sarà quello dell’attenzione alle persone, la grande opera potrà davvero chiamarsi “di pubblica utilità”, altrimenti resterà sospesa, non sullo Stretto, ma sulle vite di chi lo abita.
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